Produttività italiana e tedesca: 30 punti di differenza?

Confindustria
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Nel corso di un’intervista con il Corriere della Sera, il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia ha dichiarato che la Germania è riuscita a incrementare la propria «produttività di 30 punti più dell’Italia negli ultimi anni». Questo sarebbe avvenuto grazie a investimenti pubblici e privati, a una leva fiscale a favore dei lavoratori e ad accordi di secondo livello aziendale che creano un meccanismo di “scambio” salario-produttività.

Ma davvero la Germania ha fatto tanto meglio dell’Italia?

Abbiamo deciso di verificare i dati sulla produttività dei due Paesi.

Che cos'è la produttività?

Grazie a database come Eurostat, Istat e Ocse (in inglese “Oecd”), è possibile individuare alcune statistiche relative al concetto di produttività. A livello internazionale, una delle pubblicazioni di riferimento per la comparazione dei livelli di produttività tra Paesi è l’Oecd Compendium of productivity indicators (da qui, indicato con Compendio Ocse) che viene pubblicato ogni anno dall’omonima organizzazione.

Ma a che cosa ci si riferisce parlando genericamente di “produttività”?

Il riferimento è alla “produttività del lavoro”, anche se esistono diversi altri indicatori simili: come, per esempio, la produttività del capitale (efficienza del capitale), multifattoriale (produttività data dalla combinazione capitale e lavoro), o, ancora, gli indicatori di competitività internazionale (una combinazione di costi unitari del lavoro, dell’impiego di capitale e di beni intermedi).

Nel caso di Vincenzo Boccia, è chiaro che il riferimento dell’intervista è alla produttività del fattore lavoro. Inoltre, il titolo dell’intervista stessa verte sul tema dell’occupazione («Il lavoro è l’emergenza ormai dimenticata: con i cantieri avremmo 400 mila posti in più»).

Passiamo ora ai dati

Attraverso il Compendio Ocse è possibile risalire ai database relativi alla produttività. Non è infatti sufficiente osservare le cifre con riferimento al 2018, in quanto queste ultime esprimono esclusivamente la variazione di produttività su base annuale. Il presidente di Confindustria esprime invece un giudizio su un lasso di tempo più ampio, per quanto, per così dire, indefinibile, visto che usa l’espressione «negli ultimi anni». Come vedremo, sono gli stessi database a venirci dell’OCSE a venirci incontro.

Infatti, per facilitare la comparazione pluriennale della produttività di diversi Paesi è usuale utilizzare due forme di misurazione: il tasso di crescita medio (sulla base dei tassi annuali), oppure un indice che utilizza, come base di partenza, un determinato anno.

Consultando il database OECD Productivity Statistics, partiamo dall’indice che prende come valore base il 2010 (2010=100). A partire dal valore della produttività di quell’anno, è possibile verificare la posizione relativa di un Paese a determinati anni di distanza.

Per verificare l’affermazione di Boccia, abbiamo estratto i dati relativi alla produttività del lavoro di Germania e Italia in termini di “valore aggiunto per ora di lavoro”. Tra i vari indicatori della produttività del lavoro, si tratta di quello più comune e significativo, in quanto, a differenza del “valore aggiunto per occupato”, è invariante rispetto a forme di lavoro part time.

Proseguiamo nel dettaglio. Abbiamo estratto i valori il cui indice di riferimento è l’anno 2010 (2010=100) ed esaminato sia i dati relativi alle due economie nella loro interezza, sia quelli attinenti al solo settore manifatturiero. I grafici interattivi che seguono mostrano l’andamento della produttività dal 1995 al 2017 per Germania e Italia.

Che cosa ci dicono i numeri

Considerando tutti i settori economici e calcolando la variazione tra il 2010 e il 2017, risulta che la Germania sia cresciuta di 7,2 punti, mentre l’Italia di 1,7. Per quanto riguarda il settore manifatturiero, invece, le variazioni sono, rispettivamente del 12,5 e 9,8. Il differenziale tra i due Paesi, insomma, esiste ma non sembra corrispondere ai numeri riportati da Vincenzo Boccia.

Se allarghiamo il periodo del confronto e guardiamo alla variazione tra il 2000 e il 2017, invece, nel caso della Germania si nota una variazione di ben 18,53 punti (totale economia), rispetto al (misero) incremento di 1,58 punti dell’Italia. Focalizzando l’attenzione sul settore manifatturiero e mantenendo lo stesso lasso di tempo, le variazioni sono pari, rispettivamente, a 34,01 e a 19,17 punti.

Insomma le parole del presidente di Confindustria, se riportate correttamente, potrebbero essere relative alla sola crescita del settore manifatturiero tedesco nel corso degli ultimi 17 anni: ma in quel periodo di tempo anche la produttività italiana è cresciuta (anche se meno), quindi non trova un corrispettivo l’affermazione per cui la produttività della Germania sia di «30 punti più alta di quella dell’Italia».

Per scrupolo, sulla base dei dati Ocse, abbiamo verificato anche indicatori quali la produttività multifattoriale, ma non abbiamo trovato riscontro del differenziale di 30 punti.

In conclusione

Come sottolineano i vari rapporti OCSE sulla produttività pubblicati negli ultimi anni, l’Italia sembra essere ferma al palo – emblematico soprattutto il dato della crescita di 1,58 punti tra il 2000 e il 2017. Il differenziale rispetto alla Germania a cui ha fatto riferimento Vincenzo Boccia durante la sua intervista con il Corriere della Sera non trova però un riscontro nei dati Ocse. Tra 2010 e 2017 Italia e Germania si sono distanziati di circa 5 punti, mentre tra 2000 e 2017 la differenza è di circa 15 punti.

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