L’affermazione di Alemanno, riferita agli ultimi interventi del governo in materia di città metropolitane (l. 42 del 2009), è vera se si considera la questione solamente da un punto di vista legislativo. La prima legge che disciplina e introduce nell’ordinamento italiano le Città metropolitane è stata infatti la legge n. 142 del 8 giugno 1990, “Ordinamento delle autonomie locali”, in cui si è riconosciuto ufficialmente il ruolo di Città metropolitana ai Comuni di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari e Napoli e con la quale la Regione è stata autorizzata a “procedere alla delimitazione territoriale di ciascuna area metropolitana, sentiti i Comuni e le Province interessate, entro un anno dalla data di entrata della legge”. Tale provvedimento è stato modificato dalla legge n. 265 del 1999 e la n. 267 del 2000, “Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali”, che ha introdotto nuove modalità istitutive delle Città metropolitane.
Nella Costituzione le città metropolitane fanno la loro comparsa nel 2001, con l’approvazione della legge costituzionale n.3 del 2001, che all’art. 1 riscrive l’articolo 114 della Costituzone stabilendo che “La Repubblica [italiana] è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato.”
Tuttavia, se consideriamo la questione delle Città metropolitane e della riforma degli enti locali in senso più ampio, dobbiamo riconoscere che essa è entrata a far parte del dibattito pubblico e governativo già da molto prima degli anni ’90, come dimostrano il progetto di legge presentato dal deputato liberale Malagodi alla fine degli anni ’50, in cui si propone la riforma in senso metropolitano della Provincia di Milano, e la proposta di riforma dell’Ordinamento delle Autonomie Locali avanzata in parlamento negli ’80.
Insomma, vent’anni sì, ma solo ufficialmente: l’ “improvvisata” riforma risale agli anni ’60… “C’eri quasi”, Alemanno!