Il 28 aprile l’ex ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli (M5s) ha commentato sul Blog delle Stelle il completamento della struttura del nuovo Ponte di Genova, a un anno e otto mesi circa dal crollo del viadotto autostradale avvenuto il 14 agosto 2018.

Secondo Toninelli, il ponte «l’abbiamo fatto pagare a chi lo doveva gestire per assenza di manutenzione e l’ha fatto crollare» e «i tempi sono stati rispettati».

L’ex ministro ha ragione o no? Abbiamo verificato.

Le promesse sui tempi della ricostruzione

Partiamo dalla questione sulle tempistiche della ricostruzione del ponte.

Già a febbraio 2019 Pagella Politica aveva verificato come non fossero state mantenute alcune delle promesse fatte dalle autorità sulle tempistiche per la demolizione di quanto era rimasto in piedi del viadotto.

Il quotidiano di Genova Il Secolo XIX ha invece raccolto quasi 100 promesse sulla ricostruzione fatte dal 14 agosto 2018 al 22 aprile 2020 dai membri dello scorso governo Lega-M5s (di cui Toninelli era ministro), dall’amministrazione regionale di Giovanni Toti e dal commissario straordinario per la ricostruzione (e sindaco di Genova) Marco Bucci.

Come mostra un grafico interattivo sul sito del Secolo XIX, le promesse sul numero di giorni richiesto per la ricostruzione dal momento del crollo spaziano dai circa 170 giorni annunciati da Autostrade per l’Italia il 15 agosto 2018 (ponte pronto per febbraio 2019) ai circa 870 giorni annunciati da Toti il 13 novembre 2018 (ponte pronto per dicembre 2020).

Quasi tutte le promesse fatte a partire dal 2019, fino allo scoppio dell’emergenza coronavirus, indicavano come data più probabile per il termine dei lavori marzo-aprile 2020.

Il 18 gennaio 2019, in occasione della firma del contratto per la demolizione e la ricostruzione del nuovo ponte, Bucci aveva detto che «nel contratto, come consegna ultima dei lavori, abbiamo indicato il 15 aprile 2020».

In generale, circa il 70 per cento delle promesse raccolte dal Secolo XIX sulle tempistiche per la ricostruzione del nuovo ponte non sono state mantenute.

Per esempio, il 18 dicembre 2018 l’allora ministro delle Infrastrutture Toninelli aveva promesso che il nuovo ponte sarebbe stato «in piedi a fine 2019» e inaugurato «all’inizio del 2020», anzi «magari addirittura a fine dicembre» 2019.

Nel complesso, in base alla media delle date contenute dalle stime dichiarate in passato dall’ex ministro (e raccolte dal Secolo XIX), il nuovo ponte sarebbe dovuto essere pronto in 546 giorni dal crollo, quindi circa tre mesi fa.

Un discorso analogo sulle mancate promesse vale anche se si prendono in considerazione solo le ultime settimane, caratterizzate dall’emergenza coronavirus, durante le quali i lavori di ricostruzione sono comunque proseguiti.

Il 23 marzo, scrive Il Secolo XIX, «le imprese impegnate nella ricostruzione hanno ribadito l’impegno a onorare le scadenze annunciate, nonostante le complicazioni provocate dall’emergenza coronavirus: entro il 15 aprile si dovrebbero concludere le operazioni “in quota”». Impegno mantenuto due settimane dopo la data indicata.

Il 6 aprile, invece, Bucci aveva annunciato che la struttura del nuovo ponte sarebbe stata pronta il 21 aprile, cosa avvenuta in realtà il 28 aprile.

Ricordiamo poi che il completamento della struttura – ossia il posizionamento del piano stradale, o impalcato – non corrisponde alla realizzazione definitiva dell’opera. Nelle prossime settimane, tra le altre cose, inizieranno infatti i lavori per la posa dell’asfalto e degli impianti di illuminazione, in vista della fase dei collaudi.

Pagella Politica ha contattato l’ufficio stampa del commissario straordinario per la ricostruzione del Ponte di Genova, che ha indicato all’incirca la metà di luglio come possibile periodo di inaugurazione del nuovo viadotto.

