Il leader di Rivoluzione Civile si scaglia contro il governo che si è impegnato, secondo Ingroia, a “sborsare circa 13 miliardi di euro” per l’acquisto dei tanti vituperati caccia monoposto. Pagella Politica si è già occupata dell’argomento che tiene banco in questa campagna elettorale. Utilizzando come fonte il dossier della Difesa del 14 marzo 2012, si apprende che l’Italia ha aderito al programma Joint Strike Fighter sin dalla prima fase (delle cinque previste). L’8 aprile 2009 le Commissioni Difesa di Camera e Senato, dopo aver approvato l’adesione alla fase PSFD (Production, Sustainment and Follow-on Development), hanno espresso parere favorevole allo schema di programma trasmesso dal governo (Berlusconi IV), che prevedeva l’acquisto di 131 F-35 al costo di 12,9 miliardi (spalmati fino al 2026). A fronte di ciò, quando Ingroia afferma che per l’acquisto dei cacciabombardieri F-35, il governo si è impegnato a spendere circa 13 miliardi, è mancante di una specificazione fondamentale, e cioè che il governo che si è impegnato a sborsare circa 13 milardi non è l’attuale governo Monti, bensì il Berlusconi IV, in carica nel 2009 (che a sua volta assicurava un continuum al programma già promosso dal governo D’Alema nel dicembre 1998, e sostenuto dal governo Prodi II nel 2007). Senza contare che il previsto taglio del numero di velivoli da acquistare, dagli iniziali 131 ai 90 attuali, avrà come conseguenza un minor esborso da parte delle casse statali rispetto alla cifra menzionata dall’ex-magistrato. Un “C’eri quasi” ci sembra quindi il giudizio più appropriato su questo punto.


Veniamo alla seconda parte della dichiarazione. Antonio Ingroia cita l’art. 11 della Costituzione, secondo cui “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. Come è possibile chiaramente evincere dal dettato costituzionale, quindi, l’Italia rinuncia sì alla guerra, ma intesa come strumento di offesa alla libertà delle nazioni e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Il nostro Paese, quindi, non ripudia la guerra tout court o il ricorso allo strumento militare, ad esempio, ai fini della difesa dell’integrità nazionale. Inoltre, in ossequio all’art. 10 della Costituzione, le nostre forze armate partecipano attivamente a missioni di stabilizzazione e/o di supporto alla pace (nel quadro, quindi, delle prerogative Onu) o ancora a operazioni fuori area ex-articolo 5 del trattato Nato, nel rispetto, quindi, del principio della difesa collettiva dell’Alleanza Atlantica. Ne consegue che, pur riconoscendo come l’Italia promuova una cultura di pace, alla luce del dettato costituzionale vigente e al netto di considerazioni personali o ideologiche, l’acquisto e/o l’ammodernamento di armamenti e sistemi d’arma rimane un’attività lecita da parte delle forze armate italiane, così come il finanziamento da parte del governo di tali attività di procurement.


Poiché non scorgiamo alcuna contraddizione tra l’acquisto del caccia monoposto e l’articolo 11 della Costituzione, Ingroia raccoglie, per questa parte di dichiarazione, un “Pinocchio andante”. Sommato al precedente “C’eri quasi”, il giudizio complessivo si ferma ad un mesto “Nì”. Serrate i ranghi e occhio alla penna!