Come si leggono i sondaggi sulle elezioni degli Stati Uniti

Alcuni danno in vantaggio Harris, altri Trump. Per capirne l’affidabilità è importante sapere come sono condotti e conoscere i loro limiti
ANSA
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Mancano meno di due mesi alle elezioni presidenziali del 5 novembre negli Stati Uniti e da settimane continuano a uscire sondaggi – commentati dai politici italiani – con numeri contrastanti sul probabile successore di Joe Biden alla Casa Bianca. Da un lato c’è chi sostiene che vincerà l’attuale vicepresidente Kamala Harris, candidata dei Democratici; dall’altro lato c’è chi vede favorito l’ex presidente Donald Trump, candidato dei Repubblicani. 

Come stanno davvero le cose? Per rispondere a questa domanda, prima di tutto è fondamentale capire come funzionano i sondaggi condotti negli Stati Uniti e qual è il rischio che possano sopravvalutare le possibilità di vittoria di un candidato rispetto a un altro.

L’importanza del campione

I sondaggi sono rilevazioni statistiche: gli istituti sondaggisti intervistano un certo numero di persone, considerate rappresentative della popolazione, e chiedono loro come voterebbero se le elezioni si tenessero il giorno dell’intervista. In Italia il campione dei sondaggi politici è composto in media da mille persone intervistate, mentre negli Stati Uniti questo numero varia dalle 1.500 persone circa nei sondaggi condotti a livello nazionale a circa 750 persone nei sondaggi condotti nei singoli Stati. 

Un campione composto da meno di 800 persone può sembrare troppo piccolo per capire quali siano le intenzioni di voto di un intero Stato. In realtà un campione più numeroso non necessariamente è più affidabile: l’importante è che sia rappresentativo della popolazione totale degli elettori e che non si scenda su numeri troppo piccoli (400 o 500 persone sono indicativamente il numero considerato minimo per un sondaggio). 

Per esempio, se il 20 per cento della popolazione è laureato, anche il campione degli intervistati dovrà essere composto da un 20 per cento di laureati. Quasi tutti i sondaggi tengono conto del genere, dell’età, dell’etnia e del titolo di studio degli intervistati e degli elettori, e altri istituti considerano caratteristiche aggiuntive, come la posizione geografica o i voti espressi in passato. Visto che è quasi impossibile avere un campione del tutto sovrapponibile a quello degli elettori, gli istituti di sondaggi danno poi un peso maggiore o minore ai gruppi demografici per riequilibrare i dati raccolti. 

A questo va aggiunto che intervistare campioni rappresentativi è diventato più complicato rispetto al passato. Il metodo standard per fare le interviste dei sondaggi prevede di chiamare a caso numeri telefonici e intervistare chi risponde. Ma se una cinquantina di anni fa gli istituti riuscivano a intervistare il 70 per cento delle persone che chiamavano, ora quel numero è crollato sotto il 3 per cento. Per raccogliere mille risposte, si rischia di dover fare anche 50 mila chiamate. In più, il basso numero di risposte alimenta il cosiddetto nonresponse bias: i risultati dei sondaggi rischiano di essere non rappresentativi della popolazione perché sono basati solo sulle risposte di chi risponde ai sondaggi e, dunque, di chi è più interessato alla politica. 

La difficoltà nel fare sondaggi telefonici ha fatto nascere metodi alternativi per la raccolta delle intenzioni di voto, che hanno dato prova di affidabilità. Oggi il metodo più usato, alternativo alle telefonate, prevede di intervistare le persone via internet. Nel tempo la maggior parte degli istituti ha costruito gruppi di elettori (i cosiddetti panel) e a ogni elezione ne intervista una parte, un metodo che ha consentito di ridurre i costi. Altri istituti usano messaggi telefonici, altri ancora usano un mix di tecniche diverse.

