Da trent’anni chi perde ai referendum chiede di cambiare le regole

La proposta di modificare il quorum fatta dopo il voto dell’8 e 9 giugno si è già sentita molte volte in passato, senza risultati
Alcuni titoli di articoli degli anni Novanta che chiedevano di abbassare o eliminare il quorum dopo il fallimento di un referendum
Alcuni titoli di articoli degli anni Novanta che chiedevano di abbassare o eliminare il quorum dopo il fallimento di un referendum
«Bisogna in primo luogo aumentare, triplicandole almeno, il numero di firme necessarie per promuovere i referendum e in secondo luogo abbassare il quorum al 35 per cento». Potrebbe sembrare una frase di questi giorni, detta magari da uno dei promotori dei referendum dell’8 e 9 giugno, che il quorum non l’hanno raggiunto. Invece, a proporre di abbassare il numero di voti necessario per rendere validi i risultati di un referendum abrogativo, è stato oltre 15 anni fa l’attuale presidente del Senato, Ignazio La Russa, uno dei principali oppositori ai referendum su cittadinanza e lavoro.

Il caso di La Russa non deve stupire: negli ultimi trent’anni, esponenti di quasi tutti i partiti politici hanno chiesto senza successo di rivedere le regole sui referendum abrogativi e sul quorum, fissato nel 50 per cento più uno degli aventi diritto di voto, fino ad arrivare ad oggi.

Sulla piattaforma del Ministero della Giustizia, una nuova proposta di legge di iniziativa popolare che chiede di abolire il quorum ha raggiunto in poche ore quasi 70 mila firme, superando la soglia delle 50 mila necessaria per essere presentata in Parlamento. Questa proposta – che visti i precedenti, difficilmente arriverà all’approvazione definitiva – è stata fatta dal comitato “Basta Quorum–Cittadini per la Democrazia”, vicino ai Radicali italiani. 
Subito dopo la chiusura dei seggi, il 9 giugno anche il segretario di Più Europa Riccardo Magi – promotore del referendum sulla cittadinanza – ha chiesto di abrogare il quorum per «ridare vita allo strumento referendario». Una richiesta già sentita tante volte, ma mai arrivata a qualcosa di concreto in Parlamento.

Basta fare un salto indietro nel tempo di tre anni. Nel 2022, commentando il mancato raggiungimento del quorum dei referendum sulla giustizia, promossi dal suo partito, il leader della Lega aveva dichiarato che serviva «una riflessione sul quorum dei referendum, perché avanti di questo passo nessun referendum su nessun tema sulla faccia della Terra raggiungerà mai il 50 per cento dei votanti».

Trent’anni di quorum mancati

Nelle ultime dieci tornate elettorali in cui si è votato per referendum abrogativi il quorum è stato raggiunto solo in un caso, nel 2011, per i quesiti sull’acqua pubblica, il nucleare e il legittimo impedimento. Nelle nove tornate elettorali precedenti, il quorum era sempre stato raggiunto, tranne in una sola occasione.
I primi referendum che hanno dato il via alla serie di quesiti senza quorum sono stati quelli del 1997, promossi dal Partito Radicale, su temi molto diversi tra loro, come le privatizzazioni, l’obiezione di coscienza e la caccia. In quell’occasione l’affluenza fu del 30 per cento. Questo risultato causò un po’ di subbuglio all’interno della politica italiana e fu visto da alcuni commentatori come una possibile sentenza sulla “morte” dello strumento referendario.
Il commento del direttore del quotidiano L’Unità dopo il fallimento dei referendum di giugno 1997 – Fonte: Archivio storico La Stampa
Il commento del direttore del quotidiano L’Unità dopo il fallimento dei referendum di giugno 1997 – Fonte: Archivio storico La Stampa
Diversi partiti – tra cui il Partito Popolare Italiano – chiesero di alzare la soglia delle 500 mila firme necessaria per presentare i referendum, mentre l’allora deputato di Forza Italia Antonio Martino propose di modificare la Costituzione e di eliminare il quorum.

