Quanto sono forti le disuguaglianze di reddito e ricchezza in Italia

I dati più recenti mostrano un quadro variegato: negli ultimi anni la distanza tra i redditi dei più abbienti e quelli dei meno abbienti è rimasto piuttosto stabile, mentre è cresciuta quella tra chi ha più ricchezza e chi meno
ANSA/ALESSANDRO DI MEO
ANSA/ALESSANDRO DI MEO
Il 14 giugno Istat ha pubblicato un report sulle condizioni di vita e sul reddito delle famiglie in Italia, un’indagine che ogni anno racconta il benessere economico dei cittadini del nostro Paese. Il rapporto dell’Istituto nazionale di statistica contiene vari dati interessanti, dal valore del reddito medio e mediano (ossia quello percepito dalle famiglie che si trovano a metà della distribuzione: il 50 per cento delle famiglie ha un reddito più alto di quello mediano, l’altra metà più basso), fino ai dati sulla povertà e sulla disuguaglianza.

La maggior parte dei dati dello studio fa riferimento al 2021, anno in cui le condizioni di vita di famiglie e cittadini in Italia sono migliorate rispetto al 2020, che è stato fortemente condizionato dalla pandemia di Covid-19. Secondo i dati è sceso, seppur di poco, il numero di persone a rischio di povertà o di privazione sociale e si è ridotta la disuguaglianza, mentre sono aumentati, sempre di poco, il reddito medio e quello mediano. In particolare il reddito medio delle famiglie è cresciuto del 3 per cento in termini nominali e dell’1 per cento in termini reali (ossia al netto dell’inflazione), attestandosi intorno ai 33.800 euro annui.

Più rappresentativo è invece il dato sul reddito mediano: questo è aumentato più di quello medio (+1,4 per cento), attestandosi intorno ai 27 mila euro (2.248 euro al mese). Non è una cifra bassa, ma nemmeno così alta se si pensa, per esempio, a una famiglia di quattro persone, soprattutto se si ha in mente un certo stile di vita. Va anche considerato che la metà di tutte le famiglie guadagna comunque meno. Il calcolo di Istat non tiene poi conto dell’evasione, che può essere un fattore rilevante per rivedere al rialzo i redditi davvero a disposizione di alcune famiglie. Per esempio possono esserci famiglie in cui uno o entrambi i genitori lavorano in nero oppure famiglie di piccoli imprenditori e professionisti, che hanno più occasioni per non dichiarare quanto guadagnato.

Al di là degli indicatori in termini assoluti come il reddito, che forniscono una prospettiva utile per comprendere la capacità di spesa delle famiglie, è necessario controllare come sono distribuiti questi redditi. Per farlo si possono usare vari indicatori, che danno una prospettiva diversa sul tema. Povertà e disuguaglianza, infatti, sono fenomeni cosiddetti “multidimensionali”, ossia non dipendono da un solo fattore, ma da molti fattori combinati insieme. Per esempio questi fenomeni si riflettono nel diverso accesso alla casa, all’assistenza sanitaria, all’istruzione o ad altri servizi. I dati su reddito e ricchezza rimangono comunque indicatori imprescindibili, dato che buona parte del resto dei beni e servizi che migliorano il benessere sono in qualche modo correlati a loro.

La disuguaglianza di reddito

Il primo dato evidenziato da Istat è il rapporto tra il reddito del 20 per cento più abbiente della popolazione e quello del 20 per cento meno abbiente. Come si può intuire, questo indicatore offre una misura della distanza tra i più benestanti e quelli con difficoltà economiche, che è un po’ il nucleo del concetto di disuguaglianza. Secondo Istat, nel 2021 questo rapporto era pari a 5,6: detto altrimenti, il 20 per cento più abbiente in Italia aveva quasi sei volte il reddito del 20 per cento meno abbiente.

Questo dato è positivo o negativo? Per farci un’idea possiamo confrontarlo con i dati di altri Paesi, dato che lo stesso indicatore è pubblicato dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), anche se è aggiornato al 2019. Questi dati, nonostante siano ormai di quattro fa, vanno comunque bene per avere un confronto a livello internazionale, visto che il livello di disuguaglianza tende a cambiare piuttosto lentamente nel tempo. Secondo i dati Ocse, il livello di disuguaglianza in Italia è più alto rispetto a buona parte degli altri Paesi avanzati che fanno parte dell’organizzazione.
C’è comunque una buona notizia: il livello di disuguaglianza di reddito dato da questo indicatore è rimasto piuttosto stabile negli ultimi 15 anni. Al netto del dato incoraggiante, il rapporto tra il 20 per cento più abbiente e il 20 per cento meno abbiente è rappresentativo del divario tra le persone parecchio ricche e le persone parecchio povere, ma come si è evoluta per esempio nel tempo la distanza tra i ricchissimi e la classe media? 

