Oltrepassando la polemica su toni e termini utilizzati da Berlusconi, analizziamo la seconda parte della dichiarazione, quella in cui l’ex Presidente del Consiglio menziona il meccanismo che si innesca nel momento in cui il fisco decide di chiarire una determinata situazione economica.
Un’indagine de Linkiesta spiega che il cittadino soggetto ad un controllo può ricevere due tipi di lettera: la prima è riconducibile ai controlli da “articolo 36-ter” ovvero per verificare la congruenza tra la documentazione del contribuente e le deduzioni e detrazioni riportate nella dichiarazione dei redditi. La seconda riguarda il cosiddetto accertamento sintetico-redditometrico, ovvero una verifica di coerenza, da parte del fisco, tra le spese sostenute dal contribuente e il reddito dichiarato.
Per la prima tipologia di lettere l’iter e’ il seguente: il contribuente deve far pervenire la documentazione richiesta entro 30 giorni dalla ricevuta. Se la documentazione non è idonea, l’ufficio competente chiede al contribuente di versare la parte di imposte mancante (che viene ricalcolata) e una sanzione aggiuntiva ammontante al 30% del dovuto (la sanzione viene scontata del 20% se ricevuta entro 30 giorni). Se il contribuente paga, come dice Berlusconi, la pratica è chiusa. Qualora invece egli ritenga di essere stato multato ingiustamente, può fare ricorso.
Per le indagini di tipo redditometrico invece, il contribuente puo’ decidere di non agire dal momento che le lettere sono un invito a valutare le spese effettuate in relazione al proprio reddito e ad essere più puntuali nella prossima dichiarazione dei redditi. Non c’è di per sé nessun risvolto legale, né il contribuente è tenuto a presentare della documentazione. Quando detto nella dichiarazione analizzata si può riferire solo alle lettere di primo tipo, nello scenaro in cui il contribuente decide di fare ricorso.
Berlusconi afferma tre cose: La prima è che il contribuente deve comunque pagare un terzo del dovuto; probabilmente Berlusconi si riferisce alla sanzione aggiuntiva del 30% che il contribuente deve pagare qualora il Fisco riveli una incongruenza tra la documentazione e le deduzioni e detrazioni ottenute. Il contribuente ha però la facoltà di decidere di non pagare e intentare causa, qualora ritenga di avere valide motivazioni. Un “Nì” per Belusconi su questo primo punto.
La seconda affermazione di Berlusconi riguarda la durata del procedimento (dagli 8 ai 10 anni). Il problema della durata dei processi in Italia è reale, tant’è che la Corte di giustizia europea ha sancito (sentenze 29 marzo 2012, nelle cause C-417/10 e C500/10) che un processo tributario deve essere concluso nell’arco di al massimo 10 anni per rispettare il principio di durata ragionevole del giudizio. Berlusconi non dice il falso, ma 8-10 anni rappresentano la durata massima di un processo, non la prassi. La durata media dei processi tributari è infatti secondo alcune fonti 4 anni, secondo altre poco più di due anni (fonti qui e qui). L’ex premier si avvia verso un “Pinocchio andante”per questo punto.
La terza e’ che l’onere della prova ricade sul contribuente. Questo punto è parecchio controverso. La casistica sul tema della cosiddetta inversione dell’onere della prova nell’ambito tributario è parecchio ampia e le fonti che abbiamo consultato sembrano suggerire che talvolta l’onere ricada sull’amministrazione e talvolta sul contribuente. A livello di principi generali, la pubblica amministrazione non può emanare atti senza avere la prova dei fatti costitutivi. Secondo questa prospettiva, se il contribuente impugna l’atto amministrativo, il compito di dimostrare la sua fondatezza ricade sul fisco e, solo una volta che la fondatezza è stata provata, tocca al contribuente mostrare “l’esistenza dei fatti estintivi, modificativi o impeditivi”. Ad esempio è il fisco che deve giustificare la pretesa erariale nei confronti del contribuente nel caso di costi documentati da fatture e reputate dalla stessa amministrazione finanziaria false in quanto derivanti da operazioni finanziarie mai avvenute (sentenza n. 21317 del 6 ottobre 2009 della Corte di Cassazione).
E’ però vero che esistono casi in cui l’onere della prova è invertito; ad esempio, nel caso delle presunzioni generate dall’accertamento tramite lo strumento del ‘redditometro’ e’ il contribuente a dove dimostrare che i dubbi del Fisco non sussistono. Diamo quindi un “C’eri quasi” a Berlusconi! Facendo la media dei voti parziali, Berlusconi prende un “Nì” in diritto tributario e un bollino rosso per i toni!
Si ringrazia Abdoulaye Mbodj per i preziosi chiarimenti forniti su alcuni punti di questa analisi!