La riforma non arrivò e due anni dopo, nel 1999, un altro referendum abrogativo non superò il quorum: quello sull’abolizione della quota proporzionale nella legge elettorale della Camera, che fu invalidato perché vi partecipò solo il 49,6 per cento degli elettori.

Pochi giorni dopo il fallimento del referendum, alcuni deputati di Alleanza Nazionale – tra cui l’allora segretario Gianfranco Fini e attuali membri della maggioranza come il ministro del Made in Italy Adolfo Urso e il capogruppo al Senato di Forza Italia Maurizio Gasparri – presentarono una proposta di riforma costituzionale per eliminare il quorum. «Non si tratta certamente di una norma liberale, ma piuttosto giacobina», avevano definito i parlamentari la soglia del 50 per cento più uno di voti, che secondo loro era causa di una «gravissima distorsione della logica democratica» collegata alla «progressiva crescita dell’astensionismo “strutturale” o “fisiologico” che si è registrata negli ultimi venti anni».

Il progetto di legge non iniziò mai l’esame parlamentare e fu messo da parte, ma il dibattito sull’abolizione del quorum riprese nel 2000, quando a fallire furono altri sette quesiti promossi dai Radicali, alcuni dei quali appoggiati dalla stessa Alleanza Nazionale. Anche questi referendum riguardavano temi diversi tra loro, tra cui la legge elettorale, il Consiglio superiore della magistratura (CSM) e alcune norme sui licenziamenti e il finanziamento ai sindacati. In questa consultazione partecipò il 32 per cento degli elettori e i risultati non furono validi.

Il giorno subito il voto, L’Unità commentò «il fallimento dell’istituto referendario». La Stampa pubblicò un’intervista all’allora presidente del Senato Nicola Mancino, a cui venne chiesto se condivideva la proposta dei comitati referendari di abbassare o abolire il quorum. «Andare al di sotto di questa soglia sarebbe una forzatura rischiosa e disinvolta», commentò l’esponente dei Popolari.
L’intervista al presidente del Senato Nicola Mancino il giorno dopo il fallimento dei referendum del 2000 – Fonte: Archivio La Stampa
L’intervista al presidente del Senato Nicola Mancino il giorno dopo il fallimento dei referendum del 2000 – Fonte: Archivio La Stampa
Tre anni dopo, nel 2003, non raggiunsero il quorum due referendum proposti da Rifondazione Comunista e dai Verdi sui licenziamenti illegittimi e su alcuni obblighi previsti per i proprietari i terrieri. Registrarono un record negativo di affluenza pari a meno del 26 per cento dei votanti. Intervistato su La Stampa, il parlamentare europeo Mario Segni, promotore in quegli anni di diversi referendum, disse che era «necessario abbassare il quorum», per esempio portandolo «alla metà più uno di coloro che hanno votato alle precedenti consultazioni politiche», oppure cancellandolo del tutto, «adeguando il referendum ordinario a quello costituzionale».
Il titolo dell’intervista di Mario Segni il 17 giugno 2003 – Fonte: Archivio La Stampa
Il titolo dell’intervista di Mario Segni il 17 giugno 2003 – Fonte: Archivio La Stampa
Nemmeno in questo caso le richieste di abbassamento del quorum si trasformarono in qualcosa di concreto sul piano politico, almeno fino al 2005, quando altri quattro referendum sulla procreazione medicalmente assistita si fermarono al 26 per cento dell’affluenza, innescando ancora una volta il dibattito sulla soglia di voti necessaria ad approvare i referendum. 

Sempre su La Stampa, nel 2005 fu intervistato l’allora professore di diritto costituzionale Augusto Barbera, che tra il 2023 e il 2024 sarebbe stato poi presidente della Corte Costituzionale. In quell’occasione, Barbera disse che «il referendum è un istituto in agonia» e che per salvarlo andava modificato o cancellato il quorum. «Vi è una proposta massima e una minima. La minima è quella di far riferimento non agli iscritti nelle liste elettorali, ma alla cittadinanza attiva, e quindi a coloro che si sono recati a votare alle ultime elezioni politiche. C’è poi la proposta massima che è quella di eliminare del tutto il quorum», argomentò Barbera. 