Autostrade per l’Italia sta pagando regolarmente

Abbiamo visto dunque che è esagerato dire, come fa Toninelli, che «i tempi sono stati rispettati». Il ministro ha anche aggiunto che il nuovo ponte l’ha pagato «chi lo doveva gestire per assenza di manutenzione e l’ha fatto crollare».

Senza entrare nel merito delle responsabilità di Autostrade per l’Italia (Aspi), la società che gestisce il tratto autostradale in questione e su cui la magistratura sta indagando (il processo di primo grado non è ancora iniziato), facciamo un po’ di chiarezza su chi deve pagare la ricostruzione del ponte.

Il cosiddetto “decreto Genova” (n. 109 del 28 settembre 2018, convertito in legge a novembre 2018) ha stabilito (art. 1, co. 6) che Autostrade per l’Italia (Aspi) dovesse «far fronte alle spese» per la ricostruzione del Ponte di Genova. Ad Aspi tra l’altro non era stato consentito partecipare: i lavori sono stati assegnati a Fincantieri.

Nel caso di mancato o ritardato versamento da parte del concessionario, il decreto autorizzava una spesa complessiva di 360 milioni di euro – 30 milioni di euro annui, dal 2018 al 2029, presi dalle risorse del Fondo per gli investimenti e lo sviluppo infrastrutturale del Paese – per assicurare la realizzazione dei lavori.

Pagella Politica ha contattato l’ufficio stampa del commissario straordinario per la ricostruzione del Ponte di Genova, che ha confermato come fino ad oggi Autostrade per l’Italia abbia regolarmente pagato le somme dovute con l’avanzamento dei lavori.

Anche un comunicato stampa di Aspi, pubblicato il 28 aprile, ha confermato i pagamenti regolari, spiegando che nel 2019 «sono stati erogati 280 milioni di euro per le attività di demolizione e ricostruzione» del Ponte di Genova, «su un totale di oltre 520 milioni di euro di accantonamenti ed oneri complessivamente sostenuti nel biennio 2018- 2019».

Parallelamente è però ancora in piedi lo scontro tra il governo e la concessionaria, che aveva fatto ricorso per essere stata estromessa dalle attività di ricostruzione del ponte (senza però chiedere una sospensione dei lavori). Da inizio aprile scorso la questione è al vaglio della Corte costituzionale, che dovrà esprimersi su eventuali profili di illegittimità costituzionali presenti nel “decreto Genova”.

Ricordiamo infine che lo scorso governo Lega-M5s aveva promesso di revocare la concessione autostradale ad Autostrade per l’Italia (impegno non mantenuto), mentre il nuovo esecutivo Pd-M5s si è impegnato nel suo programma ad avviare «la revisione delle concessioni autostradali». Ad oggi la partita è ancora aperta.

Come abbiamo scritto in passato, comunque, si stima che una revoca delle concessioni ad Autostrade per l’Italia potrebbe costare allo Stato italiano tra i 15 e i 20 miliardi di euro.

Il verdetto

Secondo Danilo Toninelli (M5s), sul nuovo Ponte di Genova «i tempi sono stati rispettati» e «l’abbiamo fatto pagare a chi lo doveva gestire per assenza di manutenzione e l’ha fatto crollare».

Per quanto riguarda i tempi, Toninelli esagera: l’analisi di decine e decine di promesse fatte da diversi politici sulla data di fine di lavori (peraltro non ancora avvenuta) mostra che i tempi sono stati un po’ più lunghi, anche considerando la recente emergenza coronavirus.

È vero invece che con il “decreto Genova” lo scorso governo Lega-M5s aveva escluso Autostrade per l’Italia – concessionaria che gestisce il tratto di strada crollato – dalla ricostruzione del ponte, obbligandola però al pagamento.

L’ufficio stampa del commissario straordinario per la ricostruzione del Ponte di Genova e Aspi con un comunicato hanno confermato che fino ad oggi Autostrade per l’Italia sta regolarmente pagando quanto dovuto con l’avanzamento dei lavori.

Resta comunque in piedi il ricorso della società contro il “decreto Genova”, mentre sembra essere stata accantonata l’ipotesi della revoca delle concessioni.

In conclusione, Toninelli si merita un “Nì”.