Alfano torna a parlare del famigerato spread, l’incubo che ha tormentato il sonno degli italiani negli ultimi mesi: avrà ragione nell’affermare che l’unico capace di fermarlo è stato Mario Draghi?


Ricordiamo intanto cos’è lo spread, vale a dire la differenza tra il tasso di interesse dei titoli pubblici italiani a dieci anni (i Btp) e quello dei titoli pubblici tedeschi (i Bund), sempre a dieci anni. E’ importante per tre ragioni, come ben ricorda questo articolo del Sole 24 Ore: (1) più il tasso di interesse è alto, più lo Stato deve pagare i suoi debitori; (2) i tassi di interesse più elevati si ripercuotono sulle imprese italiane, che diventano quindi meno competitive di quelle tedesche; e (3) elevati tassi di interesse indicano scarsa fiducia nello Stato che emette i titoli da parte degli investitori, che chiedono un compenso elevato (il tasso) per detenere titoli il cui rimborso è incerto. Si comprende dunque perché lo spread sia uno dei principali indicatori dell’andamento finanziario di uno Stato, e perché Angelino Alfano cerchi di identificare le cause del suo andamento altalenante: merito del governo o della Bce?


Siamo partiti da questo grafico del Sole 24 Ore (di seguito ne riportiamo un’immagine) che mostra i valori dello spread negli ultimi sei mesi: da qui siamo andati a vederne i valori in concomitanza delle principali riforme del Governo e degli annunci di Mario Draghi.



 
Notiamo che lo spread reagisce sensibilmente sia ad annunci di politica economica interna che europea, e che in effetti c’è del vero nelle parole del segretario del Pdl. Durante l’estate, ad esempio, lo spread ha toccato costantemente valori al di sopra dei 450 punti, specialmente in seguito all’approvazione della spending review lo scorso 5 luglio, continuando a crescere fino all’annuncio del presidente della Bce il 27 luglio:”Pronti a tutto per salvare l’euro, in Italia e Spagna progressi sui conti “, che ha riportato lo spread da 537 a 459 punti.


Allo stesso modo, la discesa verso il limite dei 350 punti percentuali iniziata a settembre è legata agli annunci di Draghi (“l’acquisto di bond fino a 3 anni non è aiuto agli Stati“) e alla decisione della Bce sul piano anti-spread per dare il via all’acquisto di bond in quantità adeguata al conseguimento degli obiettivi di contenimento fiscale, con una quantità di transazioni monetarie illimitate.


Ma basta questo per dare pienamente ragione ad Alfano? Secondo noi nì.


Come ricorda questa infografica di Opendatablog del Sole 24 Ore, le determinanti dell’andamento dello spread sono più complesse, e coinvolgono l’economia e la politica europea in generale. Alfano forse esagera a sottovalutare l’effetto delle “cosiddette riforme”. A gennaio 2012, ad esempio, il decreto Salva-Italia approvato dal governo aveva riportato il valore dello spread a 379. Anche le nuove misure varate sulla finanza e i finanziamente degli enti locali e il decreto Crescita 2.0, entrambi varati il 4 ottobre, non hanno influito sull’alzamento dello spread e, anzi, in data 5 ottobre è sceso fino a 351 punti.


E’ bene considerare, inoltre, che gli annunci rassicuranti di Mario Draghi ai mercati hanno la loro ragion d’essere proprio nelle riforme che gli Stati europei, quali Italia, Spagna, Portogallo ed Irlanda, stanno portando avanti. Come affermato dallo stesso presidente della Bce il 27 luglio, nel discorso citato da Alfano: ” le differenze [tra Stati dell’area euro] tendono a diminuire e le nazioni tendono a convergere molto più di quanto abbiano fatto da molti anni – sia a livello nazionale, in Paesi come il Portogallo, l’Irlanda e in Paesi che non era nel programma, come la Spagna e l’Italia. Il progresso nel tenere sotto controllo il debito, le riforme strutturali, è stato notevole”.


Come si vede, la materia è complessa e le variabili da tenere in considerazione sono molteplici. Alfano porta a casa un “Nì”!