In un post pubblicato il 4 giugno sulla sua pagina Facebook, il deputato Pd Luigi Marattin ha affermato che lo sblocco delle imposte locali adottato dal governo Conte ha portato i comuni ad aumentare le addizionali all’Irpef e, in breve, le tasse pagate dai cittadini.
Secondo Marattin, da un primo campione risulterebbe che l’89 per cento delle municipalità che poteva farlo ha deciso di aumentare l’addizionale all’Irpef.
Ma cos’è l’addizionale all’Irpef? Davvero i comuni l’hanno aumentata a seguito dello sblocco delle imposte locali stabilito dal governo Conte?
Verifichiamo.
Che cos’è l’addizionale comunale all’Irpef?
L’addizionale comunale all’Irpef – l’imposta sul reddito delle persone fisiche – è un’imposta che si aggiunge all’Irpef “nazionale” e che viene calcolata, come quest’ultima, sul reddito annuale. Ogni comune può decidere se applicarla o meno e, al contempo, può stabilire eventuali soglie di esenzione per i redditi più bassi.
Tranne il Comune di Roma, che può adottare un’aliquota massima dello 0,9 per cento, tutti gli altri comuni italiani possono stabilire l’aliquota comunale Irpef fino a un massimo dello 0,8 per cento del reddito complessivo.
Infine, i comuni hanno la facoltà di decidere se applicare un’aliquota unica (ad esempio, lo 0,5 per cento per tutti) oppure diverse aliquote (ad esempio tre aliquote dello 0,2 per cento, o,5 per cento e 0,8 per cento). Nel secondo caso le aliquote devono essere basate sugli stessi scaglioni di reddito utilizzati per il calcolo dell’Irpef nazionale.
Oltre alle addizionali comunali, l’Irpef ammette anche quelle regionali, che possono oscillare tra l’1,33 per cento e il 3,33 per cento, ma di cui non ci occuperemo qui nel dettaglio.
A quanto ammontano le entrate dell’addizionale comunale?
Secondo i dati del Ministero dell’Economia e delle finanze (Mef), nel 2018 gli italiani hanno versato ai comuni circa 4,5 miliardi di euro di addizionale Irpef (+0,8 per cento rispetto al 2017).
Nei primi mesi del 2019 (periodo gennaio-aprile) i tributi versati ai comuni sono stati invece pari a 937 milioni di euro, in aumento del 3,08 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno passato.
Lo sblocco della leva fiscale stabilito dal governo Conte
Come abbiamo visto, le regioni e gli enti locali sono liberi di stabilire (entro i limiti imposti dalle leggi nazionali) l’aliquota che preferiscono per l’addizionale Irpef. Dal 2016 al 2018, lo Stato aveva però impedito loro di aumentare questo tipo di tributi, per cui se un comune che per esempio aveva fissato l’addizionale Irpef allo 0,3 per cento non avrebbe potuto, neanche volendo, aumentarla allo 0,5 per cento.
Era stato in particolare il governo Renzi, con la legge di Stabilità per il 2016, a determinare che le regioni e gli enti locali non potessero aumentare i tributi e le addizionali per quell’anno rispetto a quanto già previsto, per contenere la pressione fiscale. Negli anni successivi il governo Gentiloni aveva poi confermato il blocco della leva fiscale, estendendone la validità anche al 2017 e al 2018.
Al contrario, il governo Conte ha deciso di non includere una misura simile all’interno della legge di Bilancio per il 2019. Ciò significa che le regioni e gli enti locali potranno ora aumentare sia i tributi locali (Tasi, Tari, ecc.) sia le addizionali (almeno entro il limite dello 0,8 per cento, per quanto riguarda quelle comunali).
Lo sblocco non riguarda quindi solamente l’addizionale comunale Irpef, ma si estende anche agli altri tipi di tributi e di addizionali regionali e locali.
I dati citati da Marattin
Nel post pubblicato su Facebook, Marattin cita come fonte un articolo del Corriere della Sera del 3 giugno 2019. I numeri riportati dal quotidiano si riferiscono al Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica 2019 della Corte dei Conti pubblicato il 29 maggio scorso.
