Pur avendo smesso i panni di portavoce italiano dell’Unhcr, Laura Boldrini dimostra di interessarsi alla questione. Nello specifico, la presidente della Camera è intervenuta su una categoria particolarmente svantaggiata: coloro che richiedono lo status di rifugiato in quanto vittime di discriminazione dovuta all’orientamento sessuale.



Cominciamo con un piccolo inquadramento giuridico. Lo strumento principale da considerare in questo caso è la Convenzione Onu sullo Status dei Rifugiati del 1951, da leggere assieme al Protocollo del 1967 che fornisce la definizione generalmente utilizzata. Secondo l’articolo 1 A, si considera rifugiato colui che “temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese, di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese.” Ebbene, come si può vedere, l’orientamento sessuale non figura tra le cinque motivazioni previste dalla Convenzione che possano giustificare la richiesta dello status di rifugiato, nonostante sia una motivazione frequente. Consigliamo ai lettori interessati la lettura di questo efficace report, “Sexual orientation in Refugee Status Determination” prodotto dal Refugee Studies Centre dell’Università di Oxford, che offre una panoramica sulle difficoltà affrontate da questa particolare categoria di persone.



Laura Boldrini, però, lamenta la situazione normativa di diversi Paesi europei che, a suo dire, non riconoscono questa motivazione nella determinazione dello status di rifugiato. Come leggiamo nel rapporto Status of Asylum Law in EU Member States, secondo la direttiva 83 del 2004 del Consiglio dell’Unione Europea (anche nota come Qualification Directive), l’orientamento sessuale, a seconda delle circostanze del Paese d’origine, può costituire la base per una richiesta di asilo motivata da persecuzione derivante dall’appartenenza di un particolare gruppo sociale. Al 2008, purtroppo non ci sono dati più aggiornati, nessun Paese dell’Ue ha espressamente rifiutato di considerare questa motivazione allo scopo dell’assegnazione dello status di rifugiato. Ciò, tuttavia, non significa che tutti i Paesi l’abbiano espressamente riconosciuta. E’ evidente che l’oggetto dell’analisi risulti quindi particolarmente vasto e complesso; per districarci tra leggi e provvedimenti normativi dei 28 membri dell’Unione Europea, ci facciamo aiutare dall’International Lesbian, Gay, Bisexual, Trans and Intersex Association che ha analizzato, sotto questa lente, la situazione normativa in materia di asilo nei diversi Paesi europei. Nella tabella sottostante sintetizziamo le informazioni del rapporto dell’Ilga e, nello specifico, mostriamo quei Paesi la cui legislazione prevede questa fattispecie o che, perlomeno, hanno introdotto nel proprio corpo normativo la direttiva sopra menzionata (le informazioni sulla Croazia, all’epoca non ancora membro dell’Unione Europea, sono state rinvenute qui).








Come possiamo vedere, la maggior parte dei Paesi europei prevede il riconoscimento dell’orientamento sessuale come motivazione per l’assegnazione dello status di rifugiato. Si distacca da questo trend solamente la Danimarca, che non partecipa alla Qualification Directive e non riconosce l’orientamento sessuale come particolare gruppo sociale ammissibile per lo status di rifugiato ma che, però, garantisce il permesso di soggiorno all’individuo omosessuale che rischi la pena di morte, la tortura od ogni altri trattamento disumano e degradante nel suo Paese d’origine. Abbiamo poi assegnato un giudizio intermedio alla Grecia che, sebbene faccia derivare la definizione di rifugiato dalla Convenzione Onu, (che, come abbiamo visto, non include l’orientamento sessuale), ha concesso asilo a due richiedenti iraniani per questa motivazione.



Fermandoci a questo punto; sembrerebbe proprio che Laura Boldrini sia caduta nella temutissima Panzana pazzesca. Occorre altresì precisare che in casi come questo, è opportuno considerare sia il linguaggio normativo che la prassi, ovvero sia la previsione di questa motivazione nel testo di legge, sia la sua effettiva utilizzazione. Facendo siffatta precisazione, la situazione cambia (rimandiamo sempre al rapporto dell’Ilga sopra citato). La Bulgaria, di fatto, non ha mai concesso asilo per tale motivazione (anche se, sempre stando all’Ilga, è stata avanzata solo una richiesta di asilo sulla base della medesima), ed anche nel Regno Unito spesso l’asilo viene negato a richiedenti appartenenti alla comunità LGBT. Situazione simile anche in Italia, dove l’orientamento sessuale, da solo, non è una motivazione sufficiente per il riconoscimento dello status di rifugiato. Diversi sono, poi, i Paesi dove non è mai stata registrata una richiesta di asilo in seguito a tale motivazione e dove, quindi, risulta difficile capire se ad un chiaro linguaggio normativo farebbe seguito una conseguente prassi: è il caso di Slovacchia, Slovenia, Romania, Lituania ed Estonia. Tenendo in considerazione questo, la realtà europea diviene molto più rispondente a quanto lamentato da Laura Boldrini.



Non possiamo non constatare che la presidente della Camera ha infarcito di eccessiva imprecisione la dichiarazione in oggetto, facendo intuire che si tratti di un vuoto normativo, quando in realtà si tratta di un problema legato all’implementazione di una norma esistente: “Nì”!