Il Presidente del Consiglio si dimostra interessato nei confronti di quello che avviene fuori dai confini nazionali: arriva, infatti, puntuale il suo intervento sulla diffusione dei partiti anti-europeisti, precisamente una settimana dopo la vittoria del partito euroscettico di centro destra, il Partito d’Indipendenza, alle elezioni parlamentari islandesi. Si tratta davvero di un trend avvisabile nei Paesi europei? Pagella Politica vi offre una utile carrellata.
Come in Islanda anche nel Regno Unito, Paese tradizionalmente “guardingo” nei confronti dell’Europa, il partito d’indipendenza inglese, lo Uk Independent Party (Ukip), sta guadagnando consensi. Lo conferma un sondaggio condotto dal think tank Open Europe, che precisa però che, nonostante il partito fortemente contrario al progetto europeo sia in testa rispetto ai conservatori ed al partito laburista per quanto riguarda la elezioni parlamentarie europee del 2014, il 30% dei votanti dello Ukip preferirebbero una relazione meno stringente con l’Unione dopo l’uscita completa. Per dimostrare la crescita del partito nell’ultimo anno, basta notare che nelle elezioni municipali del 2 maggio 2013, esso ha “eclissato” i risultati passati, guadagnando 139 consiglieri.
Impossibile ignorare il movimento euroscettico della sinistra radicale di Syriza, in Grecia, arrivato secondo alle elezioni di giugno 2012, secondo solo al partito conservatore a favore dell’Europa, Nea Democratia, con il 26,9% dei consesi, 22.3% in più rispetto a quanto ottenuto nel 2009.
Vale la pena commentare anche l’ascesa del movimento del magnate austriaco Frank Stronach che, con il suo Team Stronach, afferma di voler creare un ‘euro per ogni Paese europeo’, anziché un ritorno alla moneta nazionale pre-euro. Messo alla prova prima delle elezioni nazionali previste in autunno, Stronach ha ottenuto consensi nel suo primo test elettorale nei parlamenti della Carinzia e della Bassa Austria, alle elezioni regionali del 3 marzo.
In Finlandia abbiamo invece assistito all’ascesa del partito True Finns, euroscettico e nazionalista, che alle ultime elezioni parlamentarie nel 2011 ha ottenuto il 19% dei voti – 15% in più rispetto alle elezioni del 2007 – tanto da renderlo il terzo partito del Paese, con 39 seggi in parlamento, ovvero cinque in meno al primo partito, Kokomuus. Per capire le proporzioni, ricordiamo che il parlamento finlandese è composto da 200 seggi.
Più recentemente, nel marzo di quest’anno, anche in Germania, Paese spesso definito leader nell’Unione Europea, è nato un movimento euroscettico, “Alternative fur Deutschland“, Alternativa per la Germania, considerato un potenziale vincitore di quei voti della destra diffidente nei confronti dell’euro.
In Francia invece, il rinnovato Front National, guidato dalla figlia del suo fondatore, Le Pen, chiede un referendum per l’uscita della Francia dall’Unione europea. L’ascesa del Front è fonte di preoccupazione per molti partiti pro-europei: mentre nelle elezioni del 2007 il candidato Jean-Marie Le Pen ha ottenuto il 10,44% dei consensi, nel 2012 i voti per sua figlia, Marine, sono saliti fino a raggiungere il 17,90%.
Anche in Ungheria il partito principale del Primo Ministro Viktor Orbán, Fidesz, è conosciuto per la “non semplice” relazione con l’Europa. Durante il suo discorso in occasione della festa nazionale ungherese, il Premier ha paragonato l’apparato burocratico europeo ad una tirannia in stile sovietico, respingendo le accuse presentate da Bruxelles riguardo le diverse modifiche alla Costituzione dubbiosamente democratiche fatte dal Premier nel corso del suo mandato. L’euroscetticismo ungherese non si ferma qui però: c’è un nuovo partito che si sta imponendo, il Jobbik, che dal 2006 al 2012 è passato dal 2.2% dei consensi a quasi il 18%. Il partito è meglio conosciuto per aver bruciato una bandiera dell’Unione Europea in una manifestazione organizzata per chiedere l’uscita dell’Ungheria dall’Europa.
Detto questo, notiamo che ci sono Paesi particolarmente colpiti dalla crisi economica che, pur dimostrando una crescente sfiducia nei confronti dell’Europa, non testimoniano una crescita di partiti euroscettici. È il caso della Spagna, dove, secondo i risultati dell’Eurobarometro del 2011 e 2012, la sfiducia della popolazione spagnola nei confronti del progetto europeo è cresciuta del 10%, dal 62% dell’autunno 2011 al 72% dell’autunno 2012. Non risulta che ci sia, però, una particolare ascesa di partiti euroscettici come nel caso di altri Paesi del vecchio continente.
Lo stesso vale per il Portogallo, altro Paese fortemente colpito dalla crisi economica: qui non si registrano avanzamenti dei partiti anti europei. Inoltre, sebbene dal 2010 al 2011 la sfiducia nei confronti dell’Unione Europea dei portoghesi sia cresciuta del 16%, passando dal 40% dell’autunno 2010 al 56% dell’anno successivo, nel 2012 la percentuale è cresciuta del 2%, indicando un rallentamento dell’indignazione nei confronti dell’Europa, che rimane comunque inferiore a quella dei vicini spagnoli.
Per un’analisi più approfondita sul caso spagnolo e portoghese, segnaliamo il rapporto del European Council on Foreign Relations sulla nuova geografia politica in Europa, in particolare i capitoli 9 (Portogallo) e 10 (Spagna).
L’ascesa di movimenti euroscettici in Europa è sicuramente una realtà che va riconosciuta. Ciononostante, dire che in “tutti” i Paesi d’Europa ci siano movimenti che prendono voti contro l’Europa è un’esagerazione, come dimostrano i due dei Paesi più colpiti dalla crisi economica, Spagna e Portogallo. Nonostante la fiducia nell’Unione europea non sia ai suoi massimi, constatare l’esistenza di due Paesi europei in cui non si registri l’ascesa di particolari movimenti euroscettici, è sufficiente per non corroborare la dichiarazione di Letta e abbassare il voto ad un “C’eri quasi”.