A Servizio Pubblico il pentastellato deputato e vice presidente della Commissione Affari Esteri e Comunitari della Camera risponde alle domande di Santoro sulle strategie da adottare nella lotta al terrorismo. Lo fa accusando di ipocrisia la politica occidentale, che getta benzina sul fuoco armando regimi repressivi come quello dell’Arabia Saudita. Ci è sembrato davvero sorprendente sentire che l’Italia sarebbe il Paese che fornisce più armi al regime degli al-Saud e abbiamo verificato per voi il dato.
Le armi e l’Arabia Saudita
Lo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI) è probabilmente la fonte più affidabile e completa – almeno tra quelle disponibili al pubblico – sulle questioni di spesa militare. In un’analisi di un anno fa relativa al quinquennio 2009-13, il SIPRI affermava che l’Arabia Saudita era al 5° posto al mondo nella classifica di importatori di armi. Davanti ai sauditi solo India, Cina, Pakistan ed Emirati Arabi Uniti.
Dalla tabella che riportiamo a destra si apprende che i principali fornitori della monarchia araba nel periodo citato (2009-13) erano Regno Unito e Usa, le quali hanno fornito quasi il 75% di tutte le armi importate dall’Arabia Saudita.
Il ruolo dell’Italia
Alessandro Di Battista si riferisce però al solo 2013 e il suo dato è vero se si inverte la relazione. Ovvero, per l’Italia l’Arabia Saudita è stato il Paese verso cui abbiamo esportato più armi. Secondo la Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento, il valore di queste esportazioni era di 296,4 milioni di euro. Tale dato rappresenta un forte aumento rispetto al 2012 (245 milioni) e porta i sauditi in cima alla classifica delle esportazioni 2013. Va tuttavia segnalato che il primato è dovuto anche ad un crollo delle esportazioni verso gli altri Paesi: nel 2012 infatti il primo posto veniva occupato dal Regno Unito con 608 milioni di euro di esportazioni autorizzate; seguivano Israele e Usa con più di 400 milioni di euro.
E’ il caso di sottolineare che questi numeri riguardano le autorizzazioni all’esportazione e non il valore delle armi effettivamente esportate. Quest’ultimo può essere marcatamente inferiore, senza dire che un’autorizzazione non è necessariamente seguita da un’esportazione.
L’Italia per l’Arabia Saudita
Di Battista ha però dichiarato che “l’Italia è il primo partner commerciale per quanto riguarda le armi con i sauditi”, un’affermazione che indica che il nostro Paese è il primo fornitore di armi alla monarchia wahhabita. In realtà, come è evidente già dagli studi SIPRI succitati, questo dato non sembra vero. Se osserviamo i dati per le autorizzazioni alle esportazioni di armi di Francia, Usa e Regno Unito scopriamo che questi Paesi hanno autorizzato nel 2013 dei volumi di gran lunga superiori a quelli italiani. La Francia ha autorizzato esportazioni per un valore di 778 milioni di euro (più del doppio del valore italiano) mentre Usa e Regno Unito hanno autorizzato rispettivamente 1 miliardo e 920 milioni di dollari (circa 1,45 miliardi di euro al cambio di quel periodo) e 1 miliardo e 938 milioni di euro. Insomma: se per l’Italia quest’anno l’Arabia Saudita è stata la destinazione di armi principale, non è vero che il nostro Paese sia stato all’origine della maggior parte delle armi saudite. E’ quindi impreciso parlare di “primo partner commerciale”.
Il verdetto
La quantità di armi la cui esportazione è stata autorizzata dall’Italia all’Arabia Saudita nel 2013 ammonta a circa 300 milioni di euro. Questa cifra mette la monarchia mediorientale in cima alla classifica di destinazioni di armi italiane nel 2013. Occorre sottolineare che questo dato è “anomalo” rispetto al 2012 e riguarda le autorizzazioni (non le effettive esportazioni). Ancora più cruciale è il fatto che non è l’Italia ad essere il primo partner commerciale dei sauditi per quanto riguarda le armi – semmai l’inverso. Di Battista infatti non ha aggiunto nella sua dichiarazione che l’Arabia Saudita ha visto autorizzazioni molto più ingenti sia nel 2013 che nel periodo 2008-2013 da Regno Unito e Usa. “Nì”.
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Ringraziamo Pieter Wezeman di SIPRI per averci aiutato a navigare nelle banche dati SIPRI