Renato Brunetta affronta uno dei temi caldi che tiene banco in questi ultimi mesi: l’aumento delle aliquote Iva. La pietra del contendere, come spesso succede per le questioni di una certa rilevanza, è stabilirne la paternità. L’esponente del Pdl sposta l’asse delle responsabilità dal governo Berlusconi al governo Monti, dopo che il Presidente del Consiglio, Enrico Letta, aveva accusato de facto il Cavaliere di essere l’autore della decisione. Ma avrà ragione?



Innanzitutto, cosa diceva il ddl indicato da Brunetta? L’articolo 40 del d.l. n. 98 del 6 luglio 2011 non parlava di Iva ma imponeva la cosiddetta “clausola di salvaguardia sulla delega fiscale”, da cui inizia tutta la vicenda.



Come ricorda questo bell’articolo di Tito Boeri, tale clausola prevedeva un taglio automatico del 5 per cento di agevolazioni e deduzioni Irpef e Iva – a scapito soprattutto delle persone con redditi più bassi – nel caso non si fossero reperiti circa 4 miliardi di euro nel 2013, dal riordino della regolamentazione delle agevolazioni fiscali. Il taglio sarebbe salito al 20% nel 2014. La fattibilità politica di un’azione di questo tipo, visto l’impatto regressivo su fasce della popolazione già colpite duramente dalla crisi e con i redditi più bassi, era tutta da dimostrare.



Con la cosiddetta manovra di ferragosto – d.l. 13 agosto 2011, n. 138 (Titolo I, comma 2) – è stato deciso un primo aumento di una delle aliquote Iva in vigore, dal 20 al 21%. Il decreto è stato convertito in legge con modificazioni dalla legge 14 settembre 2011, n. 148 (in G.U. 16/09/2011, n. 216), ma l’aumento Iva è rimasto. Tutto “Vero” fino a qui, ma è a dir poco “strabiliante” il modo in cui Brunetta parli di un decreto che non tocca esplicitamente l’Iva, dimenticandosi di un altro – di solo un mese più tardi (!) – in cui l’aumento era previsto, eccome!



Di un ulteriore aumento dell’Iva, di cui si parla in questi giorni – dal 21% al 22% – è effettivamente responsabile il governo Monti. Non potendo “politicamente” applicare la clausola di salvaguardia prevista dal governo precedente, i tecnici sono ricorsi anch’essi all’aumento dell’imposta sul valore aggiunto:



con l’articolo 18 del d.l. n. 201 del 6 dicembre 2011 (c.d. “Salva Italia”) si è, infatti, programmato un aumento di 2 punti percentuali delle aliquote Iva del 10% e del 21% (che sarebbero quindi passate al 12% ed al 23%) a decorrere dal 1° ottobre 2012. Successivamente, l’articolo 21 del d.l. n. 95 del 6 luglio 2012 (Spending review) ha posticipato l’incremento delle aliquote al 1° luglio 2013 (in luogo del 1° ottobre 2012).



– Viste le migliori condizioni della finanza pubblica italiana, il comma 480 della Legge di Stabilità 2013 ha rideterminato l’aumento dell’Iva previsto dal 1° luglio 2013: l’aumento ci sarebbe stato solo per l’aliquota ordinaria – dal 21% al 22% – a partire dal 1° luglio 2013 (sterilizzato, invece, l’incremento dell’Iva agevolata, che sarebbe dovuta passare dal 10% all’11%, non incluso nel documento).



E’ bene notare che ai beni di consumo primario (come abbiamo riportato in una vecchia dichiarazione dell’ex ministro Grilli) si continuerà comunque ad applicare l’aliquota agevolata del 4%.



Concludendo, Pagella Politica riconosce il “Vero” al capogruppo del Pdl: gli aumenti Iva sono stati decisi dal governo Monti, almeno quelli di cui si parla oggi. Il governo Berlusconi, tuttavia, fu anche esso autore di un provvedimento simile, ma oggi sembra che tutti lo abbiano dimenticato (Brunetta per primo).



P.S.: non è chiaro a chi faccia riferimento con questa dichiarazione, Renato Brunetta. In una dichiarazione sullo stesso tema, di cui riportiamo qui la nostra analisi, Enrico Letta ha in effetti riconosciuto la responsabilità del governo Monti nell’aumento dell’Iva, e non quella del governo Berlusconi. A quest’ultimo viene imputata solamente la clausola di salvaguardia su delega fiscale, che ha dato il via alla necessità di recuperare 4 miliardi di euro, per evitare il taglio delle esenzioni fiscali.