Più che mai attuale in questi giorni in cui si paventa una possibile uscita della Grecia dall’euro (scenario smentito oggi dalla Commissione), quanto Grillo afferma con assoluta certezza è in realtà oggetto di un dibattito più ampio e sicuramente dai contorni più sfumati di quanto voglia far credere il leader del M5S. Sembra quindi che fiumi di parole siano stati spesi da fonti piuttosto ben informate, ci limitiamo qui a riprenderle per capire se quanto sostenuto da Grillo è effettivamente lo scenario più plausibile.



Uscire dall’euro, si puo’?



Un articolo de La Voce di Pietro Manzini (Professore ordinario nel Diparimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Bologna) affronta tre possibilità: l’espulsione di Stati membri in default, il recesso volontario dei Paesi in default e il recesso volontario di Stati economicamente stabili. Grillo fa riferimento ad un recesso volontario da parte dell’Italia che non è ancora un Paese in default, anche se il recente downgrading del rating italiano da parte di Standard & Poor’s al livello BBB- (quasi “spazzatura”) ci avvicina al terzo scenario. Prendiamoli quindi in considerazione entrambi. Nel primo caso La Voce spiega come, in base all’articolo 50 del Trattato dell’Unione Europea (TUE), gli Stati in quanto sovrani possano recedere dall’Ue sulla base delle proprie regole costituzionali. La questione complessa è capire se l’articolo 50 sia applicabile anche all’uscita da un singolo aspetto dell’Unione, come ad esempio l’euro. Ad oggi l’interpretazione comunemente data da altri trattati suggerisce che il recedere dalla moneta unica non possa avvenire senza l’uscita dall’intero sistema europeo. Tuttavia va anche sottolineato che l’articolo 50 non vieta esplicitamente il recedere esclusivamente dall’euro e che, consentendo una via di uscita da tutte le attività dell’Unione, questa potrebbe essere letta come ‘aperta’ all’uscita da singole attività. Sembra quindi che, anche se non certo o esplicitamente previsto, l’uscita solo dall’euro di uno Stato membro non sia del tutto impossibile.



L’ipotesi invece che Paesi economicamente stabili decidano di uscire dall’euro per dotarsi di una nuova moneta (posto che si possa annoverare l’Italia tra questi), è un’ipotesi poco plausibile dal punto di vista giuridico, in quanto l’articolo 3 del TUE prevede che vi sia una sola moneta (e non due) dell’Unione. Tuttavia le stesse motivazioni sopra presentate per i Paesi in default potrebbero essere valide anche per gli Stati più virtuosi.



In generale uscire dall’euro non è impossibile, in quanto non esplicitamente vietato dai trattati, anche se non esiste un passaggio della giurisprudenza che lo preveda. Il riferimento è in questo caso l’articolo 50 del TUE, che però parla di uscita dall’Unione Europea, e non solo dalla moneta unica.



Come suggerito da Open Europe, una soluzione potrebbe essere la modifica dei trattati e l’introduzione di un nuovo articolo, su modello del 50, che si riferisca alla sola uscita dall’euro. Per evitare di modificare i trattati si potrebbe ricorrere all’interpretazione di alcuni articoli gιà esistenti in maniera più flessibile: ad esempio l’articolo 352 consente la possibilità al Consiglio di ricorrere a misure non esplicitamente previste nei trattati (col beneplacito di Commissione e Parlamento) al fine di conseguire uno degli obiettivi previsti dai trattati stessi. In questo caso però il Consiglio dovrebbe agire all’unanimità, vale a dire tutti gli Stati membri dovrebbero essere d’accordo. In entrambi i casi la procedura sarebbe complessa e lunga.



Infine, non è affatto detto che le istituzioni europee che devono prendere la decisione siano d’accordo con una scelta di questo tipo, anzi, come la Commissione ha già fatto intendere in passato e come ha riaffermato proprio in questi giorni a proposito della Grecia, la permanenza nell’euro dal loro punto di vista è irrevocabile.







fuoridalleuro



Uscire dall’euro, come?



Non essendo esplicitamente prevista nei trattati, ne consegue che non esiste una procedura esplicita per uscire dall’euro. Se guardiamo all’articolo 50 del TUE per recedere dall’Ue, ogni Paese è invitato ad agire in base ai propri requisiti costituzionali. Nel caso dell’Italia, non si potrebbe indire un referendum abrogativo poiché l’articolo 75 della Costituzione lo vieta nei casi di trattati internazionali. Grillo fa invece riferimento ad un particolare tipo di referendum, quello consultivo, indetto nel 1989 per chiedere l’opinione degli italiani sul mandato del Parlamento Europeo per la stesura di un progetto di Costituzione europea. Ne avevamo parlato anche qui.



Tale tipologia di referendum è prevista dalla Costituzione solo per alcuni casi specifici come la fusione tra più Regioni (articolo 132). Fu quindi necessario approvare una legge L. Cost n. 2, 3 aprile 1989 (o in rottura temporanea della Costituzione) che permettesse nel successivo giugno l’uso dello strumento referendario consultivo nello specifico frangente delle elezioni europee. Tecnicamente sarebbe quindi possibile riproporre una simile procedura per chiedere agli italiani se vogliono rinunciare alla moneta unica ma tale procedura non garantirebbe l’effettiva messa in atto del risultato (qualora vi fosse un consenso in questa direzione) per le questioni citate nel precedente paragrafo.



Va precisato inoltre, che non è corretto affermare che siamo entrati nell’Unione Europea nel 1989, dato che formalmente l’Ue è nata con il trattato di Maastricht nel 1993 mentre l’Italia aderiva già alla Comunità Europea (essendo uno dei firmatari del trattato di Roma del 1957 che istituiva la Cee).



Quindi?



Come dice Grillo in maniera colorita, i “va ciapà i ratt” che sostengono che non si possa assolutamente uscire dall’euro sono disinformati. Tuttavia le cose non sono così semplici nei fatti dal momento che non è chiaro se la rinuncia all’euro pur rimanendo nell’Ue sia possibile. La procedura proposta dal M5S sarebbe comunque possibile (anche se non priva di eccezionalità) ma non si tradurrebbe in una semplice e veloce uscita dalla moneta unica, che dipenderà non solo dalla volontà dei cittadini italiani ma anche dalla posizione dei partner europei. “Nì”!