Il nuovo programma di Fratelli d’Italia, sotto la lente del fact-checking

È stato presentato alla conferenza tenuta a Milano: alcuni tra i dati citati sono corretti, altri meno
ANSA/MOURAD BALTI TOUATI
ANSA/MOURAD BALTI TOUATI
Aggiornamento, 27 luglio 2022: l’articolo di seguito è stato pubblicato originariamente a maggio 2022. Per informazioni più aggiornate su Fratelli d’Italia e il suo programma vi invitiamo a consultare questo link
Dal 29 aprile al 1° maggio si è tenuta a Milano la conferenza programmatica di Fratelli d’Italia, dal titolo “Italia: energia da liberare”. Qui la leader del partito Giorgia Meloni ha presentato un documento, intitolato “Appunti per un programma conservatore”, con una serie di proposte che vanno dall’economia alla giustizia, passando per l’energia, il lavoro e l’istruzione. Alla stesura del documento hanno contribuito, tra gli altri, anche l’ex deputato e fondatore di Fdi Guido Crosetto, l’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti e il sociologo Luca Ricolfi. 

Abbiamo analizzato nove affermazioni contenute nel programma firmato da Meloni: alcuni dei dati citati sono corretti, altri meno. 

Il numero dei poveri in Italia

«In questi anni, segnati dalla pandemia e ora dalla guerra, il numero di poveri è aumentato esponenzialmente»

Al di là dell’avverbio «esponenzialmente», è vero che negli ultimi anni la povertà in Italia è cresciuta. Secondo Istat, nel 2021 i cittadini in povertà assoluta erano circa 5,6 milioni, in linea con i dati del 2020. Ma nel 2019, prima della pandemia, erano quasi 4,6 milioni, in calo dopo quattro anni di aumento.   

Tre anni fa, viveva in povertà assoluta il 6,4 per cento delle famiglie in Italia, percentuale salita al 7,7 per cento nel 2020 e scesa poi leggermente al 7,5 per cento l’anno dopo (Grafico 1).
Grafico 1. Incidenza di povertà assoluta familiare e individuale. Anni 2005-2021 – Fonte: Istat
Grafico 1. Incidenza di povertà assoluta familiare e individuale. Anni 2005-2021 – Fonte: Istat

Il costo del reddito di cittadinanza

«Ogni posto di lavoro trovato grazie al reddito di cittadinanza è costato oltre 50 mila euro»

Non è chiaro quale sia la fonte di questa stima, ma molto probabilmente il riferimento è a un’elaborazione della Cgia di Mestre, pubblicata a settembre 2021 e basata su dati dell’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (Anpal), aggiornati al 30 giugno 2021, e sulla “Relazione sul rendiconto generale dello Stato per il 2020” curata dalla Corte dei Conti.

In breve: la Cgia di Mestre ha ipotizzato un importo complessivo percepito dalle persone che ricevono il reddito di cittadinanza e sono disponibili a lavorare, e lo ha diviso per il numero di persone che hanno effettivamente trovato un lavoro, arrivando così a calcolare che per ogni assunzione sono stati erogati sussidi per quasi 52 mila euro. 

Questa stima è piuttosto spannometrica e risale a oltre un anno fa. Secondo un’indagine pubblicata a febbraio 2022 dall’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche (Inapp), nonostante non abbia avuto effetti considerevoli sul fronte dell’occupazione, il reddito di cittadinanza ha contribuito comunque ad aiutare le fasce marginali e più deboli della popolazione. 

I dati sulle pensioni

«È importantissimo alzare le pensioni minime a mille euro al mese, perché per circa sei milioni di italiani la pensione è sotto questa soglia»

Al di là della proposta politica, il dato è corretto, anche se arrotondato per eccesso. Secondo gli ultimi dati Istat, pubblicati nel 2021 ma aggiornati al 2019, tre anni fa in Italia erano presenti oltre 16 milioni di pensionati. Di questi, il 35 per cento (5,6 milioni di persone) percepiva (Tavola 6) una pensione inferiore ai mille euro mensili. 

Nello stesso periodo le pensioni da meno di mille euro erogate ogni mese erano 13,8 milioni, oltre il 60 per cento delle 22,8 milioni di pensioni totali. Il numero di pensioni effettivamente erogate è superiore al numero di pensionati perché in alcuni casi questi hanno diritto a più di una pensione, magari di diverso tipo, per esempio contemporaneamente di vecchiaia e di invalidità. Nel 2019 il 67,3 per cento dei pensionati prendeva (Tavola 5) una sola pensione, il 24,7 per cento due e l’8 per cento tre o più pensioni.

Ogni anno scompare una città «come Bari o come Catania»

«Il divario annuale fra le nascite e le morti nel 2021 ha superato le 300 mila unità, 709 mila morti contro 399 mila nuovi nati. È come se ogni anno scomparisse l’equivalente di una città come Bari o come Catania»

Questi dati sono corretti e corrispondono a quanto riferito da Istat nel report sugli indicatori demografici per il 2021, pubblicato l’8 aprile 2022. Anche la comparazione con Bari e Catania è tutto sommato corretta: al 1° gennaio 2021 il capoluogo pugliese contava circa 317 mila abitanti, mentre Catania poco più di 300 mila.

