Con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n. 129/2013, è entrato in vigore il decreto legge n. 61/2013, che disciplina i termini del commissariamento dello stabilimento tarantino dell’Ilva. Tale atto fornisce l’occasione, al ministro dell’Ambiente, di soffermarsi sulla disciplina costituzionale dei diritti di iniziativa economica e della proprietà.



Per introdurre una questione così complessa e cruciale, pare utile riportare le parole del costituzionalista Martines, il quale già affermava che lo Stato sociale, per come è stato configurato dall’ordinamento costituzionale, è “uno Stato che, pur conservando i tradizionali istituti giuridici della proprietà privata e della libertà di iniziativa economica privata, non li considera più come un «mito» dal valore intangibile e ritiene necessario intervenire nel settore dei rapporti economici per coordinare l’attività economica ed indirizzarla al raggiungimento di un maggiore benessere comune”. Partiamo da queste parole per fornire un quadro normativo essenziale rispetto alla libertà di iniziativa privata a al diritto di proprietà.



A proposito del primo aspetto, non si può che prendere le mosse dall’esame dell’art. 41 Cost., secondo cui “l’iniziativa economica privata è libera” (comma 1). Il legislatore aggiunge però che essa “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana” (comma 2) e, al comma successivo, che “la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.



Dall’affermazione di autorevole dottrina emerge ancora più evidente il concetto qui affermato dal ministro Orlando: “l’utilità sociale, la sicurezza, la libertà e la dignità umana costituiscono, nei modi stabiliti dall’art. 41 comma 2, il parametro di legittimità sia della disciplina giuridica relativa ai soggetti (cioè: presupposti e requisiti soggettivi, struttura e caratteri delle società abilitate all’esercizio di attività cui inerisce una funzione produttiva) o ai rapporti intersoggettivi (cioè: relazioni tra imprenditore e lavoratore subordinato oppure tra i produttori fra loro o tra questi ed i terzi) sia del regime giuridico dei beni economici, sia dei singoli atti o delle singole attività attraverso cui viene organizzata in concreto la produzione stessa, ovvero anche delle disposizioni e delle misure attinenti ai contratti ed alla contrattazione per il cui tramite essa si esplica” (Baldassarre, Enciclopedia del diritto).











Analogamente, si può tracciare il quadro essenziale rispetto al diritto di proprietà. A tal proposito, la Costituzione repubblicana del 1948 segna il distacco dalla concezione liberal-ottocentesca della proprietà (basti pensare che lo Statuto Albertino del 1848, all’art. 29, affermava: “Tutte le proprietà, senza alcuna eccezione, sono inviolabili”). Nella nostra Costituzione, la proprietà non solo non viene più dichiarata inviolabile, ma non viene neppure disciplinata fra i “principi fondamentali” (artt. 1-12 Cost.), né fra i diritti di libertà (artt. 13-28 Cost.): essa è contemplata nel Titolo relativo ai “rapporti economici” (artt. 42-44 Cost.). Peraltro, anche l’attuale Costituzione dichiara solennemente che “la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge” (art. 42, comma 2 Cost.).



A ciò si aggiunga che, sempre con riferimento alla proprietà privata, la Costituzione – sempre al secondo comma dell’art. 42 – demanda espressamente al legislatore il compito di determinarne “i modi di acquisto, di godimento ed i limiti, allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”. E ancora, il comma successivo stabilisce che “La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale”.



Sintetica ma corretta la dichiarazione del ministro dell’ambiente…”Vero”!