Il capogruppo del Partito Democratico alla Camera dei Deputati snocciola tre dati all’interno di una sola frase; vediamo quanto sono corretti.



Per quanto riguarda la chiusura delle aziende nel 2012, il dato è stato citato a più riprese da diversi politici, ultimo Beppe Grillo durante la campagna elettorale di febbraio (una dichiarazione già analizzata da Pagella Politica). Ebbene, rifacendoci sempre all’esaustivo rapporto di Unioncamere per il 2012, notiamo che l’anno scorso hanno chiuso i battenti ben 364.972 imprese: è quindi preciso il numero citato da Speranza.



Anche per quanto riguarda la disoccupazione giovanile Speranza sembra aver ben memorizzato i dati. Considerando che la dichiarazione è di maggio, i dati Istat più recenti sulla disoccupazione giovanile risalivano al 38,4% del mese di marzo, in aumento di 0,6 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 3,2 punti nel confronto tendenziale.



Per quanto riguarda invece l’ultima affermazione, il numero si rivela impreciso e, purtroppo, rappresenta una sottostima della realtà. L’ultimo rapporto Istat “Noi Italia 2013” riporta infatti la drammatica cifra di 8,2 milioni di individui in condizioni di povertà relativa (pag. 251 – si badi, però, che i dati sono relativi al 2011). Come spiega l’Istat, “la stima dell’incidenza della povertà relativa (la percentuale di famiglie e persone povere) viene calcolata sulla base di una soglia convenzionale (linea di povertà) che individua il valore di spesa per consumi al di sotto del quale una famiglia viene definita povera in termini relativi. La soglia per una famiglia di due componenti è pari alla spesa media mensile per persona nel Paese, che nel 2011 è risultata di 1.011,03 euro. Le famiglie composte da due persone che hanno una spesa mensile pari o inferiore a tale valore vengono classificate come povere.” A questi si aggiunge poi l’esercito degli individui in condizioni di povertá assoluta, ovvero 3,4 milioni di persone; sono coloro che non hanno i mezzi per garantirsi l’acquisto di beni giudicati essenziali ad uno standard di vita minimamente accettabile, e corrispondono al 5,2% delle famiglie italiane.



Insomma, dobbiamo dare ”Vero” alle prime due affermazioni di Speranza, e ”Nì” alla terza. Complessivamente, un ”C’eri quasi” per la precisione e la contezza della realtà che ci circonda.