La candidatura di Schlein alle europee penalizzerebbe le donne nel PD?

I rischi ci sono, visto il sistema per eleggere i parlamentari europei. Ma ci sono anche possibili benefici
ANSA/RICCARDO ANTIMIANI
ANSA/RICCARDO ANTIMIANI
All’interno del Partito Democratico si sta intensificando il dibattito su un’eventuale candidatura della segretaria Elly Schlein alle elezioni europee di giugno 2024. «La mia candidatura sarà l’ultima questione: ora lavoriamo per liste aperte alla società civile», ha dichiarato Schlein a la Repubblica in un’intervista del 6 gennaio, commentando la possibile sfida alle urne con la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. La leader di Fratelli d’Italia non ha escluso una sua candidatura alle europee, che però sarebbe simbolica data l’incompatibilità di questo incarico con quello da capo del governo. Anche Schlein, se dovesse candidarsi ed essere eletta, dovrebbe scegliere tra il suo attuale ruolo di deputata nel Parlamento italiano e quello al Parlamento europeo, di cui ha già fatto parte dal 2014 al 2019. In base alla legge non si può essere contemporaneamente deputati (o senatori) e parlamentari europei.

Negli ultimi giorni alcune esponenti del PD hanno sollevato dubbi sulla candidatura di Schlein, dicendo che questa penalizzerebbe le altre candidate del partito. Per esempio, in una lettera pubblicata il 12 gennaio su L’Unità, l’ex ministra delle Infrastrutture Paola De Micheli ha scritto che con la candidatura della segretaria «ci sarebbero conseguenze negative per le candidature femminili». «Se puntiamo a essere, come spesso ci proclamiamo, un partito femminista, allora le donne vanno adeguatamente valorizzate nelle liste», ha aggiunto De Micheli.

Ma davvero una candidatura di Schlein alle europee penalizzerebbe le donne del PD? Come vedremo, questo timore non è del tutto infondato. Per capire il perché, come prima cosa bisogna conoscere i meccanismi che regolano il voto alle elezioni.

Come funzionano le elezioni europee

Il sistema elettorale per l’elezione dei parlamentari europei è di tipo proporzionale: in parole semplici, i partiti eleggono un numero di candidati al Parlamento europeo in proporzione al numero di voti ricevuti nelle urne. In totale l’Italia elegge 76 parlamentari europei su 720 e per poter eleggere almeno un parlamentare un partito deve ottenere a livello nazionale almeno il 4 per cento dei voti (questa è la cosiddetta “soglia di sbarramento”).

In base alla legge elettorale il territorio italiano è suddiviso in cinque circoscrizioni, che raggruppano alcune regioni ed eleggono un numero di candidati in rapporto alla loro popolazione. Per esempio la circoscrizione Italia Nord-Occidentale – la più grande – comprende Lombardia, Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta ed elegge 20 parlamentari europei. La circoscrizione Insulare, con Sardegna e Sicilia, ne elegge otto. 

Per ognuna delle cinque circoscrizioni ogni partito deve presentare una lista con almeno tre candidati e con al massimo un numero di candidati pari al numero dei parlamentari che può essere eletto nella singola circoscrizione. Dalle scorse elezioni europee, tenutesi nel 2019, ogni lista deve essere composta per metà da candidati uomini e per metà da donne. I primi due candidati della lista devono essere di sesso diverso e ogni candidato può candidarsi solo in una circoscrizione, in alcune o in tutte.

A differenza delle elezioni politiche, in cui si elegge il Parlamento italiano, alle elezioni europee ci sono le preferenze (questo non vale per sei Paesi europei, tra cui Francia, Spagna e Germania, dove non ci sono preferenze e le liste sono “bloccate”). Su un’unica scheda l’elettore può barrare il simbolo del partito che intende votare e, se vuole, esprimere da una a tre preferenze per i candidati nella lista del partito votato. Se si esprimono due preferenze, bisogna mettere almeno il nome di un uomo e quello di una donna, mentre con tre preferenze si possono indicare due donne e un uomo o due uomini e una donna. Se si viola questa regola, è conteggiata solo la prima preferenza espressa sulla scheda.

Senza entrare troppo nei dettagli tecnici, una volta raccolti tutti i voti si calcola quanti seggi spettano a ogni partito che ha superato la soglia di sbarramento. Per ogni partito è eletto un numero di candidati pari al numero dei seggi ottenuti e all’interno delle liste i candidati vincenti sono selezionati sulla base del numero delle preferenze che hanno preso. 

In un sistema elettorale di questo tipo, quali vantaggi e quali svantaggi potrebbe avere la candidatura di Schlein sulle altre candidate donne del PD?

I pro della candidatura di Schlein

Chiariamo subito che se Schlein si candidasse alle elezioni europee, con tutta probabilità si presenterebbe come capolista in una o più circoscrizioni. Su questo punto le voci all’interno del partito sono discordanti. Tra gli altri, negli ultimi giorni il presidente del PD Stefano Bonaccini, sconfitto da Schlein alle primarie, ha detto più volte che secondo lui sarebbe sbagliato per la segretaria candidarsi in tutte e cinque le circoscrizioni.