Analizzando dati del Mef, la Corte dei Conti riporta che al 21 maggio di quest’anno 3.699 comuni hanno riferito al Mef l’aliquota dell’addizionale Irpef comunale per il 2019 (meno della metà del totale: i comuni italiani sono circa ottomila). Di questi, 3.173 (l’85 per cento del totale) non potevano aumentare l’addizionale Irpef perché applicavano già l’aliquota massima dello 0,8 per cento.
Quindi, il numero di comuni che poteva innalzare l’aliquota era pari a 526, dato dal numero totale dei comuni (3.699) meno il numero dei comuni con l’aliquota massima (3.173). Il rapporto della Corte dei Conti afferma che 469 di questi 526 comuni (ossia l’89 per cento) hanno deciso di aumentare l’addizionale comunale all’Irpef.
Sebbene non sia un dato definitivo (al Mef mancano ancora i dati di più della metà dei comuni) la percentuale riportata da Marattin è corretta.
Ma bisogna specificare – cosa che non fa il deputato del Pd – che ci si riferisce a una minoranza molto piccola di comuni (il 15 per cento del totale) – tra l’altro ridotta a quelli che hanno risposto al Mef. La grande maggioranza aveva infatti già raggiunto il limite massimo consentito.
Marattin oltretutto imputa al governo un aumento delle tasse, ma la misura del blocco delle addizionali era stata a suo tempo considerata dall’associazione dei comuni come un’ingerenza dello Stato nell’autonomia finanziaria degli enti locali, garantita dall’art. 119 della Costituzione.
E infatti la notizia dello sblocco era stata accolta positivamente dal presidente dell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani), il sindaco di Bari Antonio Decaro (esponente del Partito Democratico). Decaro, esponente del Partito Democratico, aveva infatti dichiarato a novembre 2018: «Lo sblocco della leva fiscale è un segnale nei confronti dell’autonomia di un sindaco (…). Il problema è che fino al 2015-2016 ci sono stati tagli per 11 miliardi di euro agli enti locali che hanno messo in seria difficoltà i Comuni e ne hanno, in alcuni casi, prosciugato le casse».
Gli aumenti che stanno scattando adesso sarebbero insomma anche figli di una stagione di tagli agli enti locali.
Il verdetto
Il deputato del Pd Luigi Marattin ha dichiarato che, da una prima campionatura, l’89 per cento dei comuni che avevano la possibilità di aumentare l’addizionale comunale all’Irpef l’hanno incrementata. Tutto ciò sarebbe avvenuto grazie allo sblocco delle imposte locali approvato dal governo Conte.
Come riportato correttamente da Marattin, il governo Conte non ha riconfermato il blocco dell’aumento delle imposte locali previsto dal governo Renzi con la legge di Stabilità 2016 e rinnovato nei due anni successivi dal governo Gentiloni. Ciò significa che le regioni e gli enti locali possono ora aumentare i tributi a loro dovuti, compresa l’addizionale comunale all’Irpef.
Tra i comuni analizzati dalla Corte dei Conti al 21 maggio, la grande maggioranza non aveva la facoltà di aumentare l’Irpef comunale, avendo già raggiunto il limite massimo. All’interno della minoranza restante, è vero che l’89 per cento abbia aumentato l’addizionale comunale all’Irpef come dichiarato da Marattin.
Il ragionamento con cui Marattin attribuisce al governo la responsabilità sembra tuttavia debole: gli enti locali hanno, per Costituzione, una loro autonomia e finanziaria e la decisione dello Stato di limitarla era necessariamente eccezionale. Ora che viene restituita, se e quando scattano gli aumenti non dipende solo dalle scelte dell’esecutivo in carica ma anche dalla situazione economica che si è creata negli anni dei tagli prima e del blocco a livello di finanze comunali poi.
Luigi Marattin nel complesso merita un “C’eri quasi”.
«Le agenzie di rating per la prima volta, due agenzie di rating, per la prima volta hanno rivisto in positivo le stime sull’Italia. Dal 1989 questa cosa è accaduta tre volte in Italia»
30 ottobre 2024
Fonte:
Porta a Porta – Rai 1