Sono mesi che i rappresentanti di tutte le forze politiche sottolineano che la disoccupazione giovanile è vicina o ha raggiunto il 40% (sulle nostre pagine si vedano, ad esempio, le dichiarazioni di Grillo, Berlusconi, Speranza, Letta, Puppato e Casini). D’improvviso il ministro del Lavoro Giovannini vorrebbe smentire d’un colpo solo tutte queste dichiarazioni?
In realtà la questione che solleva l’ex presidente dell’Istat è puramente terminologica. Non mette in questione che il tasso di disoccupazione. nella fascia d’età 15-24 anni. sia arrivato al 40% (40,5% ad aprile 2013 oppure 41,9% per il I trimestre 2013): Giovannini semplicemente puntualizza che tale tasso – che corrisponde a circa 660 mila individui – non si debba calcolare sul totale dei giovani, bensì sui cosiddetti “giovani attivi”. Lo stesso Istat, a inizio 2013, aveva sottolineato questa distinzione in un comunicato stampa, tendente proprio a precisare che i giovani attivi sono i giovani occupati o in cerca di lavoro: ragion per cui non era corretto titolare “un giovane su tre è disoccupato” (quando ancora la disoccupazione giovanile era attorno al 36%). A suo tempo i disoccupati erano il 10,6% della popolazione complessiva tra i 15 ed i 24 anni; ad aprile 2013 il tasso era pari al 10,9% mentre i dati grezzi per il I trimestre indicavano un tasso dell’11,5%.
L’errore che sottolinea Giovannini è abbastanza ricorrente, tanto da esserci cascata addirittura la prestigiosa agenzia Bloomberg, oltre ai partecipanti dei talk show nostrani (si veda a riguardo l’articolo di Davide De Luca su Il Post).
E’ quindi vero che, raffrontando il numero di giovani disoccupati con il numero totale di giovani italiani, si ottiene la percentuale citata da Giovannini. E’ anche vero, però, che il ministro del Lavoro, nel voler essere puntiglioso, non mette in luce due fattori aggiuntivi:
1. tale tasso di disoccupazione viene calcolato su una fascia d’età 15-24, che non solo non esaurisce completamente la definizione “giovani”, ma incorpora per la maggior parte della popolazione di riferimento coloro che stanno ancora studiando.
2. Se si vuole parlare di giovani “senza lavoro” in maniera completa spesso si sceglie di considerare non solo i giovani in cerca di lavoro ma anche gli “scoraggiati”. Si usa, quindi, il totale dei giovani che non partecipa più ad un percorso di formazione ma non è nemmeno impegnata in un’attività lavorativa: i cosiddetti Neet (Not in Employment, Education or Training). I Neet erano già nel 2011 il 19,8% del totale dei 15-24enni italiani, così suddivisi: 7,1% disoccupati; 7,8% vorrebbero lavorare ma non cercano attivamente (almeno secondo la definizione Ilo/Istat) e 4,9% non vogliono lavorare.
In conclusione, Giovannini ha ragione: è sbagliato parlare di “quattro giovani su dieci disoccupati”. Formalmente è “appena” l’11% dei 15-24enni italiani ad essere disoccupato. Tuttavia, dal presidente dell’Istat ci saremmo aspettati un minimo di precisione in più sulla fascia d’età in questione e sul fatto che vi sia una buona fetta di 15-24enni inattivi che vorrebbero lavorare, anch’essi giovani “senza lavoro”: “C’eri quasi”.