I conti di Schlein e del PD sui referendum non tornano

Numeri alla mano, il confronto con le elezioni del 2022 non sta tanto in piedi
ANSA
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Il 10 giugno, in un’intervista con la Repubblica, la segretaria del Partito Democratico Elly Schlein ha commentato i risultati dei referendum su cittadinanza e lavoro, che non hanno raggiunto il quorum, nonostante il sostegno del suo partito. 

«Noi siamo contenti per i 14 milioni di elettori che hanno votato, loro per quelli che non sono andati», ha dichiarato Schlein, criticando i partiti del governo Meloni, accusati di aver fatto «una vera e propria campagna di boicottaggio politico e mediatico». «Ma hanno ben poco da festeggiare: ai referendum ha votato più gente di quella che lo fece per mandare Meloni al governo. Invece di deriderla dovrebbero riflettere», ha detto Schlein, aggiungendo che «i 12,5 milioni di Sì ai referendum sono più di quelli presi da loro alle politiche, e più dei voti presi allora dal centrosinistra».

Il giorno prima, Schlein aveva fatto alcune dichiarazioni simili, in un comunicato diffuso dal Partito Democratico: «Per questi referendum hanno votato più elettori di quelli che hanno votato la destra mandando Meloni al governo nel 2022. Quando più gente di quella che ti ha votato ti chiede di cambiare una legge dovresti riflettere invece che deriderla».

Lo stesso Partito Democratico, poche ore dopo la chiusura dei seggi e con il conteggio dei voti ancora in corso, ha pubblicato un grafico sui social network in cui ha messo a confronto i «13 milioni» di Sì ai referendum dell’8 e 9 giugno con i «12 milioni di voti presi da tutta la destra alle elezioni del 2022».
Vediamo perché, numeri alla mano, questi conteggi non stanno tanto in piedi.

Il dato sull’affluenza

Partiamo dal dato di Schlein sull’affluenza, secondo cui hanno votato «14 milioni di elettori». 

Secondo il Ministero dell’Interno, l’affluenza ai referendum è stata del 29,9 per cento, considerando gli elettori in Italia e quelli all’estero. Dato che gli aventi diritto di voto sono circa 51,3 milioni, vuol dire che tra Italia ed estero hanno votato oltre 15 milioni di elettori. 

Il dato dei «14 milioni di elettori», citato dalla segretaria del Partito Democratico, fa riferimento ai soli voti espressi in Italia, dai quasi 46 milioni di aventi diritto di voto. Nel complesso, il numero di voti validi espressi in Italia è stato simile per ciascuno dei cinque referendum abrogativi. Se si sommano i Sì e i No, si ottengono circa 13,8 milioni di voti, arrotondati per eccesso da Schlein.

Ma non tutti hanno votato Sì, schierandosi quindi a favore della modifica delle leggi oggetto dei quesiti referendari. I due quesiti sul reintegro in caso di licenziamento illegittimo e sulle causali nei contratti a termine hanno raccolto entrambi circa 12,2 milioni di Sì, mentre gli altri due quesiti sul lavoro ne hanno raccolti poco più di 12 milioni. I Sì al referendum sulla cittadinanza sono stati invece circa 9 milioni, con oltre 4,7 milioni di No.

Il confronto con le politiche

Secondo Schlein, «i 12,5 milioni di sì ai referendum sono più di quelli presi da loro alle politiche». Come abbiamo visto, considerando i voti espressi in Italia – il bacino a cui ha fatto riferimento la segretaria del PD nella sua intervista – i Sì sono stati circa 300 mila in meno, se si prendono i due quesiti con più Sì.

Alle elezioni politiche del 2022, i quattro partiti della coalizione di centrodestra che oggi sostengono il governo Meloni – Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia e Noi Moderati – hanno raccolto circa 12,3 milioni di voti, dunque un numero più alto dei Sì ai referendum.

Dunque, se si considerano i voti espressi in Italia, anche la grafica del Partito Democratico è scorretta perché parla di 13 milioni di Sì ai referendum contro i 12 milioni di voti presi dal centrodestra alle elezioni politiche del 2022. Il primo numero è sovrastimato, il secondo sottostimato.

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E l’estero?

Se nel conteggio si considerano i voti all’estero, i Sì arrivano intorno ai 13 milioni solo per i quesiti sul reintegro in caso di licenziamento illegittimo e sulle causali nei contratti a termine. Negli altri due quesiti sul lavoro i Sì sono meno di 12,8 milioni, e in quello sulla cittadinanza meno di 9,8 milioni.

Alle elezioni del 2022, la lista all’estero formata dai partiti che supportano il governo Meloni ha preso oltre 280 mila voti, che sommati ai 12,3 milioni delle liste in Italia danno quasi 12,6 milioni di voti. In più, andrebbe considerato che 140 mila voti all’estero sono andati alla lista del Movimento Associativo Italiani all’Estero (MAIE), che in Parlamento ha dato la fiducia al governo Meloni. Considerando anche questi voti, la distanza tra i Sì ai referendum e i voti dei partiti che appoggiano il governo Meloni di fatto si annulla.

Dopo il voto, Schlein ha detto che i partiti di centrosinistra hanno raccolto più Sì rispetto ai voti presi alle elezioni del 2022. Qui il confronto si fa più difficile, perché i partiti all’opposizione, pur invitando tutti a votare, hanno avuto posizioni diverse sui referendum: il Partito Democratico, seppure con divisioni interne, e Alleanza Verdi-Sinistra erano a favore di cinque Sì; il Movimento 5 Stelle era a favore di quattro Sì, con libertà di voto sulla cittadinanza; Azione era per il Sì sulla cittadinanza e No ai quesiti sul lavoro; Italia Viva per un Sì, due No e due libertà di voto; Più Europa per due Sì e tre No. Nel complesso, considerando i voti in Italia e quelli all’estero, le liste di questi partiti hanno preso nel 2022 circa 14,4 milioni di voti, un numero superiore ai Sì ai referendum.

Un confronto traballante

Al di là dei numeri, il confronto fatto da Schlein e Partito Democratico tra referendum ed elezioni politiche è poco solido, per vari motivi.

I referendum abrogativi e le elezioni politiche sono strumenti molto diversi, con logiche di partecipazione e significati politici non sovrapponibili. Alle elezioni si scelgono i rappresentanti che governeranno il Paese, mentre i referendum abrogativi servono a modificare singole leggi e prevedono un quorum di partecipazione che incentiva tattiche come l’astensione. 

Inoltre, i voti validi nei referendum non equivalgono a un sostegno politico compatto: non tutti coloro che hanno votato Sì condividono le stesse idee dei partiti che hanno supportato i referendum o appartengono allo stesso schieramento. Paragonare i Sì referendari ai voti presi da una coalizione alle elezioni politiche rischia quindi di semplificare eccessivamente il significato del voto e di fornire una rappresentazione distorta del consenso.
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