L’11 aprile, il sottosegretario al Lavoro Claudio Cominardi (M5s) ha scritto su Facebook che in Italia si lavora circa 1.800 ore all’anno, mentre in Francia e in Germania 240 e 350 ore in meno. Questi due Paesi hanno meno disoccupazione del nostro, nota Cominardi: aggiungendo che la riduzione dell’orario di lavoro in Italia è una «questione estremamente seria».
Ma esiste davvero una differenza tra quanto si lavora in Italia e negli altri grandi Paesi europei? Abbiamo verificato.
Quante ore lavoriamo ogni anno?
Secondo i dati dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), nel 2017 in Italia le ore effettivamente lavorate per lavoratore sono state in media 1.723 ore nel corso dell’anno, contro le 1.514 ore dei colleghi francesi e le 1.356 ore di quelli tedeschi. La differenza tra il nostro Paese e la Francia è dunque di 209 ore, mentre quella con la Germania di 367. La media Ocse è invece di 1.746 ore annue lavorate per lavoratore.
Dieci anni fa, in tutti e tre i Paesi si lavorava più di oggi. Nel 2007, infatti, le ore lavorate in Italia erano 1.818,2 (quasi 100 in più di oggi), 1.530 in Francia e 1.424,4 in Germania.
Questo trend di diminuzione delle ore lavorate dura da molto tempo. Nel 1991, per esempio, in Italia si lavoravano 1.851 ore, 1.622,6 in Francia e 1.553,5 in Germania. [1]
C’è chi lavora di più di noi in Europa?
Nel suo post, Cominardi scrive che rispetto all’Italia «solo la Grecia riesce a fare peggio», ossia a lavorare mediamente di più. Ma in realtà non è proprio così.
Nel 2017, secondo i dati Ocse, in Grecia – ultima in classifica in Europa – si sono lavorate 1.956 ore. Ma almeno altri cinque Paesi europei hanno lavorato più ore rispetto al nostro: Islanda (1.858 ore), Polonia (1.815 ore), Estonia (1.792 ore), Repubblica Ceca (1.776 ore), Ungheria (1.740 ore), Irlanda (1.730 ore) e Portogallo (1.727).
Fuori dall’Europa, i Paesi Ocse che lavorano di più sono il Messico (2.257 ore), la Costa Rica (2.179) e la Corea del Sud (2.257).
Che cosa ci dicono questi numeri?
L’economista Carlo Dell’Aringa, intervistato da L’Espresso a giugno 2018, ha evidenziato che in Italia il trend di riduzione delle ore annue lavorate è motivato principalmente da scelte di necessità: negli anni è stato più semplice per gli italiani trovare un lavoro stagionale e flessibile piuttosto che un’occupazione a tempo pieno.
Secondo Dell’Aringa, poi, molte ore di lavoro non si traducono automaticamente in maggiore produttività. L’Italia si trova, come abbiamo visto, tra Paesi Ocse che hanno un alto numero medio di ore lavorate durante l’anno, ma, per quanto riguarda la produttività, è in una fase di stallo. Al contrario la Germania, pur essendo tra i Paesi europei con meno ore di lavoro, è tra quelli con una migliore produttività.
Proprio pensando al confronto tra l’Italia e la Germania, Dell’Aringa ha inoltre spiegato che il modello tedesco della riduzione delle ore di lavoro è difficilmente applicabile nel nostro Paese. Visto l’alto numero di piccole imprese che si trovano in Italia, la flessibilità dell’orario di lavoro rischierebbe di portare a problemi di gestione: «La riduzione d’orario di un dipendenti finirebbe sulle spalle dei colleghi, a meno che non vi sia una seria pianificazione dei compiti e una gestione manageriale, che spesso manca».
I numeri sulla disoccupazione
Secondo i dati Eurostat più recenti, a febbraio 2019 l’Italia ha registrato un tasso di disoccupazione del 10,9 per cento. Peggio di noi hanno fatto solo la Spagna (13,9 per cento) e la Grecia (18 per cento). Francia e Germania invece hanno un tasso di disoccupazione più basso rispetto a quello italiano, pari rispettivamente all’8,8 per cento e al 3,1 per cento.
Grafico: Tasso di disoccupazione dei Paesi Ue (febbraio 2019) – Fonte: Eurostat
Discorso analogo vale anche per gli ultimi dati annuali disponibili, relativi al 2018. Secondo Eurostat, l’anno scorso l’Italia ha registrato un tasso di disoccupazione pari al 10,6 per cento, la Francia pari al 9,1 per cento e la Germania pari al 3,4 per cento.
Meno si lavora, più si lavora?
Nel suo post su Facebook, Cominardi mette in relazione le ore lavorate con l’occupazione, suggerendo l’idea che, se si abbassassero le prime, aumenterebbe di conseguenza la seconda. E Paesi come Francia e Germania ne sarebbero una dimostrazione. Cominardi scrive che il miglioramento dei processi produttivi e dell’organizzazione del lavoro porterà a «ridurre l’orario di lavoro» e a «redistribuirlo puntando alla piena occupazione».
Questa ipotesi è stata di recente portata all’attenzione del dibattito pubblico anche dal nuovo presidente dell’Inps Pasquale Tridico, che il 10 aprile scorso – durante una lezione all’università “La Sapienza” di Roma – ha detto che la riduzione dell’orario di lavoro può essere una «leva per ridistribuire ricchezza e aumentare l’occupazione».
Sebbene questa opzione non sia attualmente sul tavolo di governo, ministri come Luigi Di Maio e membri dell’opposizione, come Maurizio Martina del Partito democratico, hanno espresso interesse ad approfondire questo argomento in Parlamento.
In realtà, l’idea che una riduzione delle ore lavorate produca più lavoro – perché aumenterebbe di conseguenza la necessità di assunzioni per “colmare il vuoto” – è tutt’altro che data per certa dalla comunità scientifica in ambito economico.
Come spiegano gli economisti Batut, Garnero e Tondini in un recente articolo su lavoce.info, gli studi empirici su esperienze europee «non sembrano suggerire che ridurre le ore di lavoro porti ad aumenti dell’occupazione». Benefici diretti sono stati però registrati sulla crescita della produttività e del benessere dei lavoratori, con effetti duraturi nel tempo.
Il verdetto
Claudio Cominardi (M5s) ha scritto su Facebook che gli italiani lavorano circa 1.800 ore all’anno, meno soltanto della Grecia; 240 ore in più rispetto alla Francia e 350 ore in più rispetto alla Germania, due Paesi con una disoccupazione più bassa della nostra. Il sottosegretario al ministero del Lavoro è però impreciso, per almeno due motivi.
È vero che in Francia e Germania si lavora annualmente per meno ore (con una differenza di 209 ore nel primo caso e 367 nel secondo). Non è invece vero che a livello europeo «solo la Grecia riesce a fare peggio» dell’Italia: ci sono infatti almeno altri sette Paesi europei che nel 2017 (ultimi dati disponibili) hanno lavorato per più ore rispetto agli italiani.
Infine, sebbene sia corretto dire che Francia e Germania registrano tassi di disoccupazione inferiori rispetto all’Italia, questa correlazione non garantisce che a una riduzione delle ore di lavoro corrisponda anche una crescita dell’occupazione, anche se ci sono altri effetti positivi registrati dagli studiosi.
In conclusione, Cominardi merita un “Nì”.
[1] Da un punto di vista metodologico, questo confronto è basato su definizioni e fonti diverse e va quindi considerato con precauzione.