La crisi di governo non è ancora finita. E questa settimana si potrebbe davvero arrivare alle dimissioni del presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Come abbiamo spiegato nei giorni passati, l’esecutivo guidato da Conte è sopravvissuto alla prova delle camere, ma con numeri non sufficienti a dirsi al sicuro. Soprattutto al Senato, dove i sì a favore del governo si sono fermati a quota 156: abbastanza per ottenere la maggioranza relativa (anche grazie all’astensione di Italia viva), ma al di sotto della soglia della maggioranza assoluta (161 voti) e quindi poco rassicuranti per la gestione quotidiana dei lavori parlamentari.
La settimana si apre in una situazione di incertezza e stallo, che potrebbe precipitare da un momento all’altro. Vediamo quali sono le evoluzioni possibili nei prossimi giorni, o forse persino nelle prossime ore.
Verso le dimissioni di Conte?
Fra lunedì e martedì, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte potrebbe rassegnare le dimissioni al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il progetto di allargare la base parlamentare a sostegno del governo Conte II sembra ormai ufficialmente fallito. Il premier non ha trovato nuovi “responsabili” o “volenterosi” per stabilizzare la propria maggioranza.
Perché questa improvvisa accelerazione verso le dimissioni? Due ragioni, principalmente. La prima è il doppio appuntamento che attende il governo in Parlamento nei prossimi giorni. Mercoledì 27 gennaio alla Camera – e forse il giorno stesso o il giorno dopo al Senato – il ministro Alfonso Bonafede terrà le sue comunicazioni sulla relazione annuale sulla giustizia. Di fatto si tratterà di un discorso in cui il Guardasigilli farà un bilancio sull’ultimo anno e sulla riforma della giustizia.
Quello che è in genere un passaggio ordinario potrebbe diventare cruciale per la sopravvivenza dell’esecutivo. Dopo il discorso di Bonafede ci sarà infatti la presentazione delle risoluzioni a favore o contro le comunicazioni del ministro. Al Senato, questa volta il governo rischia davvero di “andare sotto”, come si dice in gergo, ovvero di non avere i voti necessari alla maggioranza.
Italia viva ha già annunciato il proprio voto contrario. E i 156 voti faticosamente raggiunti per la fiducia al Senato il 19 gennaio sono tutt’altro che garantiti: i senatori Pier Ferdinando Casini (Per le autonomie), Sandra Lonardo (Misto) e Riccardo Nencini (Partito socialista italiano) probabilmente non voteranno a favore così come gli ex forzisti Andrea Causin e Maria Rosaria Rossi. Questo perché chi si riconosce in una cultura politica garantista non apprezza la riforma della giustizia voluta da Bonafede e più in generale le posizioni del Movimento 5 stelle sul tema.
Conte potrebbe quindi decidere di evitare l’incidente in aula. Se infatti si trovasse a dare le dimissioni dopo una bocciatura del Senato, il presidente del Consiglio indebolirebbe le proprie possibilità di ottenere un nuovo incarico dal capo dello Stato Sergio Mattarella.
C’è poi una seconda ragione (collegata alla prima). La formazione di un nuovo governo potrebbe in realtà attirare più facilmente nuove adesioni, e non di parlamentari sparsi ma di un polo centrista, legittimato come forza politica all’interno della coalizione. Il suggerimento è arrivato al presidente del Consiglio anche da Bruno Tabacci, deputato del Centro democratico, che ha cercato invano di raccogliere nuove truppe a sostegno del governo. Secondo Tabacci, il premier dovrebbe cercare di formare un nuovo esecutivo con «personalità autorevoli» e a quel punto «chiamare tutte le forze politiche alle proprie responsabilità».
Un governo di unità nazionale?
Secondo i retroscena del Corriere della sera, dopo le eventuali dimissioni di Conte, non sarebbe da escludere un «governo di salvezza nazionale» o «governo di interesse nazionale», in una forma ridotta: un governo Conte ter allargato non a tutte le forze politiche ma alla parte più moderata del centrodestra e forse al partito di Matteo Renzi.
Proprio su Italia viva, però, la maggioranza non ha una posizione univoca. Il Partito democratico non esclude un’apertura. «Ora Renzi dimostri effettivamente di avere il senso non dell’errore ma un po’ del salto nel buio che lui ha procurato e incominci in Parlamento a dare qualche segnale, se ci sono delle aperture», ha detto Goffredo Bettini, consigliere del segretario Pd Nicola Zingaretti e sostenitore del premier Conte, intervistato a Omnibus su La7.
Al momento non sembra delle stesso avviso il Movimento 5 stelle. «Renzi? Chi è il problema non può essere la soluzione, non è una questione personale ma di affidabilità politica», ha commentato il ministro allo Sviluppo economico Stefano Patuanelli al termine di un incontro fra il governo e Confindustria a Palazzo Chigi, il 25 gennaio. Sulla stessa linea anche l’ex capo politico Luigi Di Maio che, ospite Mezz’ora in più su Rai 3 il 24 gennaio, ha detto (min. 26: 16): «Conte ha detto chiaramente che se Renzi avesse staccato la fiducia al governo, non ci sarebbe stata la possibilità di riparlarci».
In conclusione
La crisi di governo non si è conclusa, anzi: proprio nelle prossime ore potrebbe aprirsi formalmente con le dimissioni del presidente del Consiglio Giuseppe Conte.
Il premier la settimana scorsa ha ottenuto la fiducia delle camere ma con numeri troppo incerti e una maggioranza instabile.
Dopo un tentativo fallito di attirare nuovi parlamentari nel perimetro della maggioranza, Conte si trova a dover valutare seriamente le dimissioni. Principalmente per due motivi: da una parte, evitare il voto sulla relazione sulla giustizia del ministro Bonafede, mercoledì 27. Dall’altra, convincere nuove forze politiche ad appoggiarlo davanti alla prospettiva di un nuovo esecutivo.
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