Anche se per certi aspetti può sembrare riduttivo ricondurre le condizioni socio-economiche di un Paese a pochi indici omnicomprensivi, ci sembra che la dichiarazione della presidente della Camera sia facilmente verificabile attraverso le misure di disuguaglianza e mobilità sociale sviluppate dall’Oecd.
Per quanto riguarda la prima parte dell’affermazione, è vero che il gap tra poveri e ricchi è complessivamente aumentato. In un famoso report del 2011 intitolato ‘Divided we stand’, l’Oecd denunciava proprio questo fenomeno, sottolineando che anche prima della crisi e in Paesi in fase di crescita economica l’inuguaglianza è andata aumentando negli ultimi 30 anni.
Il coefficiente Gini nei Paesi Oecd – che misura la disuguaglianza di reddito tra 0 e 1 in cui 1 rappresenta una condizione di massima inequità – è passato da 0.286 nel 1985 a 0.316 nel 2010, un aumento di poco superiore al 10%. Il grafico a sinistra mostra l’andamento della media Oecd calcolata su 16 Paesi per i quali erano disponibili i dati per tutti gli anni considerati.
Meno scontata la seconda parte dell’affermazione. Se confrontiamo il nostro Paese con la media Oecd (il grafico sottostante è tratto da questo link, Oecd), notiamo che il coefficiente Gini è diminuito tra il 2004 e il 2007 passando da 0.330 a 0.311. La media Oecd era nel 2007 pari a 0.314. Le disuguaglianze sono tornate poi ad aumentare e l’indice misurava, nel 2010, 0.319, contro la media 0.316 dell’Oecd.
Complessivamente, tra il 1995 e il 2010, il Gini coefficient italiano è sceso del 2.1% contro un aumento della media Oecd del 5%. E’ anche vero, però, che negli ultimi anni l’indice ha ripreso a crescere. L’Italia si colloca quindi, in base agli ultimi dati, poco sopra la media Oecd anche se questo non fa certo di essa “uno dei Paesi più diseguali del mondo”. Basta pensare che “più diseguali” di noi, sempre nel gruppo Oecd, ci sono Paesi come Canada, Australia, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti.
Gini coefficient of household disposable income and gap between richest and poorest 10% (fonte OECD 2010)
Anche uscendo dal contesto Oecd, notiamo come l’Italia non sia tra i Paesi con maggior disuguaglianza. Secondo il CIA World Factbook, che riporta i Gini coefficient di molti Paesi del mondo (aggiornati all’ultimo anno disponibile) l’Italia è al 107° posto su 136 Paesi considerati. La classifica parte dal Paese con maggior disuguaglianze (al 1° posto il Lesotho con 63.2 su 100 nel 1995), a quello con meno disuguaglianza (Svezia, 23 su 100 nel 2005). Certo, il coefficiente Gini è solo una delle tante misure di ineguaglianza, ma ciò non toglie che almeno secondo questa misura la condizione dell’Italia è differente da quanto affermato dalla Boldrini.
Per quanto concerne invece la mobilità sociale, la presidente ha ragione. Secondo quanto riportato dall’Oecd nel report ‘Intergenerational Social Mobility’, l’Italia è uno dei Paesi con minor mobilità intergenerazionale (pag. 3).
Come in Uk, Usa o Francia, in Italia più del 40% del vantaggio che i genitori con stipendi alti hanno rispetto a genitori con stipendi bassi viene passato alla generazione successiva. E’ quindi facile che i figli abbiano stipendi simili a quelli dei loro padri.
Stando così le cose, non resta che assegnare un “Nì” alla Boldrini!