Il margine di incertezza

Ogni sondaggio ha un margine di errore (o di incertezza) dovuto all’incertezza statistica: questo margine è determinato, tra le altre cose, da quanto è numeroso il campione e dalle percentuali dei candidati. Per esempio, se un candidato è dato al 50 per cento dei consensi su un campione di mille persone, il margine di errore si aggira intorno al 3 per cento. C’è insomma il 95 per cento di probabilità che il risultato corretto cada all’interno di un intervallo che va dal 47 al 53 per cento. Al diminuire della dimensione del campione, il margine di incertezza cresce. 

Nella realtà il margine di incertezza è più alto a causa di fattori che hanno un impatto e che non riescono a essere “catturati” dal semplice campione. Per esempio il Pew Research Center, uno dei principali istituti sondaggistici negli Stati Uniti, spiega che il margine di incertezza può crescere se alcune parti della popolazione sono state escluse dal sondaggio, se alcuni gruppi demografici hanno bassi tassi di risposta, o se gli intervistati non capiscono bene le domande. I dati del passato suggeriscono che il reale margine di errore dei sondaggi può essere circa il doppio di quanto dichiarato (per approfondire, si legga per esempio qui e qui).

Chi è stato sondato

Negli Stati Uniti esistono tre tipologie di sondaggi: “adulti” (abbreviati come A), “elettori registrati” (RV) e “elettori probabili” (LV). Come suggerisce il nome del primo tipo di sondaggi, quando un sondaggio è fatto su un campione di “adulti”, i sondaggisti stanno intervistando tutti i cittadini, indipendentemente dal fatto che siano registrati o meno nelle liste elettorali. Negli Stati Uniti, infatti, per votare bisogna iscriversi nei registri elettorali. 

I sondaggi sugli “elettori registrati” sono condotti sui cittadini che possono effettivamente votare, mentre i sondaggi sugli “elettori probabili” tengono conto di quale potrà essere l’affluenza al voto. I campioni di questo terzo tipo di sondaggi si basano infatti anche sulle stime dei sondaggisti su chi effettivamente voterà alle elezioni. Quando le elezioni sono lontane, la maggior parte dei sondaggi è condotta sugli elettori registrati, mentre avvicinandoci alle elezioni sono più numerosi i sondaggi sugli elettori probabili. I campioni LV sono infatti più precisi perché cercano di riflettere più accuratamente l’elettorato effettivo. Per capire chi sono questi elettori vengono fatte domande sull’interesse per le elezioni in arrivo, la storia di voto passata e l’intenzione di votare.

Quali sono i sondaggi migliori

Negli Stati Uniti ci sono molti istituti che conducono sondaggi. Un metodo per capire quali sono i più affidabili è basarsi sulla classifica che ha stilato FiveThirtyEight, un sito di aggregazione di sondaggi e analisi elettorali.

Secondo FiveThirtyEight, i migliori sondaggi sono in gran parte quelli condotti dai principali quotidiani e dalle università. Le prime dieci posizioni in classifica per affidabilità sono occupate da: il Siena College, che fa i sondaggi per il New York Times; ABC News/Washington Post: la Marquette University Law School; YouGov; il Monmouth University Polling Institute; il Marist College; la Suffolk University; Data Orbital; University of Massachusetts Lowell Center for Public Opinion; e l’Emerson College. 

Molti altri istituti sono considerati di bassa qualità o troppo allineati a un partito. Per esempio, tra i sondaggi più “vicini” ai Repubblicani ci sono quelli prodotti da Rasmussen, Trafalgar, InsiderAdvantager, Remington, SoCal, Wick, Spry e CoEfficient. Questi sondaggi non sono necessariamente sbagliati, ma i loro risultati vanno presi con più cautela. Lo stesso discorso vale per i sondaggi vicini ai Democratici.

Un altro fatto su cui bisogna fare attenzione è il committente del sondaggio: alcune rilevazioni sono fatte per gruppi politici che sostengono apertamente un candidato e storicamente i sondaggi di questo tipo sono i meno affidabili.

Occhio ai singoli Stati

Non bisogna poi dimenticare una particolarità del sistema elettorale degli Stati Uniti: le elezioni presidenziali sono decise nei cosiddetti swing states, ossia gli Stati in cui tra un’elezione e l’altra cambia la maggioranza da Democratici a Repubblicani, o viceversa, o che si ritiene possano cambiare maggioranza in questa tornata elettorale.

