Il 15 luglio Il Blog delle Stelle – organo di comunicazione ufficiale del Movimento 5 stelle – ha pubblicato un articolo intitolato “#ByeByeBenetton”, in cui viene rivendicato come un successo l’accordo che il governo ha trovato con Autostrade per l’Italia (Aspi) sul futuro della società e delle concessioni autostradali.
Dopo una lunga notte di trattative, tra il 14 e il 15 luglio il Consiglio dei Ministri e Aspi si sono infatti accordati sul rispetto di alcuni punti principali.
Questi ultimi, come ha riassunto il governo in un comunicato stampa del 15 luglio, riguardano due questioni: da un lato, il nuovo assetto societario che dovrà assumere Aspi nei prossimi mesi; dall’altro lato, gli aspetti economici che fanno parte della transazione per risolvere la controversia tra Aspi e il governo italiano, nata ad agosto 2018 dopo il crollo del Ponte Morandi a Genova, che era gestito da Aspi.
Sottolineiamo che molti dettagli sono ancora del tutto sconosciuti. I punti dell’intesa elencati dal governo non sono ancora definitivi e tracciano le linee guida di un percorso che – «entro il 27 luglio», secondo quanto riporta l’Ansa – dovrà concretizzarsi ed evitare la revoca delle concessioni ad Aspi (ipotesi ad oggi molto lontana, ma non del tutto archiviata dal governo stesso nel comunicato di Palazzo Chigi).
Ricordiamo che la revoca era stata promessa più volte da autorevoli esponenti del M5s, come l’ex capo politico Luigi Di Maio, sia nei giorni dopo la tragedia del Ponte Morandi che a inizio 2020. Il programma di governo M5s-Partito democratico, siglato a settembre 2019, parla invece di «revisione» delle concessioni.
Ma vediamo che cosa ha rivendicato il Movimento 5 stelle e se alcune delle affermazioni contenute nell’articolo sul Blog delle Stelle corrispondono al vero o meno.
1. Che cosa succede ai Benetton
«I Benetton vanno fuori da Autostrade per l’Italia»
L’88 per cento della società Autostrade per l’Italia – che ha in concessione dallo Stato la gestione di circa 3 mila chilometri di rete autostradale italiana su quasi 7 mila chilometri – è in mano ad Atlantia, una società attiva in 24 Paesi del mondo nel settore delle infrastrutture. Il restante 12 per cento di Aspi è di proprietà per il 7 per cento circa della Appia Investment, una società controllata dal gruppo assicurativo Allianz, e per il 5 per cento del Silk Road Fund, un fondo di investimento dello Stato cinese creato per supportare il progetto della Nuova via della Seta.
Il 30 per cento di Atlantia – la parte più consistente dell’azionariato della società – è in mano a Sintonia, una società controllata da Edizione, la holding di proprietà della famiglia Benetton. Per questo motivo, quando si parla di Autostrade per l’Italia, si fa sempre riferimento ai Benetton: attraverso Atlantia, sono loro che di fatto controllano Aspi e per questo sono i principali accusati della cattiva gestione del Ponte Morandi (e non solo).
Ma è vero che, con l’accordo preliminare tra governo e Aspi, i Benetton «vanno fuori da Autostrade per l’Italia»?
Tra i «punti relativi all’assetto societario del concessionario», nel comunicato stampa del governo si legge che il controllo di Aspi passerà a Cassa depositi e prestiti, che è una società per azioni di diritto pubblico controllata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze.
Per capire se la famiglia Benetton uscirà davvero dalla proprietà bisogna ripercorrere le tappe attraverso le quali Aspi passerà nelle mani dello Stato, in base a quattro condizioni stabilite nell’accordo comunicato il 15 luglio. Vediamole nel dettaglio.
Cdp e l’aumento di capitale
Il primo punto è «la sottoscrizione di un aumento di capitale riservato da parte di Cdp»: tradotto in parole semplici, la Cassa depositi e prestiti dovrà versare dei soldi per aumentare il capitale di Aspi e prenderne il controllo.
Al momento però non è chiaro di quanti soldi stiamo parlando per mettere Atlantia in minoranza.
«Qui sta uno dei punti più importanti di tutta la vicenda», ha spiegato a Pagella Politica Andrea Giuricin, docente di Economia dei trasporti all’Università Bicocca di Milano. «Nessuno infatti conosce quale sia il valore preciso di Autostrade per l’Italia, dal momento che a differenza di Atlantia non è una società quotata in borsa. Ora Cassa depositi e prestiti dovrà stabilire quanto vale secondo lei Aspi, per poi calcolare quanti soldi sono necessari per intervenire con l’aumento di capitale e prendere la maggioranza all’interno della società».