Attenzione però, l’ordine in lista non conta: come abbiamo visto, per essere eletti bisogna essere tra i candidati che hanno preso più preferenze. Di per sé essere capolista non garantisce l’elezione, come dimostra un esempio recente. Alle elezioni europee del 2019 Maria Angela Danzì era capolista del Movimento 5 Stelle nella circoscrizione Nord-Occidentale. Ma con oltre 14 mila preferenze non è stata eletta, superata da altre due candidate donne, che hanno preso più preferenze: Eleonora Evi (passata nel 2021 a Europa Verde) e Tiziana Beghin. A novembre 2022 Danzì è poi diventata lo stesso parlamentare europea quando Evi ha rinunciato al suo seggio dopo l’elezione a deputata nel Parlamento italiano. 

Essere in cima alle liste dei candidati può comunque dare un vantaggio di visibilità, una spinta in più da un punto di vista comunicativo. Per questo motivo le posizioni da capolista sono usate di solito dai partiti per trasmettere un messaggio politico e per dare risalto a un candidato o a una candidata. Per esempio alle elezioni europee del 2014 l’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi, e segretario del PD, ha indicato cinque donne come capolista. La stessa scelta è stata fatta dal Movimento 5 Stelle alle elezioni europee del 2019. 

In passato i principali leader di partito che si sono candidati alle europee lo hanno fatto proprio come capolista. Ne è un esempio la stessa Meloni, che alle elezioni europee del 2019 si è candidata in tutte e cinque le circoscrizioni come capolista. 

Secondo i favorevoli, il vantaggio principale di una candidatura di Schlein da capolista sarebbe quello di spingere più elettori ad andare a votare alle elezioni europee, non solo tra quelli del PD. Ricordiamo che a febbraio 2023 Schlein ha vinto le primarie del PD proprio grazie al voto degli elettori non iscritti al partito. Questo scenario diventerebbe ancora più realistico se si candidasse anche Meloni: in questo caso si creerebbe una sfida tra le leader dei due partiti che al momento i sondaggi danno al primo e al secondo posto nei consensi. Uno scenario di questo tipo potrebbe favorire tutte le candidate e i candidati del PD: più persone votano, più aumenta la possibilità per il partito di prendere voti, e di conseguenza di eleggere più parlamentari europei, mentre per i candidati aumenta la possibilità di prendere preferenze visto che più elettori vanno alle urne.

I contro della candidatura di Schlein

Per le donne candidate nel PD la partecipazione di Schlein alle elezioni europee rischia però di avere tre svantaggi. 

Primo svantaggio: se la segretaria del PD si candidasse, vista la parità di genere dei candidati e il numero limitato di posti nelle liste, ci sarebbe un posto in meno a disposizione per la candidatura di una donna. Questo posto sarebbe infatti occupato da Schlein. Se la segretaria si candidasse in più circoscrizioni, i posti in meno per candidate donne sarebbero più di uno.

Su un punto non bisogna fare confusione: la parità di genere vale solo per i nomi per le liste dei candidati, non per gli eletti. Per intenderci, se Schlein fosse eletta parlamentare europea, ma rinunciasse al seggio, non sarebbe necessariamente sostituita da un uomo. Al suo posto andrebbe al Parlamento europeo il candidato non eletto o la candidata non eletta che hanno preso più preferenze nella circoscrizione in cui si sono candidati. 

Per esempio nel 2019 il leader della Lega Matteo Salvini, all’epoca ministro dell’Interno, si è candidato alle elezioni europee come capolista in tutte e cinque le circoscrizioni, prendendo oltre 2,3 milioni di preferenze. Rinunciando al seggio, Salvini non è stato sostituito da cinque donne, ma da tre uomini e da due donne: questi erano i candidati che in lista, per numero di preferenze raccolte, venivano subito dopo all’ultimo candidato eletto.

Secondo svantaggio: i vincoli per le preferenze possono avere una controindicazione. Se un elettore volesse dare la propria preferenza a Schlein e volesse esprimerne un’altra per una candidata donna, dovrebbe indicarne anche una terza per un uomo. Questo richiederebbe uno sforzo aggiuntivo agli elettori. I dati delle elezioni europee del 2019, rielaborati tra gli altri da YouTrend e dal Centro italiano studi elettorali dell’Università Luiss e dell’Università degli Studi di Firenze, mostrano infatti che solo una minoranza degli elettori indica almeno una preferenza. E sono ancora di meno gli elettori che indicano due o tre preferenze. Paradossalmente, il nome di Schlein potrebbe togliere preferenze alle altre candidate. 

Terzo svantaggio: come ha sottolineato di recente su X il senatore della Lega Claudio Borghi, quando si candida un leader di partito, gli altri candidati nella lista si trovano in una situazione di difficoltà, dovendo fare campagna elettorale per se stessi e per il proprio leader di partito. «Quando mi candidai “di servizio” io alle europee nel 2014 per correttezza mi fu impossibile dire “scrivi Borghi”, ma dicevo sempre “scrivi Salvini, una candidata donna che preferisci e Borghi”. Altri invece non si fecero particolari scrupoli ma vabbé, vivi e impara, alla fine è andata meglio così», ha dichiarato Borghi. «Resta il fatto che il leader in lista, con il sistema a preferenze, un problema ai candidati lo pone». Un ragionamento analogo potrebbe essere fatto dalle candidate del PD, che dovrebbero chiedere di indicare il nome di Schlein, quello di un candidato uomo e poi il loro.

Ricapitolando: l’eventuale candidatura di Schlein alle europee può portare vantaggi e svantaggi per le candidate donne del PD, e anche per gli uomini. Questa scelta sarà il frutto di una valutazione politica, le cui conseguenze sono a oggi tutt’altro che scontate e prevedibili.

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