Tralasciamo le “molte motivazioni” per cui, secondo Roberta Lombardi, bisognerebbe far dichiarare ineleggibile Silvio Berlusconi – non ci sembra si presti al factchecking – e concentriamoci sugli esempi citati dalla deputata 5 Stelle.
Ultimamente, nel dibattito politico italiano ha rifatto capolino la famigerata legge del ’57, sventolata come un talismano scaccia-Silvio. Lo scorso 23 marzo la rivista Micromega, dopo aver lanciato una petizione online, ha organizzato una manifestazione per chiedere l’ineleggibilità di Berlusconi proprio sulla base di questa legge. Ma di che si tratta, esattamente?
La legge in questione è il Decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957, che contiene le norme per l’elezione alla Camera. L’art. 10, c.1, dispone l’ineleggibilità di “coloro che in proprio o in qualità di rappresentanti legali di società o di imprese private risultino vincolati con lo Stato per contratti di opere o di somministrazioni, oppure per concessioni o autorizzazioni amministrative di notevole entità economica, che importino l’obbligo di adempimenti specifici, l’osservanza di norme generali o particolari protettive del pubblico interesse, alle quali la concessione o la autorizzazione è sottoposta”. In pratica, non è eleggibile chi è beneficiario di concessioni pubbliche in proprio o come rappresentante legale di una società. Il motivo è molto semplice: evitare situazioni di conflitto di interessi.
Nel caso del cavaliere, le “concessioni di notevole entità economica” sono quelle relative alle frequenze televisive di cui beneficia Mediaset. Ma bisogna ricordare che l’ineleggibilità di Berlusconi è in realtà una vexata quaestio dibattuta fin dalla discesa in campo nel 1994. E finora sempre risolta a suo favore. Ne ripercorre la storia questo ottimo articolo de Il Post.
Nel luglio del 1994, all’indomani della vittoria alle urne, la Giunta delle Elezioni della Camera respinse tre ricorsi sull’ineleggibilità di Berlusconi. All’epoca la Giunta era a maggioranza centrodestra, ma l’occasione si ripresentò nel 1996 e anche stavolta la Giunta – ora a maggioranza centrosinistra – archiviò i ricorsi per manifesta infondatezza. Il motivo? L’interpretazione di cosa volesse dire essere titolare di una concessione “in proprio”. Secondo la Giunta del 1994, l’inciso “in proprio” doveva intendersi “in nome proprio”, e quindi la legge non era applicabile a Berlusconi, “atteso che questi non era titolare di concessioni radiotelevisive in nome proprio e che la sua posizione era riferibile alla società interessata solo a mezzo di rapporti di azionariato”.
Secondo questa interpretazione, il titolare “in nome proprio” della concessione – e dunque ineleggibile – non sarebbe stato Berlusconi (che pure era l’azionista di maggioranza), ma Fedele Confalonieri, allora Presidente di Fininvest. Un’interpretazione che non convince i critici, secondo cui si tratterebbe di un escamotage linguistico che tradisce lo scopo della norma. Bisogna anche ricordare che la Giunta delle Elezioni non è composta da giudici terzi, ma da parlamentari. Sarebbe però una forzatura sostenere che la legge del 1957 sia stata “disattesa”, come sostiene Roberta Lombardi. La Giunta, infatti, ha adottato un verdetto proprio sulla base della legge in questione (dunque, applicandola espressamente), ma l’interpretazione che ne è stata data si discosta da quella avanzata dalla capogruppo 5 Stelle.
Quanto alla sentenza cui fa riferimento l’esponente del movimento pentastellato, si tratta della recente condanna di Silvio Berlusconi a quattro anni per frode fiscale da parte della Corte d’Appello di Milano. L’appello ha confermato la sentenza di primo grado, compresa l’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni. Tuttavia, questa potrà solo scattare soltanto con una condanna in via definitiva, come ha chiarito una circolare del Ministero della Giustizia. Dunque, come ha osservato la Lombardi, se anche la Cassazione dovesse confermare la condanna e l’interdizione, Berlusconi sarebbe costretto a fare un passo indietro. Fino ad allora, è anche opportuno ricordare che, secondo la nostra Costituzione “l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva” (art. 27, comma 2). Ciò non toglie che un ricorso alla Giunta delle Elezioni per chiedere l’ineleggibilità di Berlusconi invocando questa sentenza, e una diversa interpretazione della legge del 1957, potrebbe senz’altro essere presentato. Se poi verrà accolto è tutt’altra questione…
Insomma, nonostante il riferimento sia corretto, ci sembra fuorviante sostenere che la legge del ’57 sia stata “disattesa”. E’ vero, invece, che per la sentenza di interdizione bisognerà aspettare la Cassazione. Un “Nì” e un “Vero” complessivamente garantiscono alla Lombardi un “C’eri quasi”.