Alle elezioni presidenziali del 5 novembre sono considerati swing states, e quindi decisivi, sette Stati: il Michigan, il Wisconsin, la Pennsylvania, la Georgia, la Carolina del Nord, l’Arizona e il Nevada. 

Attenzione quindi se i sondaggi sono fatti a livello nazionale, considerando i cittadini di tutti gli Stati Uniti, o a livello statale, considerando solo i cittadini di un singolo Stato. I sondaggi davvero significativi sono i sondaggi nei singoli Stati, ma ha senso guardare anche i sondaggi a livello nazionale perché c’è comunque un collegamento tra questi e i possibili risultati finali. Sebbene sia vero che vincere il voto popolare non è sufficiente per diventare presidente, è altrettanto vero che se un candidato ha un larghissimo vantaggio a livello nazionale ha più probabilità di vincere le elezioni.

Come è andata nel 2016 e nel 2020

Non c’è ancora una risposta univoca su che cosa sia successo alle elezioni presidenziali del 2016 e del 2020, quando i sondaggi hanno sopravvalutato i consensi di Hillary Clinton e di Joe Biden rispettivamente di 1,3 punti e di 3,9 punti. All’inizio si è ipotizzato che avessero avuto un ruolo chiave gli elettori che si vergognavano di dire che avrebbero votato Trump, ma in realtà questa teoria si è rivelata poco solida. In entrambe le elezioni, i consensi dei due candidati democratici – la prima sconfitta da Trump, il secondo eletto presidente – sono stati il risultato di fenomeni diversi. 

Nel 2016 molti sondaggi non erano pesati per l’istruzione degli elettori, un fattore che è diventato importante nel prevedere le intenzioni di voto dei cittadini statunitensi. Più il titolo di studio sale, infatti, più i Democratici aumentano la loro quota di voti. Il non considerare questo fattore ha portato ad avere campioni con troppi elettori democratici, e quindi a sopravvalutare i consensi di Clinton.

Anche nel 2020 i campioni di molti sondaggi sono stati troppo sbilanciati verso i democratici, ma quattro anni fa ha pesato in particolare la pandemia di Covid-19. Gli elettori democratici, infatti, seguivano maggiormente le restrizioni introdotte per contrastare la pandemia e facevano lavori che si potevano fare da casa: era dunque più probabile che rispondessero al telefono nei sondaggi rispetto ai repubblicani.

Sbaglieranno anche questa volta?

A ogni elezione bisogna mettere in conto un possibile errore dei sondaggi, ma non è possibile prevedere in quale direzione andrà questo errore, ossia se in questa tornata elettorale colpirà Harris o Trump. I dati del passato mostrano che periodicamente l’errore colpisce entrambi i partiti, sia i Democratici sia i Repubblicani. 

Sappiamo però che – sulla base dei sondaggi più recenti – se alle elezioni presidenziali del 5 novembre dovesse verificarsi lo stesso errore del 2020, Trump vincerà e sarà eletto presidente. Se invece si verificherà un errore come quello registrato alle elezioni di metà mandato del 2022, anche in quell’occasione favorevole ai Democratici, allora vincerà Harris. 

A oggi il modello predittivo elaborato da Nate Silver, uno dei più importanti analisti elettorali statunitensi, dà in leggero vantaggio Trump, mentre il modello sviluppato da FiveThirtyEight dà leggermente avanti Harris. I sondaggi non sono una scienza esatta: quando i consensi stimati per due candidati quasi si equivalgono, come suggeriscono i sondaggi attuali, non si può davvero dire con una certa sicurezza se vincerà uno o l’altro. Possiamo dire, giorno per giorno, chi risulta favorito in base ai sondaggi più recenti e alle elaborazioni fatte dagli esperti, ma poi non bisogna stupirsi se vince il candidato dato per sfavorito. Allo stesso tempo non esiste ancora un’alternativa ai sondaggi, o meglio: l’unica alternativa sarebbe rinunciare sapere che cosa sta succedendo nelle intenzioni di voto degli elettori.

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