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No, il governo Draghi non ha tagliato la spesa per l’istruzione

| 11 aprile 2022
La dichiarazione
«Nel documento di economia e finanza del governo la spesa per l’istruzione cala dal 4 per cento del Pil al 3,5 per cento nel 2025»
Fonte: Facebook | 8 aprile 2022
EPA/Gregorio Borgia
EPA/Gregorio Borgia
Verdetto sintetico
I dati del Def sono corretti, ma la lettura è fuorviante.
In breve
  • Secondo le previsioni del governo, è vero che la spesa in istruzione passerà dal 4 per cento del 2020 al 3,5 per cento nel 2025. TWEET
  • Si tratta però di previsioni, relative alla stabilità del debito pubblico e basate su una serie di assunzioni, come l’invecchiamento della popolazione. TWEET
  • Il calo non è dunque un obiettivo economico stabilito dal governo, che nei prossimi mesi potrà annunciare nuovi provvedimenti. TWEET
L’8 aprile il segretario di Sinistra italiana Nicola Fratoianni ha scritto su Facebook che nel Documento di economia e finanza (Def), approvato di recente dal governo guidato da Mario Draghi, la spesa per l’istruzione «cala dal 4 per cento del Pil al 3,5 per cento nel 2025».

Fratoianni ha anche criticato il governo per aver deciso di aumentare le spese militari, portandole entro il 2028 a un valore pari al 2 per cento del Pil. «Segnalo solo che avevamo avanzato la proposta di rendere gratuita l’istruzione dalla culla all’università con le stesse risorse che vengono destinate agli armamenti», ha scritto su Facebook il segretario di Si.

Al di là della questione delle spese militari, è vero che il governo ha tagliato i fondi per l’istruzione per i prossimi anni? Abbiamo verificato e le percentuali del Def, seppure corrette, sono interpretate in modo fuorviante.

Che cosa c’è scritto nel Def

Il Def, di norma approvato all’inizio di aprile di ogni anno, è un documento che contiene le stime aggiornate sull’andamento dell’economia italiana e gli obiettivi di finanza pubblica per i prossimi anni. Il Def ha ricevuto il via libera dal Consiglio dei ministri il 6 aprile e sarà votato in Parlamento, secondo gli impegni presi dal governo, entro il 21 aprile.

Le percentuali citate da Fratoianni sono contenute in una parte specifica della Sezione I del Def (il cosiddetto “Programma di stabilità”) e fanno riferimento alle analisi sugli sviluppi futuri del rapporto tra il debito pubblico e il Pil italiano. Queste previsioni devono rispettare alcune indicazioni europee, per ottenere risultati uniformi tra i vari Paesi, e tengono conto di alcune assunzioni, relative per esempio all’invecchiamento della popolazione, l’andamento dell’immigrazione e quello della natalità. 

Secondo le stime contenute nel Def, la spesa per istruzione – che non tiene conto delle risorse destinate all’istruzione per gli adulti e alla scuola materna – passerà da un valore pari al 4 per cento del Pil nel 2020 al 3,5 per cento nel 2025. Le previsioni vanno avanti anche nei decenni successivi, fino ad arrivare a una percentuale pari al 3,4 per cento nel 2070, e tengono conto della cosiddetta “normativa vigente”, ossia i provvedimenti adottati fin qui dall’esecutivo, tra cui quelli contenuti nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), e non quelli previsti per i prossimi mesi o anni.

Ribadiamo infatti che queste previsioni sono calcolate su scenari futuri con ampi margini di incertezza: sono stime, e non un quadro programmatico del governo sulla necessità o volontà di tagliare la spesa per l’istruzione. Una polemica simile era nata anche l’anno scorso, ad aprile 2021, quando secondo Fratelli d’Italia il governo Draghi voleva far arrivare «un terzo in più di immigrati per aumentare il Pil». In quel caso, il Def prevedeva un miglior andamento del rapporto tra debito pubblico e Pil italiano nei decenni successivi grazie a una crescita dell’immigrazione. Anche qui si trattava di una previsione, non di un obiettivo economico stabilito dal governo.

Inoltre, sul fronte scolastico, anche i Def approvati negli anni recenti hanno presentato percentuali simili a quelle di cui si discute oggi. Per esempio, il Def del 2021, approvato lo scorso anno dal governo Draghi, prevedeva una spesa per istruzione pari al 3,6 per cento del Pil nel 2025; il Def del 2019, approvato dal primo governo Conte, la prevedeva al 3,3 per cento; e quello del 2018, approvato dal governo Gentiloni, al 3,2 per cento.

I motivi del calo

Ma perché nelle previsioni dell’ultimo Def la spesa in istruzione scenderà al 3,5 per cento nel 2025, partendo dal 3,6 per cento del 2015 e passando per il 4 per cento del 2020?

Due anni fa la spesa in istruzione aveva raggiunto questa percentuale per diversi motivi: da un lato, il Pil italiano si è contratto a causa della crisi causata dalla pandemia di Covid-19, e dunque la spesa in istruzione è aumentata in rapporto al Pil, vista la contrazione di quest’ultimo; dall’altro lato, come ha sottolineato il Def, nel 2020 sono state adottate diverse misure per aumentare le risorse per la scuola per fronteggiare la pandemia.

Nei prossimi anni, vista anche la ripresa economica, il governo prevede dunque che le spese in questo settore torneranno sui livelli pre-crisi (ribadiamo che non si tiene conto di eventuali provvedimenti futuri per mantenere le spese stabili) mentre la spesa scenderà in futuro principalmente per un motivo: il calo demografico. «Partendo da un livello pari al 3,4 per cento del Pil nel 2026, l’indice di spesa presenta un andamento stabile nei primi anni e lievemente decrescente fra il 2030 e il 2040», si legge nel Def. «Tale riduzione è dovuta al calo degli studenti indotto dalle dinamiche demografiche previste. Tuttavia, tra il 2040 e il 2055, la dinamica di spesa evidenzia un leggero aumento di circa 0,2 punti percentuali di Pil, che si riassorbe successivamente. Al 2070 la spesa in rapporto al Pil converge verso un valore pari al 3,4 per cento».

Il verdetto

Secondo Nicola Fratoianni, nel Def approvato di recente dal governo Draghi «la spesa per l’istruzione cala dal 4 per cento del Pil al 3,5 per cento nel 2025». Il segretario di Sinistra italiana cita due percentuali corrette, ma dandone una lettura fuorviante.

Non stiamo infatti parlando di “tagli” all’istruzione, come il messaggio sui social lascia intendere, o di un quadro programmatico del governo. Queste percentuali sono contenute in una previsione – presente in tutti i Def degli ultimi anni – che mostra gli scenari futuri della spesa del nostro Paese sulla base di alcune assunzioni, relative all’invecchiamento della popolazione, all’andamento dell’immigrazione e a quello della natalità.

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