Secondo i dati del World Inequality Database – il più grande archivio statistico su disuguaglianza di reddito, ricchezza e opportunità al mondo, costruito dagli economisti Anthony Atkinson, Thomas Piketty, Emmanuel Saez e dai loro collaboratori – la quota di reddito detenuta dal 10 per cento più benestante in Italia è aumentata dal 33 per cento del 1995 al 37,5 per cento del 2018, mentre quella del 50 per cento meno abbiente (che possiamo identificare come la “classe media”) è scesa dal 17 al 16 per cento circa. Si può quindi dire che la distanza tra classe più abbiente e quella meno abbiente è rimasta tendenzialmente invariata. La distanza tra le famiglie più ricche e la classe media è invece aumentata.

La disuguaglianza di ricchezza

C’è poi un altro fattore da tenere in considerazione: la disuguaglianza di ricchezza. Il reddito è una variabile di flusso, ossia indica il denaro che si guadagna in un certo periodo di tempo. La ricchezza invece è una variabile di stock, ossia indica la quantità di denaro (e di attività finanziarie, immobiliari e imprenditoriali) che si accumulano nel tempo. La disuguaglianza di ricchezza è più difficile da ridurre perché, appunto, la ricchezza si accumula nel tempo, anche per generazioni. La ricchezza però rappresenta anche le risorse produttive della società: se le opportunità restano solo in mano a pochi, diventerà sempre più difficile per i più poveri migliorare la propria condizione. Qual è quindi il livello di disuguaglianza di ricchezza in Italia? 

Secondo il World Inequality Database, negli anni la distanza tra il 10 per cento più ricco e la cosiddetta “classe media” (il 50 per cento più povero) è aumentata di molto. Nel 1995 la classe media aveva in mano il 10,2 per cento della ricchezza totale italiana. Nel 2021 il dato è calato al 2,5 per cento, un quarto rispetto a 26 anni prima. Nel frattempo la quota di ricchezza in mano al 10 per cento più ricco è aumentata dal 44,7 al 56,2 per cento.

L’inflazione peggiorerà le cose?

I dati analizzati da Istat arrivano al 2021. Tengono quindi conto della crisi causata dalla pandemia di Covid-19, ma non del forte aumento dell’inflazione, ossia dell’aumento medio dei prezzi, che è iniziato alla fine del 2021, ma si è sviluppato soprattutto nell’ultimo anno e mezzo. L’inflazione è un concetto centrale quando si parla di disuguaglianze, perché impatta sul valore del denaro e di conseguenza sui redditi e sulla ricchezza in mano alle persone. 

In particolare l’aumento dei prezzi tende a svantaggiare chi non può controllarli: i lavoratori dipendenti e i pensionati, oltre a chi ha poco potere contrattuale. Al contrario i lavoratori autonomi, così come chi possiede rendite immobiliari e finanziarie (che stanno crescendo proprio a causa dell’inflazione), hanno maggiori opportunità di beneficiare o di proteggersi dall’inflazione. Questo avviene perché gli autonomi possono “aggiustare” le proprie tariffe in base all’inflazione, mentre i dipendenti devono aspettare un aumento concesso dal datore di lavoro o dal contratto nazionale. 

Ricordiamo però che non tutti gli autonomi sono uguali: possono esserci occupati con partita Iva che, lavorando in agenzie o studi professionali, hanno pochi clienti, se non uno solo, e spesso non hanno abbastanza potere contrattuale per adeguare le proprie tariffe. In ogni caso, dipendenti, pensionati e autonomi con poco potere contrattuale sono più rappresentativi delle classi meno abbienti rispetto agli imprenditori o a chi possiede attività immobiliari o finanziarie. C’è quindi il rischio che l’aumento dell’inflazione possa peggiorare ulteriormente il divario tra benestanti e non nei prossimi anni.

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