Che cosa dicono i sondaggi sulle elezioni presidenziali negli Stati Uniti

Abbiamo raccolto le rilevazioni dei principali istituti sulla sfida tra Harris e Trump, su cui i vari leader politici italiani si stanno schierando
EPA/JIM LO SCALZO
EPA/JIM LO SCALZO
Lunedì 2 settembre negli Stati Uniti si celebra il Labor Day, la festa dei lavoratori che tradizionalmente è considerata l’inizio della campagna elettorale per le elezioni presidenziali, quest’anno in programma il 5 novembre. Nelle ultime settimane i leader dei principali partiti italiani hanno annunciato chi sperano vincerà il confronto tra la democratica Kamala Harris e il repubblicano Donald Trump. Per esempio il segretario della Lega Matteo Salvini si è schierato per Trump, la segretaria del Partito Democratico Elly Schlein fa il tifo per Harris, mentre il presidente del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte ha deciso di non prendere posizione. 

A quasi due mesi dal voto, che cosa dicono i sondaggi sulle elezioni che eleggeranno il successore di Joe Biden alla guida degli Stati Uniti?

Come si vincono le elezioni negli Stati Uniti

Innanzitutto, è bene capire come funziona il sistema elettorale statunitense. Negli Stati Uniti le elezioni non si vincono ottenendo la maggioranza dei voti come nella maggior parte dei Paesi al mondo, ma ottenendo almeno 270 “grandi elettori” su 538. I cosiddetti “grandi elettori” sono persone delegate a votare per uno dei candidati alla presidenza e compongono un collegio elettorale speciale che ha il compito, per l’appunto, di eleggere il presidente e il vicepresidente degli Stati Uniti. In altre parole, alle elezioni presidenziali i cittadini statunitensi, votando per il candidato presidente e vicepresidente, eleggono i grandi elettori che poi andranno effettivamente a votare per eleggere il presidente dopo le elezioni.


Dunque, negli Stati Uniti non basta ottenere la maggioranza dei consensi nel voto popolare, ma la maggioranza dei voti dei grandi elettori. Per esempio nel 2016 la candidata del Partito Democratico Hillary Clinton ha perso le elezioni contro Trump nonostante avesse ottenuto più voti in valore assoluto. Questo dipende anche dal fatto che i 50 Stati che compongono gli Stati Uniti hanno un peso elettorale diverso, ossia eleggono un numero diverso di grandi elettori. Il numero di grandi elettori disponibili per ogni Stato dipende in gran parte dalla loro popolazione. La California, lo Stato più popoloso, ha a disposizione 54 grandi elettori (quindi 54 voti elettorali), mentre il North Dakota, tra gli Stati con meno abitanti, tre. Il candidato presidente che ottiene il maggior numero di voti a livello popolare in uno Stato conquista tutti i grandi elettori di quello Stato. 

Nelle elezioni presidenziali statunitensi gli Stati decisivi non sono però quelli con tanti voti elettorali, come appunto la California, ma quelli che tra un’elezione e l’altra votano partiti diversi o che si ritiene possano farlo in questa tornata elettorale. Nel linguaggio politico questi Stati sono chiamati “swing states” (in italiano, “stati oscillanti”). In queste elezioni, gli Stati considerati swing states sono sette: Michigan (10 voti elettorali), Wisconsin (15), Pennsylvania (19), Georgia (16), Carolina del Nord (16), Arizona (11) e Nevada (6). I primi tre sono nel Midwest, una regione centrale degli Stati Uniti che confina a Nord con il Canada, che in passato ha votato per i Democratici ma che negli ultimi anni è andata a destra; Georgia e Carolina del Nord si trovano lungo la costa orientale, mentre Nevada e Arizona si trovano a Sud-Ovest. A eccezione della Carolina del Nord, alle elezioni presidenziali del 2020 tutti questi Stati sono stati vinti da Biden, e ciò gli ha consentito di ottenere 306 grandi elettori su 538, diventando quindi presidente.
La tendenza di voto degli altri 43 Stati è già chiara, dato che questi Stati votano da molto tempo o per i Democratici o per i Repubblicani. Per questo la campagna elettorale si concentra di solito solo sugli Stati in bilico, ignorando gli altri. Per esempio, per Trump non c’è motivo di fare un comizio in Alabama, dato che questo Stato vota per candidati di destra da oltre quarant’anni. Ipotizzando che Harris e Trump vincano in ciascuno dei 43 Stati in cui la  tendenza di voto è chiara, al momento la candidata democratica parte da 226 grandi elettori mentre quello repubblicano da 219.

Che cosa dicono i sondaggi

Negli Stati Uniti sono condotti molti sondaggi, sia a livello nazionale sia a livello dei singoli Stati. Quelli davvero significativi sono i sondaggi nei singoli Stati, ma ha senso guardare anche quelli a livello nazionale perché c’è comunque un collegamento. Sebbene sia vero che vincere il voto popolare non è sufficiente per diventare presidente, è altrettanto vero infatti che se un candidato ha un larghissimo vantaggio a livello nazionale ha più probabilità di vincere. 