La cessione delle quote di Atlantia a investitori
Il secondo elemento per la progressiva ritirata di Atlantia da Autostrade per l’Italia è l’acquisto di quote partecipative di Aspi «da parte di investitori istituzionali», ossia banche e società assicurative, mentre il terzo riguarda «la cessione diretta di azioni» da parte di Aspi «a investitori istituzionali di gradimento di Cdp».
Atlantia si è inoltre impegnata a non destinare le risorse ottenute dalla cessione delle azioni «alla distribuzione di dividendi», cioè a ripartirle come guadagno tra gli azionisti.
La “progressiva” ritirata di Atlantia
Infine, il quarto e ultimo elemento per il passaggio del controllo di Aspi a Cdp riguarda «la scissione proporzionale di Atlantia, con l’uscita di Aspi dal perimetro di Atlantia e la contestuale quotazione di Aspi in Borsa».
Secondo fonti stampa – come Ansa e La Repubblica – nei prossimi giorni Cassa depositi e prestiti inizierà il percorso (della possibile durata di un anno) per il passaggio di controllo, ma sembra esclusa, per il momento, una definitiva uscita di scena dei Benetton da Aspi.
In una prima fase, ha spiegato Il Sole 24 Ore, con l’aumento di capitale Cdp entrerebbe con un peso del 51 per cento in Aspi, mentre Atlantia (controllata al 30 per cento dei Benetton, come abbiamo detto) scenderebbe al 37 per cento, mentre rimarrebbero invariate le quote di Appia Investment e di Silk Road Fund. In una seconda fase, la società Edizione (controllata dai Benetton) arriverebbe a detenere, in quanto socio di Atlantia, «l’11 per cento circa della società autostradale», che secondo fonti stampa non le darebbe la possibilità di avere rappresentanti nel consiglio di amministrazione di Aspi.
Secondo Ansa, che riporta «una fonte autorevole del Movimento», diversi membri del M5s ritengono le tempistiche per la “ritirata” di Atlantia, stimate in circa un anno, troppo lunghe.
Il percorso alternativo
Nel comunicato del governo si legge che in alternativa a questo percorso di passaggio «Atlantia ha offerto la disponibilità a cedere direttamente l’intera partecipazione in Aspi, pari all’88 per cento, a Cdp e a investitori istituzionali di suo gradimento». Questo porterebbe però un esborso notevole per le casse di Cdp e, come vedremo più avanti, sarebbero soldi dello Stato che andrebbero direttamente ai Benetton.
Benetton dentro o fuori?
Ricapitolando: dare per certo che «i Benetton vanno fuori da Autostrade per l’Italia», come fa il M5s, è impreciso. In base all’intesa con il governo, potranno comunque mantenere una percentuale della società Aspi. Il loro peso nel management della concessionaria, in base agli scenari ipotizzabili, sarà però fortemente ridimensionato, finendo con la perdita della rappresentanza nel consiglio di amministrazione.
A fine percorso, questo potrebbe spingere i Benetton a vendere definitivamente tutte le proprie quote, ma qui siamo ancora di più nell’ambito delle ipotesi.
Curiosità: in un’intervista con Il Fatto Quotidiano del 13 luglio, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte aveva dichiarato che «sarebbe davvero paradossale se lo Stato entrasse in società con i Benetton». Parole in contraddizione con quanto invece prevede l’intesa tra Aspi e governo.
2. Aspi sarà di proprietà dello Stato?
«Gli italiani si riprendono le proprie autostrade attraverso l’ingresso dello Stato, che diventa non solo gestore ma anche proprietario come socio di maggioranza»
Come abbiamo appena visto, è vero che se l’accordo tra governo e Aspi si tradurrà in qualcosa di concreto, rispettando i punti indicati dal comunicato di Palazzo Chigi, il controllo di Autostrade per l’Italia passerà a Cassa depositi e prestiti, che è una società di diritto pubblico controllata dal Ministero dell’Economia e finanza.
Quindi quello che dice il M5s è sostanzialmente vero, ma è necessario fare un’osservazione.
«Lo Stato» e «gli italiani» sono già oggi «proprietari» delle autostrade presenti nel Paese. In Italia, infatti, le autostrade sono di proprietà dello Stato, ma vengono affidate in concessione a privati (come, per esempio, Aspi) o a società a partecipazione pubblica (come Anas), che si occupano della loro gestione.
Nel caso del nuovo assetto societario di Aspi, saremo di fronte a una società di diritto privato – come lo è tutt’ora – con la maggioranza in mano a Cdp. Una novità rispetto al presente, come ha spiegato il comunicato del governo, sarebbe poi la futura quotazione in borsa di Aspi, una volta slegata da Atlantia.
