Il 26 giugno 2019, il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi ha scritto su Facebook che «nei primi tre mesi del 2019 la pressione fiscale è aumentata dello 0,3 per cento». Un aumento che, secondo quanto riportato da fonti di stampa, avrebbe portato i livelli di tassazione ai massimi degli ultimi quattro anni.
Secondo Berlusconi, questa sarebbe «la certificazione che questo governo a trazione Cinquestelle sta facendo male al Paese».
Ma è davvero così? Il governo c’entra qualcosa con questo aumento della pressione fiscale? Abbiamo verificato.
Che cosa dice l’Istat
Il 26 giugno, l’Istituto nazionale di statistica (Istat) ha pubblicato un rapporto che, tra le altre cose, riporta i principali dati di finanza pubblica dell’Italia per il primo trimestre del 2019. Tra questi c’è anche la pressione fiscale, intesa come il «rapporto percentuale tra la somma di imposte dirette, imposte indirette, imposte in conto capitale e contributi sociali e il Prodotto interno lordo (Pil)».
Secondo l’Istat, da gennaio a marzo 2019 la pressione fiscale in Italia ha raggiunto il 38 per cento del Pil. Rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, questo indicatore è aumentato dello 0,3 per cento, come dice correttamente Berlusconi.
In sostanza, lo Stato ha incassato di più rispetto alla crescita del Pil: il gettito delle imposte è passato da 160,31 a 162,54 miliardi di euro (+1,38 per cento) [1] mentre il Pil è cresciuto dello 0,64 per cento a prezzi correnti (da 425,26 a 428 miliardi di euro) [2].
Secondo le serie storiche dell’Istat (qui scaricabili), se si guardano i dati dei primi tre mesi degli ultimi quattro anni, era dal 2015 che non si raggiungeva questa cifra. Da allora, infatti, il valore della pressione fiscale nel periodo gennaio-marzo è sempre stato al di sotto del 38 per cento: 37,9 nel 2016, 37,7 nel 2017 e 37,7 nel 2018.
Solamente nei primi tre mesi del 2019, come abbiamo visto, la pressione fiscale è tornata a raggiungere la soglia del 38 per cento.
Il dato annuale
Il valore della pressione fiscale registrato nel periodo gennaio-marzo è però generalmente più basso di quello annuale. Il Documento di economia e finanza (Def) – pubblicato ad aprile 2019 – riporta che lo scorso anno la pressione fiscale su base annuale è stata pari al 42,1 per cento del Pil, mentre stima che nel 2019 si attesterà al 42 per cento per poi risalire negli anni successivi (42,7 per cento nel 2020 e 42,5 per cento nel 2021).
Il motivo di questa differenza, ci hanno spiegato dall’Istat, è legato principalmente alle diverse scadenze per il pagamento delle tasse.
Per esempio, il versamento degli acconti di imposte come l’Irpef (Imposta sul reddito delle persone fisiche) e l’Iva (Imposta sul valore aggiunto) è previsto per i trimestri successivi al primo (tra maggio e novembre).
Le entrate – e di conseguenza la pressione fiscale – tendono quindi a raggiungere valori più alti a partire dal secondo trimestre piuttosto che nei primi tre mesi dell’anno, quando le imposte versate allo Stato sono inferiori.
È colpa del governo?
Abbiamo visto che la pressione fiscale nel primo trimestre del 2019 è cresciuta rispetto ai primi tre mesi del 2018. È possibile attribuire integralmente la responsabilità di questo aumento della pressione fiscale al governo, come sembra suggerire Berlusconi? La questione non è automatica, almeno per tre motivi.
Maggiore gettito, stessa aliquota
In primo luogo, la pressione fiscale utilizza semplicemente il gettito delle entrate delle amministrazioni pubbliche, senza considerare le variazioni di aliquota. A parità di aliquota Iva, per fare un esempio, un aumento delle transazioni su cui questa imposta viene applicata implica un aumento delle entrate. Sembra essere questo il caso verificatosi, ad esempio, nel primo trimestre del 2019, quando il gettito per l’Iva è cresciuto di 1,32 miliardi di euro (+5,4 per cento) rispetto ai primi tre mesi del 2018.
In questo caso, se il valore del Pil rimane lo stesso o diminuisce per altre ragioni (come una diminuzione delle esportazioni), la pressione fiscale risulta in aumento anche se l’aliquota Iva è rimasta invariata.
In altre parole, anche quando il governo decide di non modificare le aliquote di una specifica imposta (come nel caso dell’Iva) la pressione fiscale può aumentare semplicemente per il maggiore gettito generato dal pagamento di quella stessa imposta.
Le imposte locali
In secondo luogo, la pressione fiscale valuta le imposte dovute a tutte le amministrazioni pubbliche. Ciò significa che se le regioni o i comuni decidono in autonomia di aumentare le imposte a loro dovute la pressione fiscale potrebbe aumentare (se il Pil diminuisce o rimane invariato) senza che il governo ne sia direttamente responsabile.
Per esempio, sembra che nel 2019 alcune municipalità abbiano deciso di aumentare l’aliquota dell’addizionale Irpef comunale (una tassa versata ai comuni che si aggiunge all’Irpef nazionale). Sebbene questo aumento sia stato favorito dallo sblocco delle imposte locali deciso dal governo, i comuni hanno scelto in autonomia se incrementare o meno le imposte a loro dovute.
Forse anche a causa di questa decisione, le entrate tributarie degli enti territoriali sono aumentate di 106 milioni nel primo trimestre 2019 (rispetto ai primi tre mesi del 2018).