Secondo i principali istituti di sondaggi statunitensi, storicamente i Democratici hanno bisogno di circa 3 punti di vantaggio a livello nazionale per vincere abbastanza Stati da arrivare alla soglia minima di 270 grandi elettori. Il sistema elettorale statunitense favorisce i repubblicani, perché i democratici prendono tanti voti in Stati poco rilevanti per le elezioni, come New York o la California. Per esempio, per conquistare i 54 grandi elettorali della California basta un voto in più dei repubblicani, e tutti i voti aggiuntivi non servono dal punto di vista elettorale. Nel 2016 in California Clinton ha ottenuto oltre 4 milioni di voti in più rispetto a Trump, ma a livello nazionale il candidato repubblicano ha comunque conquistato più grandi elettori di lei.

Secondo una media dei sondaggi elaborata da Nate Silver, uno dei più importanti analisti elettorali statunitensi, al momento a livello nazionale Harris ha il 49,1 per cento dei consensi contro il 45,6 per cento di Trump. Harris è avanti anche in tutti gli Stati in bilico, a eccezione della Carolina del Nord e dell’Arizona. Il vantaggio dell’attuale vicepresidente è comunque limitato in Nevada e Georgia (0,9 punti di vantaggio), mentre è maggiore in Wisconsin (3,2 punti), Michigan (1,9) e Pennsylvania (1,3). In Arizona è avanti Trump di 0,6 punti, mentre in North Carolina ha un vantaggio di 0,4 punti.
Per arrivare esattamente a 270 grandi elettori, Harris avrebbe bisogno di vincere in Wisconsin, Michigan e Pennsylvania. Quest’ultimo è considerato lo Stato che ha la maggior probabilità di decidere le elezioni statunitensi.

Va considerato comunque che i sondaggi hanno tutti un margine di incertezza, che dipende da quanto è grande il campione. Nei sondaggi a livello statale negli Stati Uniti è normale usare campioni molto piccoli, con in media tra le 600 e le 800 persone intervistate. Per essere sicuri di essere al di fuori del margine di incertezza, è necessario che un candidato arrivi ad avere sette o otto punti di vantaggio sull’altro. Nel 2016 e nel 2020 i sondaggi hanno sottovalutato Trump, ma questo non implica necessariamente che succederà anche questa volta. Gli istituti sondaggistici applicano infatti dei correttivi per evitare di nuovo lo stesso errore e i dati storici mostrano che la direzione dell’errore dei sondaggi è imprevedibile tra un’elezione e l’altra.

Quali sono le probabilità di vittoria

Oltre ai sondaggi, negli Stati Uniti sono elaborati modelli predittivi che, partendo dalle rilevazioni, usano i dati storici e quelli economici per elaborare una probabilità di vittoria per ciascun candidato.

Il modello elaborato da Nate Silver, quello che esiste da più tempo, prevede una probabilità di vittoria per Trump del 56 per cento mentre per Harris del 44 per cento. Il modello sviluppato da FiveThirtyEight – un sito che raccoglie tutti i principali sondaggi negli Stati Uniti – dà Harris vincente nel 57 per cento contro il 43 per cento di Trump. Il modello sviluppato dal settimanale britannico Economist dà alla candidata democratica il 54 per cento di possibilità di vittoria, mentre al repubblicano il 46 per cento. Complessivamente, la media dei tre modelli dà il 53 per cento di probabilità di vittoria a Harris.
Come anticipato, secondo tutti e tre i modelli la Pennsylvania è lo Stato che deciderà le elezioni presidenziali di quest’anno. Per Nate Silver la Pennsylvania ha il 35 per cento di probabilità di decidere le elezioni, per l’Economist il 23 per cento, mentre per FiveThirtyEight il 16 per cento. Per Silver e l’Economist il secondo Stato più decisivo dopo la Pennsylvania è il Michigan, mentre per FiveThirtyEight la Georgia. 

È bene comunque precisare che avere in media il 53 per cento di probabilità di vittoria equivale praticamente a fare testa o croce quando si lancia una monetina: non è quindi possibile dire realmente chi tra i due candidati è il favorito a due mesi dal voto. Inoltre, si deve ancora tenere il dibattito presidenziale tra Harris e Trump, in programma il 10 settembre, e molte cose possono cambiare da qui alle elezioni. Essere avanti nei sondaggi a questo punto è importante perché a settembre inizierà il voto anticipato in diversi Stati. Ogni Stato ha infatti le sue regole specifiche sulle tempistiche e nelle modalità di voto. Per esempio, dal 6 settembre in Carolina del Nord saranno spedite le schede per il voto via posta a chi lo ha richiesto, mentre dal 16 settembre si inizierà a votare in Pennsylvania e dal 26 settembre in Michigan.

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