Alcune fonti stampa e lo stesso presidente del Consiglio Conte hanno scritto che la nuova Aspi sarà una public company, ma a essere precisi le cose non stanno così. Come spiega la Treccani, questo termine indica società per azioni caratterizzate «da un azionariato diffuso», dove «mancano dunque soci di riferimento con quote di proprietà tali da poter esercitare un’influenza dominante». È vero però che «l’espressione è anche usata nel senso di società le cui azioni sono acquistabili dal pubblico».
3. Quanto pagheranno i Benetton
«I Benetton pagano miliardi di danni ai cittadini prima di togliere il disturbo»
Questa osservazione è corretta, sempre che – ribadiamo – non ci siano ostacoli lungo il percorso di passaggio di controllo nelle mani dello Stato.
Tra i punti relativi agli aspetti economici dell’intesa tra governo e Aspi, nel comunicato di Palazzo Chigi si legge che per evitare lo spettro della revoca delle concessioni, tra le altre cose, ci sono «misure compensative ad esclusivo carico di Aspi per il complessivo importo di 3,4 miliardi di euro».
Questi soldi, come hanno scritto anche fonti stampa, sarebbero la compensazione che Autostrade per l’Italia pagherà allo Stato per la tragedia del Ponte Morandi (i cui costi della ricostruzione, come abbiamo spiegato in passato, sono stati a carico di Aspi).
Nell’intervista al Fatto Quotidiano del 13 luglio, il presidente del Consiglio Conte aveva detto che questa somma di 3,4 miliardi di euro di compensazioni – già proposti da Aspi durante le trattative dei giorni scorsi – «è stata in buona parte imputata da Aspi a interventi di manutenzione che comunque il concessionario ha già l’obbligo di realizzare».
Oltre a questo, tra i punti dell’accordo ci sono anche il «rafforzamento del sistema dei controlli a carico del concessionario» e l’«aumento delle sanzioni anche in caso di lievi violazioni da parte del concessionario».
Inoltre, bisognerà anche procedere alla «riscrittura delle clausole» della convenzione con cui lo Stato ha dato ad Aspi in concessione una parte della sua rete autostradale.
Il cosiddetto decreto “Milleproroghe” – approvato a fine dicembre 2019 e convertito in legge a febbraio 2020 – ha infatti stabilito che in caso di revoca della concessione autostradale, lo Stato non deve pagare ad Aspi gli indennizzi da oltre 20 miliardi di euro, ma circa 7 miliardi di euro che corrispondono all’ammortamento degli investimenti messi a bilancio dalla società.
Questa modifica è stata oggetto di ricorso da parte di Aspi, che ritiene la misura illegittima, ma l’accordo del 15 luglio con il governo prevede che la società rinunci a questo ricorso, «a tutti i giudizi promossi in relazione alle attività di ricostruzione del ponte Morandi» (a inizio luglio la Corte costituzionale ha detto che è stato legittimo escludere Aspi dalla ricostruzione del viadotto) e «al sistema tariffario».
E proprio il tema delle tariffe è stato toccato in un’altra parte dell’articolo del Blog delle Stelle. Vediamo nel dettaglio di che cosa si tratta.
4. Che cosa succede alle tariffe autostradali
«Diminuiamo le tariffe autostradali»
Tra i punti dell’accordo tra governo e Aspi, per la società concessionaria c’è l’«accettazione della disciplina tariffaria introdotta dall’Art con una significativa moderazione della dinamica tariffaria».
“Art” è l’Autorità di regolazione dei trasporti, una autorità amministrativa indipendente il cui compito principale è quello di regolazione e promozione e tutela della concorrenza nel settore dei trasporti.
Come spiega un dossier del Parlamento di giugno 2020, il cosiddetto decreto “Genova” (n. 109 del 28 settembre 2018), approvato con il governo Lega-M5s, ha esteso (art. 16) le competenze dell’Art a stabilire anche per le concessioni esistenti, e non solo per quelle nuove, sistemi tariffari sui pedaggi autostradali basati sul metodo del price cap. A giugno 2019 l’Art aveva presentato i nuovi criteri da far rispettare per le tariffe autostradali.
Come abbiamo spiegato in passato, con il price cap si stabilisce un tetto massimo per gli aumenti, per un certo numero di anni, e nel rispetto di questo vincolo la concessionaria può fissare i prezzi e le tariffe, in base, tra le altre cose, alla possibilità di efficientamento della gestione e dell’andamento del traffico.
Secondo un articolo del Sole 24 Ore di febbraio 2019, il metodo del price cap dovrebbe portare nel tempo ad «aumenti legati al miglioramento del servizio e calmierati».
All’epoca non erano mancate le polemiche da parte di alcune concessionarie, che avevano il governo Conte I di aver cambiato le regole “in corsa”, annunciando possibili ricorsi in sede legale.