Altri costituzionalisti espressero opinioni simili, proponendo l’innalzamento del numero minimo di firme da raccogliere in fase di presentazione dei referendum, per bilanciare l’eventuale eliminazione del quorum e impedire un eccesso di consultazioni.
Titolo de L’Unità del 14 giugno 2005 – Fonte: Archivio L’Unità
Titolo de L’Unità del 14 giugno 2005 – Fonte: Archivio L’Unità
In questi giorni invece l’innalzamento delle firme è stato proposto da alcuni senatori di Forza Italia, che il 10 giugno hanno presentato una proposta di legge al Senato – a prima firma di Gasparri – per raddoppiare sia il numero minimo di sottoscrizioni (da 500 mila a un milione) sia il numero minimo di consigli regionali (da 5 a 10) necessari per chiedere di organizzare un referendum.

Diversi referendum tra quelli organizzati negli ultimi trent’anni hanno avuto l’obiettivo di abrogare del tutto o in parte le varie leggi elettorali che si sono succedute. Questo è il caso dei tre referendum del 2009, che volevano eliminare i premi di maggioranza alla Camera e al Senato, e impedire a un politico di candidarsi in più circoscrizioni contemporaneamente. Alle urne andò meno del 24 per cento degli elettori, un nuovo record negativo. 

È proprio in seguito al fallimento di quei referendum che La Russa – uno dei principali sostenitori dell’astensione ai quesiti su cittadinanza e lavoro – dichiarò a SkyTG24 di essere a favore dell’abbassamento del quorum al 35 per cento. Sulla stessa linea del futuro presidente del Senato si schierarono diversi esponenti politici, anche di altri partiti, come l’ex presidente del Consiglio di centrosinistra Massimo D’Alema. «Bisogna aumentare il numero delle firme necessarie a presentare un referendum ed eliminare il quorum, che è uno strumento per annullare il voto popolare», disse l’allora esponente del Partito Democratico.

Cambiare la Costituzione

I politici e i partiti non si sono limitati a fare dichiarazioni negli ultimi trent’anni, ma hanno proposto riforme in Parlamento, senza però avere successo.

Secondo i calcoli di Pagella Politica, sulla base dei dati del database del Senato, dall’inizio della tredicesima legislatura – iniziata nel 1996 – all’attuale, è stata presentata una quarantina di proposte di riforma costituzionale, per eliminare il quorum o abbassarlo, e in alcuni casi modificare il numero di firme necessarie per un referendum. 

Negli ultimi anni la richiesta di cancellare il quorum è arrivata soprattutto da esponenti del Movimento 5 Stelle, ma non solo. Nel 2018 l’attuale ministro per gli Affari regionali e le Autonomie Roberto Calderoli (Lega) ha presentato in Senato un disegno di legge per eliminare il quorum, poi ritirato. Altri hanno proposto di legare il quorum all’affluenza delle elezioni politiche precedenti al referendum, altri ancora ad abbassarlo a un terzo degli aventi diritto. 

Quest’ultima proposta è stata rilanciata il 12 giugno, in un’intervista con il Corriere della Sera, dal presidente del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte. «Per quanto riguarda il referendum abrogativo dobbiamo abbattere il quorum a un terzo, portandolo al 33 per cento. Così anche chi è contrario, sarà motivato ad andare a votare», ha detto Conte, che ha votato Sì ai referendum su cittadinanza e lavoro. 

Nonostante trent’anni di proposte, dichiarazioni e richieste provenienti sia da destra che da sinistra, nessuna di queste leggi è stata approvata e il quorum per i referendum abrogativi non è mai stato cambiato. 
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