Ospite di Bruno Vespa, anche Luigi Di Maio si esprime sul Fiscal Compact, sul quale non si contano più le varie stime: si va dai 50 miliardi per 20 anni di Grillo ai 40 miliardi per 20 anni di Meloni, fino ad arrivare, appunto, al dato citato dal vice presidente della Camera ed esponente di spicco del M5S, di 30-50 miliardi all’anno per 30 anni.
I lettori più assidui di Pagella Politica conosceranno ormai a memoria la vicenda, ma le elezioni europee si avvicinano ed è importante far luce su uno dei suoi principali temi di contesa nello scontro elettorale. Ricordiamo, quindi, che il Fiscal Compact obbliga le parti contraenti a ridurre il loro rapporto debito/Pil di un ventesimo della differenza tra il loro debito effettivo e il 60% del Pil (si veda l’art. 4 Trattato sulla Stabilità, sul Coordinamento e sulla Governance).
Per un Paese come l’Italia – con un rapporto tra debito pubblico e Pil che dovrebbe raggiungere quest’anno lo stratosferico livello di 134,5% (2.134 miliardi di euro) – il Fiscal Compact richiederà indubbiamente un importantissimo sforzo di rientro. Ma si tratta davvero dei 30-50 miliardi all’anno per 30 anni come detto da Di Maio? In una parola: no.
No, perché se è vero che i primi anni il taglio medio si dovrà avvicinare davvero alla parte inferiore della forchetta citata da Di Maio questo taglio si ridurrà anno dopo anno perché – come tenta di obiettare Vespa – ogni anno la differenza tra il rapporto debito/Pil e il parametro del 60% si ridurrà sia perché si riduce il numeratore (ossia il debito, tagliato l’anno prima) sia perché aumenta il denominatore (ossia il Pil, che già da quest’anno dovrebbe tornare in positivo e che indubbiamente non decrescerà per 30 anni di fila).
L’obiezione che viene subito in mente di fare è che la crescita – se ci dovesse essere – sarà troppo bassa. Tuttavia, la crescita di cui avremo bisogno è crescita nominale, ovvero inclusiva dell’inflazione, perché è con i valori dell’anno in corso che si misurerà il rapporto tra debito/Pil. E nel periodo 2001-2013, durante il quale abbiamo avuto la peggiore crisi dal dopoguerra, la crescita nominale media è stata di quasi due punti percentuali (nonostante la crescita reale sia stata quasi nulla). E per il periodo 2015-2018 le stime del Fondo Monetario Internazionale ci vogliono in crescita di circa il 2,5% annuo.
Veniamo a quanto dovrebbe costarci effettivamente. Iniziamo col dire che il Fiscal Compact entrerà in vigore non prima del 2016 – quindi non già da quest’anno – visto che ai Paesi viene concesso un periodo di “grazia” di 3 anni in seguito alla loro uscita dalla procedura di deficit eccessivo (avvenuta per l’Italia nel 2013). I calcoli, quindi, devono iniziare con l’anno 2016. Nello scenario in cui la crescita si attesta attorno al 2,6% rispetteremmo i vincoli del Fiscal Compact tutti gli anni tranne i primi tre, in cui sarebbe richiesta una correzione complessiva di circa 22 miliardi*. Con l’Europa ad apparente rischio deflazione, però, è realistico immaginare una crescita del Pil nominale così alta? Forse no, quindi abbiamo proiettato l’andamento del debito anche con una crescita nominale di un punto più bassa, ovvero pari all’1,6%. In questo caso ci sarebbe effettivamente bisogno di tagliare il debito ma in misura molto minore rispetto a quanto detto da Di Maio. I primi anni sarebbero richiesti tagli ingenti, che vanno via via diminuendo fino a non essere più necessari nel 2039. Il taglio complessivo sarebbe di circa 170 miliardi in quasi 20 anni, il taglio medio annuo sarebbe pari a circa 7,4 miliardi.
(Ci teniamo a sottolineare che i nostri calcoli sono relativamente grossolani. Ci sono, infatti, altre variabili da tenere in considerazione, come i tassi d’interesse e l’avanzo primario. Un modello interattivo di Reuters permette ai più curiosi di esplorare i vari scenari cambiando le variabili principali).
Entrambi gli scenari non considerano il costo del rientro dal deficit – che nel 2015 è previsto essere del -2,2%, ovvero 35 miliardi circa (per tenere fermo il debito bisognerà infatti riportare a 0 il nostro disavanzo). Tale costo è “one-off”, ossia da non effettuare ogni anno, e anche questo dipendente in gran parte dalla salute della nostra economia.
Per riassumere:
- Secondo Di Maio il Fiscal Compact ci costerà 30-50 miliardi all’anno per 30 anni, ovvero una cifra da capogiro di 900-1500 miliardi di euro (la soglia massima sarebbe pari quasi all’intero Pil italiano nel 2014).
- In realtà i tagli richiesti dovrebbero aggirarsi sui 22 miliardi in totale se la crescita è del 2,6% nominale, e di circa 170 miliardi se la crescita si dovesse fermare al 1,6% per i prossimi 30 anni.
Valutiamo tale dichiarazione con un “Pinocchio andante” invece della Panzana pazzesca – giudizio che un’affermazione così esagerata forse meriterebbe – perché rimane vero il fatto che il Fiscal Compact dovrebbe comportare, almeno nei primi anni, delle scelte di politica fiscale e di contenimento della spesa decisamente difficili ed atipiche per il nostro Paese. Ciononostante la dichiarazione di Di Maio, che tali tagli si ripeteranno per tre decenni, è una grossolana esagerazione.
*Aprendo il foglio di calcolo si vedrà che agli anni in cui è necessario un taglio per raggiungere un calo del rapporto debito/Pil sono sempre seguiti anni in cui il rapporto è più che rispettato (causa crescita del Pil). Siccome il Fiscal Compact parla di “calo medio”, anche noi ci siamo attenuti al calo tendenziale piuttosto che collegare a ciascun anno il calo effettivo messo in luce nei nostri calcoli.