Il secondo governo presieduto da Giuseppe Conte non è caduto alla prova delle camere. Dopo due lunghissimi giorni di lavori parlamentari, è questo l’unico punto certo. E non è abbastanza per considerare la crisi un capitolo archiviato.

Lunedì 18 gennaio, il presidente del Consiglio ha incassato la fiducia della Camera con una buona maggioranza: 321 sì, 259 contrari e 27 astenuti, ovvero i deputati di Italia viva. Numeri al di sopra anche della maggioranza assoluta, attualmente fissata a quota 315 su 629 deputati (generalmente sono 630, ma c’è un seggio vacante dalle dimissioni del deputato Pd Pier Carlo Padoan, oggi presidente di Unicredit).

Non è andata altrettanto bene martedì 19 gennaio al Senato. Il governo ha ottenuto anche la fiducia di Palazzo Madama, ma con numeri risicati: 156 favorevoli, 140 contrari e 16 astenuti. Al di sotto della maggioranza assoluta dell’assemblea, 161 senatori.

Per i due voti di fiducia bastava la maggioranza relativa: anche un solo sì in più rispetto ai no.

Quindi cosa succede ora? Il governo è al sicuro? Non proprio. Vediamo quali sono le questioni più imminenti per l’esecutivo di Giuseppe Conte.

Una maggioranza da consolidare

Perché il governo possa rimanere in carica è necessario che abbia la fiducia di entrambe le camere, come previsto dall’articolo 94 della Costituzione. Come abbia visto, non è necessaria la maggioranza assoluta per ottenerla.

Tuttavia, una maggioranza risicata può rendere difficile la gestione dei lavori parlamentari. Nello specifico, al Senato, il governo ha ottenuto 156 sì anche grazie ai voti a favore di due senatori di Forza Italia (Andrea Causin e Maria Rosaria Rossi) e di tre senatori a vita: Mario Monti, Elena Cattaneo e Liliana Segre. I senatori a vita partecipano raramente alla vita parlamentare, quindi questi numeri non cambieranno gli equilibri all’interno delle commissioni parlamentari.

Proprio le commissioni sono un punto dolente nella situazione del governo. Come ha fatto notare il Sole 24 ore, senza i senatori renziani (astenuti nel voto di fiducia), i partiti a sostegno dell’esecutivo avrebbero la maggioranza in solo tre delle 14 commissioni del Senato: Finanze, Agricoltura e Lavoro.

Di volta in volta, quindi, i voti decisivi sarebbero comunque quelli di Italia viva.

In quest’ottica va quindi letto il commento su Twitter del presidente Conte subito dopo l’esito del voto al Senato: «Ora l’obiettivo è rendere ancora più solida questa maggioranza». Il giorno dopo, il 20 gennaio, l’ha ribadito anche il segretario Pd Nicola Zingaretti più esplicitamente: «Occorre rafforzare e ampliare la forza parlamentare di questo governo».

In altri termini, l’appello del presidente del Consiglio ai “volenterosi” – parlamentari fino ad oggi non appartenenti alla maggioranza che vogliano entrarvi per stabilizzare il governo – rimarrà valido nei prossimi giorni. Semplificando: si cercheranno nuove adesioni di “responsabili”.

Quando la maggioranza relativa non basta

I numeri del governo sono tanto più traballanti quando si considera che non sempre è sufficiente la maggioranza relativa nelle votazioni alla Camera e al Senato. Non basta, ad esempio, per fare nuovo debito. L’articolo 81 della Costituzione prevede che «il ricorso all’indebitamento» sia consentito solo con l’«autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali».

L’esempio dell’indebitamento non è casuale, ma riguarda nello specifico il primo appuntamento che attende la maggioranza all’indomani dei voti di fiducia. Mercoledì 20 gennaio, sia la Camera che il Senato sono chiamati a votare un nuovo scostamento di Bilancio da 32 miliardi di euro per rifinanziare il decreto Ristori.

Il voto del 20 gennaio non sarà un problema perché lo scostamento verrà appoggiato anche dal centrodestra e da Italia viva: tutte le forze politiche riconoscono la necessità di dare sostegno alle attività economiche colpite dalla crisi. Si tratta infatti del sesto scostamento di bilancio dall’inizio della crisi sanitaria (ma il primo del 2021) e anche i precedenti sono sempre stati approvati in maniera bipartisan.

Rimane però un dato politico: in circostanze come queste, il governo continuerà a dipendere dai sì delle opposizioni e di Italia viva (che per ora è in una situazione di limbo, non espressamente all’opposizione).

E il ruolo del Quirinale?

Ottenuta la fiducia, il premier Conte non è obbligato a dare le dimissioni. Un confronto con il presidente della Repubblica si rende però necessario, perché la tenuta del governo, come abbiamo spiegato, non è ancora stata messa in sicurezza.

Nel primo pomeriggio del 20 gennaio, i partiti che sostengono Conte si sono riuniti in video-conferenza per fare il punto della situazione. Alle 18.30 il presidente del Consiglio andrà al Quirinale per riferire sulla situazione politica.

Nelle stesse ore si è tenuto anche un vertice di centrodestra. Al termine della riunione, Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia hanno annunciato, in una nota congiunta, l’intenzione di «rappresentare al Presidente della Repubblica il proprio punto di vista sulla situazione che è ormai insostenibile». In altri termini, anche il centrodestra chiederà un colloquio al presidente Mattarella.

In conclusione

Lunedì 18 e martedì 19 gennaio, Camera e Senato hanno confermato la fiducia al secondo governo Conte. I numeri della maggioranza parlamentare, deboli soprattutto al Senato, non permettono di considerare del tutto archiviata la crisi di governo.

Il primo problema sarà la gestione dei lavori parlamentari e, nello specifico, delle commissioni. Soprattutto al Senato, la maggioranza continuerà a dipendere dai voti di Italia viva ed eventualmente delle opposizioni. Sarà così anche in occasione di voti decisivi, ad esempio quelli che riguardano il bilancio.

Il primo obiettivo del governo Conte, nei prossimi giorni, sarà quindi quello di allargare la base parlamentare (semplificando: dovrà convincere più parlamentari a entrare in maggioranza).

Nel frattempo, il 20 gennaio alle 18.30 si terrà un colloquio fra il premier e il presidente della Repubblica. Anche i partiti di centrodestra hanno intenzione di incontrare Mattarella per esporgli la propria posizione sulla crisi in corso.