Il calo dei matrimoni

«Siamo giunti al minimo di 179 mila matrimoni celebrati nel 2021, a fronte dei 420 mila del 1970; perfino nel 1942 erano stati più di 200 mila»

Anche in questo caso i numeri sono sostanzialmente corretti. Secondo l’ultimo report sugli indicatori demografici dell’Istat, nel 2021 sono stati celebrati 179 mila matrimoni, l’85 per cento in più rispetto al 2020, quando comunque le cerimonie e i grandi eventi erano stati bloccati a causa della pandemia di Covid-19. 

Nel 1970 invece i matrimoni erano stati 395 mila, un numero più basso rispetto a quello citato nel programma di Fdi, e nel 1942, durante la seconda guerra mondiale, 287 mila. 

Il saldo migratorio

«Nel periodo 2002-2020, i dati Svimez segnalano un saldo migratorio negativo al Sud per oltre un milione di persone, di cui circa il 30 per cento laureati»

Anche in questo caso i dati sono citati correttamente e sono contenuti nel rapporto “L’economia e la società nel mezzogiorno” pubblicato da Svimez, l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, il 30 novembre 2021. In questo caso, il termine «saldo migratorio» fa riferimento alla differenza tra il numero di persone che si sono trasferite al Sud e quelle che invece hanno lasciato il Sud per trasferirsi altrove. 

Custodie cautelari: Italia ed Europa a confronto

«I soli dati statistici e di raffronto con gli altri ordinamenti europei testimoniano il patologico e strumentale uso della custodia cautelare, che in un ordinamento liberale deve invece essere l’extrema ratio»

Al di là del giudizio politico, secondo i dati dell’ultimo rapporto “Space I”, pubblicato della Commissione per l’efficienza della giustizia del Consiglio d’Europa (Cepej), al 31 gennaio 2021 l’Italia era il settimo Paese tra i 27 membri dell’Ue con la più alta percentuale di detenuti in Italia in attesa di una sentenza definitiva, dunque considerabili in “custodia cautelare” (31,5 per cento). Nel complesso, la Cepej ha piazzato l’Italia tra i Paesi con un valore “molto alto” di detenuti nelle carceri in attesa di una sentenza definitiva.

Manifattura, agricoltura e risparmi

«È vitale conservare le due nostre ricchezze principali: la nostra manifattura, la seconda d’Europa (l’agricoltura è la prima) ed il nostro risparmio (il più grande d’Europa)». 

Procediamo con ordine. Secondo Eurostat, nel 2021 l’Italia era effettivamente il secondo Paese Ue per valore aggiunto lordo (un indicatore che misura il valore totale prodotto da un settore) nella produzione manifatturiera, pari a poco più di 270 miliardi di euro. Al primo posto della classifica c’era la Germania, con circa 652 miliardi, mentre al terzo c’era la Francia con poco più di 218 miliardi. Nel 2021 l’Italia era invece seconda, e non prima, tra tutti i Paesi europei per valore della produzione dell’agricoltura, la pesca e la silvicoltura (34,7 miliardi di euro), che Eurostat considera congiuntamente, dietro alla Francia (40,5 miliardi). 

Per quanto riguarda invece i risparmi, nel 2020 l’Italia si è collocata all’undicesimo posto (e non al primo) tra i 27 Paesi dell’Ue per percentuale di risparmio domestico (17,4 per cento). Si tratta di un indicatore che calcola il rapporto tra il risparmio totale di famiglie e piccole imprese e il reddito complessivamente detenuto.

La classifica cambia se si guarda al rapporto tra la ricchezza delle famiglie italiane, al netto dei debiti, e il loro reddito disponibile. Nel 2020 questo rapporto era pari a 8,7, un dato più basso solo di quello osservato in Spagna, ma più alto di quello francese e tedesco (Figura 2).
Figura 2. Ricchezza netta delle famiglie nel confronto internazionale – Fonte: Istat e Banca d’Italia
Figura 2. Ricchezza netta delle famiglie nel confronto internazionale – Fonte: Istat e Banca d’Italia

Il costo del lavoro

«Passo ineludibile è la riduzione del costo fiscale del lavoro sostenuto dal mondo produttivo, un costo tra i più elevati d’Europa»  

Questa affermazione è sostanzialmente vera. Secondo i dati più recenti di Eurostat, a marzo 2022 in Italia il cuneo fiscale, ossia il peso delle imposte sulla busta paga di un lavoratore dipendente, corrispondeva al 41,2 per cento del reddito. Questa percentuale era la quarta più alta tra i 27 Paesi membri dell’Ue. Sopra di noi c’erano Belgio (46,2 per cento), Germania (44,2 per cento), Austria (43,3 per cento) e Ungheria (43,2 per cento). 

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