Perché Di Maio è uscito dal Movimento 5 stelle

Dalla guerra in Ucraina ai rapporti con Conte, passando per la regola del doppio mandato: i tre motivi dietro alla scissione nel partito
ANSA/RICCARDO ANTIMIANI
ANSA/RICCARDO ANTIMIANI
Nella serata del 21 giugno, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha annunciato la sua uscita dal Movimento 5 stelle, durante una conferenza stampa all’hotel Sina Bernini Bristol di Roma. Secondo fonti stampa, circa 50 deputati e oltre dieci senatori formeranno due nuovi gruppi alla Camera e al Senato, dal nome “Insieme per il futuro”, ossia le formazioni che riuniscono i parlamentari in Parlamento in base alla loro appartenenza politica. Se questi numeri saranno confermati, il Movimento 5 stelle diventerebbe il secondo gruppo più numeroso in Parlamento, superato dalla Lega.

«Oggi io e tanti altri colleghi qui presenti lasciamo il Movimento 5 stelle», ha dichiarato il ministro degli Esteri. Le ragioni dietro questa scelta sono almeno tre.

Le posizioni sull’Ucraina

Come prima cosa, durante il suo discorso Di Maio ha commentato la risoluzione sulla guerra in Ucraina, approvata poche ore prima dal Senato, dopo le comunicazioni del presidente del Consiglio Mario Draghi di fronte ai senatori, in vista del Consiglio europeo del 23 e 24 giugno. La risoluzione è un testo che, tra le altre cose, impegna il governo italiano ad aumentare i propri sforzi diplomatici per porre fine alla guerra in Ucraina. A questo documento si è arrivati dopo lunghe trattative, in particolare per i dubbi espressi dal Movimento 5 stelle, guidato da Giuseppe Conte, che sostiene – almeno per ora – il governo Draghi.

«Dopo settimane di ambiguità, di tensioni, di turbolenze e attacchi, oggi siamo arrivati a un voto chiaro e netto», ha dichiarato Di Maio di fronte ai giornalisti, parlando di «un lungo e logorante scontro sul negoziato», condotto «per fini mediatici», senza però mai citare esplicitamente il nome di Conte. «Davanti alle atrocità che sta commettendo Putin in Ucraina, non potevano continuare a mostrare incertezze: dovevamo necessariamente scegliere da che parte stare della storia», ha aggiunto Di Maio.

Secondo l’ex capo politico del Movimento 5 stelle, il suo ormai ex partito avrebbe messo in discussione sia il suo lavoro da ministro degli Esteri sia quello del presidente del Consiglio, mettendo in difficoltà il governo in occasione di vertici internazionali, «solo per recuperare qualche punto percentuale, senza neanche riuscirci». Il riferimento in questo caso è ai risultati delle elezioni comunali, dove lo scorso 12 giugno il Movimento 5 stelle è andato male, perdendo molti voti rispetto alle precedenti elezioni.

Le tensioni con Conte

Le divisioni all’interno del Movimento 5 stelle non sono state causate dalla guerra in Ucraina, che le ha amplificate, ma hanno radici più lontane. Da tempo, infatti, i rapporti tra Conte e Di Maio sono difficili, ma fino a pochi giorni fa l’ipotesi più plausibile sembrava essere l’espulsione del ministro degli Esteri dal partito, scenario poi accantonato. 

L’allontanamento di Di Maio dai vertici del partito è iniziato a gennaio 2020, quando si è dimesso dal ruolo di capo politico. Parallelamente, ha guadagnato sempre più spazio la figura di Conte, con cui spesso in passato Di Maio ha avuto posizioni divergenti. A inizio febbraio scorso, ossia prima dello scoppio della guerra in Ucraina, lo stesso Di Maio si è dimesso dal Comitato di garanzia del Movimento 5 stelle, organismo che ha il compito di vigilare sull’applicazione delle regole interne al partito. Secondo il ministro degli Esteri, le sue dimissioni si erano rese necessarie per «avviare una riflessione interna» al partito, dopo la rielezione di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica, che avevano visto scontrarsi proprio Conte e Di Maio.

La regola del doppio mandato

Infine, secondo alcuni commentatori politici, la scelta di Di Maio e di alcuni colleghi di lasciare il Movimento 5 stelle sarebbe motivata anche dalla cosiddetta “regola del doppio mandato”. Questa regola è uno dei principi su cui si basa il movimento sin dalla sua nascita e stabilisce che un parlamentare eletto con il Movimento 5 stelle non possa ricandidarsi dopo essere stato eletto per due volte in Parlamento. Di recente, Conte ha detto che gli iscritti del movimento potranno votare se mantenere o meno la regola del doppio mandato, che a luglio 2019 era già stata cambiata da Di Maio, all’epoca capo politico del Movimento 5 stelle. In quel caso, Di Maio aveva introdotto il cosiddetto “mandato zero”, che permetteva ai consiglieri comunali e di municipio di essere eletti al massimo per tre volte.

Ora, quando manca meno di un anno alla scadenza della legislatura, sono molti i parlamentari del Movimento 5 stelle alla fine del loro secondo mandato, che, se le cose non dovessero cambiare, non sarebbero dunque più candidabili. Nonostante lo stesso Di Maio abbia di recente criticato l’ipotesi di cambiare la regola del doppio mandato, è possibile che alcuni parlamentari del Movimento 5 stelle – che sono stati eletti nel 2018, sotto la guida proprio di Di Maio – abbiano seguito la sua scelta di abbandonare il partito, sperando di poter essere rieletti alle prossime elezioni politiche del 2023, anche se è ancora presto parlare di “partito” per la nuova formazione guidata da Di Maio.

Non va inoltre dimenticato che dalle prossime elezioni gli eletti in Parlamento passeranno da 945 a 600, per via del taglio dei parlamentari. Le possibilità di essere rieletti saranno dunque ancora più ridotte.

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