In base all’accordo tra governo e Aspi, l’accettazione della disciplina tariffaria di Art dovrà avvenire «con una significativa moderazione della dinamica tariffaria», espressione non molto chiara. Da un lato, può essere letta come fa il M5s nel senso di una riduzione delle tariffe; dall’altro lato, può essere intesa come l’introduzione di aumenti minori di quelli arrivati in passato e legati a condizioni specifiche.
«Il tema della disciplina tariffaria di Art e del price cap è molto complessa: nelle formule per calcolare quanto una concessionaria può aumentare i pedaggi ci sono diversi elementi, come l’inflazione, gli investimenti previsti e quelli effettuati, e l’efficientamento» ha spiegato a Pagella Politica Paolo Beria, professore di Economia dei trasporti al Politecnico di Milano e direttore del Laboratorio di politica dei trasporti del medesimo ateneo.
«È possibile che in base all’accettazione di Aspi del nuovo piano tariffario di Art in futuro le tariffe autostradali, nelle tratte gestite da Aspi, ci possano essere delle diminuzioni dei costi per gli automobilisti o degli aumenti minori rispetto al passato. Ma al momento questo è tutt’altro che certo», ha sottolineato Beria.
5. Lo Stato non darà «nemmeno un centesimo» ai Benetton?
«I Benetton escono di scena e non prenderanno nemmeno un centesimo dallo Stato»
Ribadiamo che, come in tutto l’articolo su Il Blog delle Stelle, anche con questa frase il M5s dà per fatto e finito qualcosa che ancora non lo è.
Ipotizzando che i punti principali dell’accordo tra governo e Aspi vadano tutti in porto, è comunque vero che lo Stato non darà «nemmeno un centesimo» ai Benetton?
«Se si concretizzerà l’ipotesi dell’aumento di capitale, la risposta è sì: Cdp, con risorse dello Stato, entrerebbe in Aspi, prendendone il controllo ma senza dare soldi ad Atlantia e dunque ai Benetton», ha sottolineato Giuricin a Pagella Politica.
«Indirettamente, però, è anche vero che i Benetton economicamente possono guadagnarci da questa operazione. Da un lato, il titolo di Atlantia è cresciuto molto nelle ultime ore, mentre dall’altro lato, con l’ingresso di Cdp in Aspi lo Stato si accollerebbe una buona parte dei debiti della società».
Dopo l’annuncio dell’intesa, il 15 luglio le azioni di Atlantia hanno infatti segnato oltre un +20 per cento di crescita in borsa, ma il valore delle azioni rimane ancora molto al di sotto di quello di agosto 2018, prima del crollo del Ponte Morandi.
C’è chi ha inoltre sottolineato che al momento non è chiaro chi dovrà farsi carico dei costi del contenzioso giudiziario che Aspi si trascina dietro per il crollo del Ponte Morandi.
«Se a concretizzarsi sarà l’altra alternativa, ossia la cessione di Atlantia dell’88 per cento delle sue quote a Cpd o investitori istituzionali, allora lì sì che i Benetton potranno prendere soldi direttamente dallo Stato», ha poi sottolineato Giuricin.
In conclusione
Il Blog delle Stelle ha rivendicato come un successo l’accordo del 15 luglio tra governo e Autostrade per l’Italia per il futuro della società e delle concessioni autostradali in mano ad Aspi.
Per il momento, è ancora presto per dare per definitivi e conclusi i punti dell’intesa, ma in base alle informazioni a disposizione possiamo dire quante delle cose che ha scritto il M5s sul tema siamo corrette o sbagliate.
In primo luogo, è impreciso dire che «i Benetton vanno fuori da Autostrade per l’Italia». Con il controllo di Aspi in mano a Cassa depositi e prestiti, è vero che Atlantia perderebbe il potere che ha oggi, ma in base agli scenari ipotizzati, alla fine del percorso di passaggio di controllo della società, potrà rimanere con un 10 per cento del capitale in mano.
In secondo luogo, è vero che lo Stato diventerà – se tutto va come previsto dal governo – socio di maggioranza della nuova Aspi, mentre le diminuzioni tariffarie, date per fatte dal M5s, dipendono da come si rifletterà sui pedaggi l’accettazione da parte di Aspi del sistema tariffario previsto dall’Autorità di regolazione dei trasporti.
Infine, è vero che Aspi si è impegnata a versare allo Stato 3,4 miliardi di euro come compensazione per il crollo del Ponte di Genova, mentre è ancora presto per dire se i Benetton non prenderanno «nemmeno un centesimo dallo Stato».
Cittadinanza
Con la cittadinanza l’Italia sa anche essere di manica larga