È passato appena un mese dalla strage dei profughi africani, avvenuta al largo di Lampedusa il 3 ottobre. I numeri furono drammatici: soltanto 155 superstiti su un totale di circa 500 naviganti, come riferì Angelino Alfano in parlamento. Nel dibattito che ne seguiva, interveniva anche il sindaco di Napoli, il quale se la prendeva con l’attuale assetto normativo in tema di immigrazione (insieme al Presidente del Consiglio Letta). A ridotta distanza temporale dall’accaduto, infatti, la Procura di Agrigento aveva affermato che i superstiti maggiorenni del naufragio sarebbero stati identificati e indagati per immigrazione clandestina in quanto, chiarivano gli stessi magistrati, “atto dovuto”.



In effetti questo è quello che prevede la legge. Nella normativa dettata dal decreto legislativo n. 286/1998, il cosiddetto Testo Unico sull’immigrazione – la legge n. 94/2009 – facente parte del pacchetto sicurezza 2009 a firma dell’allora ministro dell’Interno Maroni, inseriva il reato di immigrazione clandestina (va quindi chiarito come si tratti di un intervento successivo alla legge n. 189/2002, ossia la legge Bossi-Fini, anch’essa precedentemente intervenuta a modificare il Testo Unico citato). Precisamente, l’art. 10-bis punisce con l’ammenda da 5.000 a 10.000 euro, “salvo che il fatto costituisca più grave reato, lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del presente testo unico nonché di quelle di cui all’articolo 1 della legge 28 maggio 2007, n. 68” (laddove per “presente testo unico” si intende il decreto legislativo n. 286/98 già menzionato, mentre le disposizioni di cui all’articolo 1 della legge n. 68/2007 riguardano i soggiorni di breve durata). Difeso da alcuni, osteggiato da altri, il reato di immigrazione clandestina potrebbe essere presto abolito: il 9 ottobre, la Commissione Giustizia del Senato ha infatti approvato un emendamento (presentato dai senatori del Movimento Cinque Stelle, su cui avevamo accennato anche in questa precedente analisi) che ne prevede l’eliminazione. Il testo in questione, che ha ricevuto anche il via libera del governo, dovrà essere discusso in Aula.



Veniamo alla seconda parte della dichiarazione, quella relativa alla fattispecie del pescatore che decida di prestare aiuto in acque italiane ai migranti, e chiamiamo quindi in causa il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Se ne parla nell’art. 12, primo comma del Testo Unico già citato, che recita: “salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, in violazione delle disposizioni del presente testo unico, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa di 15.000 euro per ogni persona”. A prima vista parrebbe di essere di fronte ad una norma generica che punisce chiunque trasporti immigrati in Italia, anche se si tratta di naufraghi tratti in salvo da un’imbarcazione affondata. Il secondo comma dello stesso articolo, tuttavia, è chiaro: “non costituiscono reato le attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno comunque presenti nel territorio dello Stato”. Dunque, le attività di soccorso e assistenza umanitaria di stranieri in difficoltà che sono già presenti nel territorio italiano non costituiscono reato. A conferma di quanto detto, la presidente della Camera Boldrini chiariva recentemente che, in situazione come quella descritta, “l’unico reato in mare è l’omissione di soccorso e dunque soccorrere è un dovere”.



De Magistris se la cava, ma soltanto nella prima metà della sua dichiarazione… “Nì”!