Quasi la metà dei giovani in Italia vive in condizioni di deprivazione

Lo spiega il nuovo rapporto annuale di Istat, che contiene vari dati su quanto l’Italia spenda meno per i giovani rispetto agli altri grandi Paesi Ue
Ansa
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Il 7 luglio l’Istat ha pubblicato il “Rapporto annuale 2023” (qui il testo integrale) che contiene una serie di statistiche sulla vita dei giovani in Italia e su quanto spende per loro lo Stato. «Focalizzarsi sulle nuove generazioni è rilevante perché ciò che migliora la capacità di essere e fare dei giovani aumenta in prospettiva il benessere di tutti», scrive l’Istat nel rapporto. «L’investimento nei primi anni di vita, in particolare, è riconosciuto come il più efficace nel ridurre i divari ereditati dal contesto socio-economico di origine».

I numeri mostrano però che l’Italia fa ancora troppo poco per i giovani e che fa meno degli altri grandi Paesi europei.
In Italia nel 2022 quasi 5 milioni di giovani tra i 18 e i 34 anni di età (il 47 per cento in questa fascia di età) hanno mostrato almeno uno dei segnali di deprivazione. Il concetto di “deprivazione” è inteso da Istat come il «mancato raggiungimento di una pluralità di fattori (individuali e di contesto) che agiscono nella determinazione del benessere, rappresentato attraverso cinque domini». Questi domini riguardano: l’istruzione e il lavoro; la coesione sociale; la salute, tra cui quella mentale; il benessere soggettivo, con la soddisfazione per la propria vita e il proprio tempo libero; e il territorio, ossia la difficoltà a raggiungere i servizi e la soddisfazione per l’ambiente. Ciascun dominio è suddiviso in tre indicatori: si vive in una situazione di deprivazione quando almeno due dei tre indicatori sono sotto soglia. Per esempio, per quanto riguarda la salute, quando si dice di stare né bene né molto bene oppure, per quanto riguarda il benessere personale, quando si è poco o per nulla soddisfatti del tempo libero. 

Il dominio che registra i dati peggiori è quello dell’istruzione e del lavoro con il 20,3 per cento di giovani in una situazione di deprivazione, seguito dalla coesione sociale (18,3 per cento) e dal territorio (14 per cento). Segue poi il dominio della salute con (9,4 per cento) e quello del benessere soggettivo (6,8 per cento).

I giovani nella fascia d’età tra i 25 e i 34 anni hanno una maggiore deprivazione sull’istruzione e sul lavoro rispetto a quelli nella fascia 18-24 anni: circa il 22 per cento contro il 17 per cento. Negli altri domini il livello di deprivazione è abbastanza simile.

Circa 1,6 milioni di giovani (15,5 per cento) vivono in una situazione di cosiddetta “multi-deprivazione”, quindi con più di un dominio sotto soglia in contemporanea. Questo fenomeno è più comune tra i giovani nella fascia di età 25-34 anni e nelle regioni meridionali (il 19,5 per cento contro il 13,7 per cento delle regioni settentrionali e il 12,3 per cento di quelle al Centro).

Quanto spende lo Stato per i giovani

In Italia la spesa pubblica destinata ai giovani è più bassa di quella negli altri grandi Paesi dell’Unione europea. Nel suo rapporto annuale l’Istat si sofferma in particolare sulla spesa per l’istruzione e su quella per la protezione sociale di famiglie e minori.

Secondo i dati più aggiornati, nel 2021 l’Italia ha investito in istruzione una cifra pari a circa il 4,1 per cento del proprio Prodotto interno lordo (Pil), contro il 4,6 per cento della Spagna, il 5,2 per cento della Francia e il 4,5 per cento della Germania. Rispetto al passato la spesa per l’istruzione è salita in Germania e in Spagna, mentre è scesa in Italia e in Francia. Con il 4,1 per cento l’Italia è sotto la media dei 27 Paesi Ue, pari al 4,8 per cento.
Secondo l’Istat la spesa per la protezione sociale mostra un «netto sbilanciamento verso le funzioni rivolte a coprire i rischi delle generazioni adulte e anziane». Il 46,6 per cento della spesa sociale è infatti destinata ai bisogni delle persone anziane, il 22,3 per cento ai rischi legati alle malattie e all’assistenza sanitaria, il 9,1 per cento alla disoccupazione, mentre solo il 3,8 per cento va alle famiglie e ai minori.
L’Italia spende più della media dell’Ue per la protezione sociale (33,2 per cento contro il 30,3 per cento), ma la quota destinata alle famiglie è bassa rispetto agli altri grandi Paesi Ue. In Italia è pari all’1,2 per cento, contro una media Ue del 2,5 per cento. In Francia la percentuale è pari al 2,5 per cento del Pil, in Spagna all’1,6 per cento e in Germania al 3,7 per cento. In questa cifra sono compresi tutti i sostegni finanziari e i servizi sociali progettati per assistere e proteggere le famiglie e in particolar modo i bambini, come assegni di mantenimento al reddito, assegni per la natalità e congedi parentali o per l’educazione pre-scolare.

Il rapporto annuale di Istat del prossimo anno mostrerà comunque un miglioramento della spesa italiana grazie all’introduzione dell’assegno unico e universale per i figli. Questa misura porterà a un incremento del 34 per cento della spesa per prestazioni sociali dirette alle famiglie.

Quanti sono i posti negli asili nido

Uno dei grossi problemi in Italia sono i posti negli asili nido che non sono sufficienti per tutti e obbligano i genitori, in particolar modo le madri, a dover scegliere tra il lavoro e la maternità. Questo è uno degli elementi che insieme ad altri, come i bassi redditi, sta portando a un progressivo calo delle nascite

Nel suo rapporto l’Istat evidenzia che nel 2021 solo il 33,4 per cento dei bambini tra zero e due anni ha frequentato un asilo nido, un dato non troppo più basso della media europea (36,2 per cento), ma parecchio inferiore alle percentuali di Francia e Spagna, entrambe oltre il 55 per cento. Il 5 per cento dei bambini sotto i tre anni frequenta la scuola materna, anche se non dovrebbe, perché questa è più accessibile degli asili nido.

L’assenza di posti negli asili nido è particolarmente forte nel Mezzogiorno. Il Centro e il Nord-Est hanno posti per il 36 per cento dei bambini sotto i due anni, il Nord-Ovest è al 31,5 per cento, mentre le Isole sono al 16,6 e il Sud al 16 per cento. Nel complesso la media italiana è del 28 per cento, mentre l’obiettivo fissato dall’Ue per il 2030 è del 50 per cento.

L’assenza di posti diminuisce anche l’efficacia delle misure a sostegno dei bambini. Nel Mezzogiorno i beneficiari del “bonus asili nido”, una misura che dà fino a mille euro per il pagamento di rette per la frequenza di asili nido pubblici e privati, sono infatti più dei posti disponibili, mentre nel Centro-Nord i posti sono ancora maggiori dei beneficiari.

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