La variabile del Pil
Infine, una diminuzione del Pil può causare un aumento della pressione fiscale anche se le tasse dovute allo Stato rimangono invariate. Ciò è dato dal fatto che la pressione fiscale è definita come il rapporto tra le imposte dovute allo Stato e il Prodotto interno lordo.
Quindi, una diminuzione del denominatore (il Pil) può far diminuire il risultato finale (la pressione fiscale) anche se il numeratore (le imposte versate allo Stato) rimangono invariate.Sembra essere questo il caso del primo trimestre del 2019, dato che, come abbiamo visto, il Pil è cresciuto in maniera inferiore rispetto alle imposte versate allo Stato.
È molto difficile stabilire quanta responsabilità abbia il governo in carica nel rallentamento della crescita del Pil, e quanto invece dipenda da variabili esterne, in particolare dalla congiuntura internazionale.
Come hanno influito le decisioni del governo?
Abbiamo quindi visto che non è possibile attribuire al governo in maniera chiara l’intera responsabilità dell’aumento della pressione fiscale. Ciononostante, ci sono alcune misure che possiamo ipotizzare che abbiano avuto un impatto sulle entrate dello Stato e, a catena, sulla pressione fiscale.
Facciamo qualche esempio.
Con la legge di Bilancio 2019 (art. 1 comma 1125), il governo ha deciso di posticipare il versamento dei premi assicurativi Inail da febbraio a maggio 2019. Ciò ha comportato un calo delle entrate pari 3,37 miliardi di euro (-89,8 per cento) rispetto allo stesso periodo del 2018. È possibile quindi che, senza questa decisione, la pressione fiscale del primo trimestre sarebbe stata più alta di quanto invece non si è registrato.
Per quanto riguarda invece le misure che potrebbero avere un impatto positivo sulle entrate dello Stato e la pressione fiscale, possiamo citare l’aumento della tassazione sul gioco d’azzardo.
Il governo ha rivisto al rialzo le aliquote del prelievo erariale unico sulle slot machines (dal 19 al 21,5 per cento) e alle videolotteries (dal 6 al 7,5 per cento). L’Osservatorio dei conti pubblici dell’Università Cattolica di Milano prevede che questa misura porterà un miliardo di euro l’anno nelle casse dello Stato per i prossimi tre anni. È forse anche grazie a questa misura che nei primi tre mesi del 2019 le entrate dai giochi sono cresciute di 221 milioni di euro (+5,9 per cento) rispetto al primo trimestre del 2018.
Ad oggi, non abbiamo però gli strumenti necessari per stabilire con precisione se queste misure impatteranno in modo positivo o negativo il gettito delle imposte versate allo Stato. Infatti, un aumento della tassazione non implica per forza di cose una aumento delle entrate.
Per esempio, Lavoce.info riporta che un aumento dell’Iva sopra certe soglie porterebbe ad un mancato gettito per lo Stato dovuto all’evasione. Paradossalmente, quindi, se l’iva aumentasse e il Pil e le altre imposte rimanessero invariate le entrate diminuirebbero e con esse la pressione fiscale.
In definitiva, non è detto che incrementare la tassazione su certe attività comporti un aumento della pressione fiscale.
Tiriamo le fila
Come abbiamo anticipato, è impossibile stabilire oggi con certezza se l’aumento della pressione fiscale verificatosi nei primi tre mesi del 2019 sia dovuto integralmente ad un incremento delle tasse da parte del governo o ad altri fattori. Inoltre, sebbene il governo abbia introdotto misure che aumentano e diminuiscono le tasse, non è possibile stabilire oggi quanto queste decisioni abbiano avuto un impatto sul gettito delle entrate del primo semestre del 2019. Allo stesso modo non si può attribuire con certezza, e per intero, la responsabilità al governo per il rallentamento dell’economia (e quindi della crescita del Pil).
Riassumento: l’aumento della pressione fiscale può dipendere da diversi fattori, non tutti legati alle scelte economiche del governo. Nello specifico, il governo controlla solo parzialmente l’andamento del gettito delle entrate delle Amministrazioni pubbliche ed è responsabile solo parzialmente per quello del Prodotto interno lordo. Inoltre, anche quando il governo si muove in una certa direzione, le conseguenze sulle imposte versate e, di conseguenza, sulla pressione fiscale non sono così scontate.
Il verdetto
Il presidente di Forza Italia Silvio Berlusconi ha detto che nei primi tre mesi del 2019 la pressione fiscale è aumentata dello 0,3 per cento rispetto al 2018. Secondo Berlusconi, il responsabile di questa crescita sarebbe il governo a guida M5s.
Come abbiamo visto, il dato citato da Berlusconi è corretto: secondo i dati Istat, la pressione fiscale è passata dal 37,7 per cento del primo trimestre 2018 al 38 per cento del primo trimestre 2019. Questo valore è il più alto dal 2015, quando la pressione fiscale del primo trimestre era pari al 38,9 per cento.
Abbiamo però visto che sarebbe arbitrario attribuire integralmente la responsabilità di questo aumento al governo. Esistono infatti altri fattori che potrebbero spiegare l’aumento della pressione fiscale nel primo trimestre del 2019.
In conclusione, Berlusconi merita quindi un “C’eri quasi”.
[1] Calcolato come: Totale entrate della Pa – altre entrate correnti – altre entrate in conto capitale.
[2] Correzioni > Dati grezzi
«Da quando c’è questo governo, abbiamo votato in 11 tra regioni e province autonome, forse 12 tra regioni e province autonome. È finita 11 a uno»
30 ottobre 2024
Fonte:
Cinque minuti – Rai 1