Il 30 ottobre, ospite a Uno Mattina su Rai 1, il sottosegretario al Ministero degli Esteri Manlio di Stefano ha evidenziato (min 2:40) l’importanza dell’internazionalizzazione per le imprese italiane citando alcuni dati riguardo al nostro export.
Secondo Di Stefano, «un terzo del Pil italiano, circa 500 miliardi, è frutto diretto dell’export, ma soltanto il 4 per cento delle aziende italiane esporta con continuità».
Abbiamo verificato e, sebbene i numeri citati da Di Stefano siano sostanzialmente corretti, sembra che il sottosegretario abbia le idee confuse su come le esportazioni contribuiscono al Pil.
Vediamo perché.
Un ragionamento confuso
Secondo il sito della Borsa Italiana, il Pil è generalmente inteso come il valore totale dei beni e servizi realizzati in un Paese in un dato periodo di tempo (solitamente un anno). Per calcolare questo valore, il Pil tiene conto delle transazioni che avvengono all’interno di un’economia in un dato valore di tempo.
Dato che ogni transazione può essere vista sia dal lato dell’acquirente (il lato della domanda) sia da quello del venditore (il lato dell’offerta), il Pil può essere costruito a seconda di prospettive diverse, senza che il risultato finale cambi.
Il metodo che tiene esplicitamente conto delle esportazioni è il cosiddetto “Metodo della spesa”, che calcola il Pil aggiungendo alla somma di consumi, investimenti, spesa pubblica la differenza tra esportazioni e importazioni (chiamata “esportazioni nette”).
La differenza tra esportazioni ed importazioni si rende necessaria perché il Pil considera solamente i beni e i servizi prodotti nell’economia, e non ciò che viene prodotto altrove e consumato internamente (ossia le importazioni). Mentre il calcolo include ciò che è prodotto all’interno dell’economia, anche se consumato all’estero (le esportazioni).
Facciamo un esempio concreto.
Secondo l’Istat, nel 2018 il Pil italiano era pari a 1.765,4 miliardi di euro, composti per circa 1.055,4 miliardi da consumi privati; per 335,8 miliardi da consumi delle amministrazioni pubbliche; per 320,6 miliardi da investimenti e per 44,1 miliardi da esportazioni nette (555,3 miliardi di esportazioni meno 511,2 miliardi di importazioni).
I 555,3 miliardi di euro di esportazioni – e non «500» come dice Di Stefano – non entrano quindi nella cifra finale del Pil, ma servono insomma solamente a costruirlo.
Dire che un terzo del Pil italiano è «frutto diretto» delle esportazioni – come fa l’esponente del M5s – è fuorviante perché lascia intendere che su 1.765 miliardi di Pil 500 miliardi siano esportazioni.
Al massimo, si può dire che quei 555 miliardi di euro (la cifra corretta) equivalgono a un terzo del valore complessivo del Pil (come si può dire che nel 2018 il Pil tedesco è stato quasi il doppio di quello italiano).
Il ragionamento fatto da Di Stefano è dunque inesatto. In più, come abbiamo anticipato, il sottosegretario sbaglia – seppur di poco – il valore delle esportazioni italiane.
E sui numeri sulle imprese, Di Stefano ha ragione?
I numeri sulle imprese
Secondo il 23° Rapporto “L’Italia nel commercio internazionale”, pubblicato il 23 luglio 2019 dall’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane (Ice), nel 2017 (dato più aggiornato su rilevazioni Istat) le imprese italiane esportatrici erano 125.920.
Allo stesso tempo, gli ultimi dati Istat riportano che nel 2017 in Italia c’erano 4.365.625 imprese. Ciò significa che solamente il 2,9 per cento di aziende italiane partecipava al business delle esportazioni. Di Stefano sembra dunque sovrastimare di poco il numero di imprese italiane coinvolte nell’export («4 per cento»), ma c’è un “ma”.
Come riporta lo studio dell’Ice, a partire dal 1° gennaio 2018 è stata modificata la metodologia Istat relativa alle indagini statistiche per il calcolo delle imprese esportatrici. Ciò ha comportato che il numero delle aziende che esportano abitualmente calasse.
Fino al 2016, si stimava che le imprese esportatrici fossero 195.745, pari al 4,6 per cento delle 4.292.965 imprese italiane registrate in quell’anno. Con la nuova metodologia, il numero è invece calato a 127.359 unità nel 2016, pari al 3 per cento circa del totale.
Quindi, il dato citato da Di Stefano – se non si tiene conto della nuova metodologia di campionamento e considerato che i dati 2016 e 2017, a parità di metodologia, sono molto simili – risulta sostanzialmente corretto.
Il verdetto
Il sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano ha detto che «un terzo del Pil italiano, circa 500 miliardi, è frutto diretto dell’export, ma soltanto il 4 per cento delle aziende italiane esporta con continuità».
Innanzitutto, Di Stefano fa confusione su come le esportazioni contribuiscano al Pil, suggerendo che dei 1.765,4 miliardi di euro di Pil italiano (dati 2018), 500 miliardi siano costituiti da esportazioni.
In realtà, ciò che conta nel computo del Pil è la differenza tra le esportazioni e le importazioni, pari a circa 44,1 miliardi di euro sui 1.765,4 citati in precedenza.
Allo stesso tempo, è vero che le esportazioni nel 2018 ammontavano a circa 500 miliardi di euro (555 per la precisione) e che le imprese coinvolte nell’export sono una piccola minoranza del totale (pari al 2,9 per cento con la nuova metodologia di calcolo Istat e al 4,6 per cento con quella vecchia).
In conclusione, Di Stefano si merita un “Nì”.
«Le agenzie di rating per la prima volta, due agenzie di rating, per la prima volta hanno rivisto in positivo le stime sull’Italia. Dal 1989 questa cosa è accaduta tre volte in Italia»
30 ottobre 2024
Fonte:
Porta a Porta – Rai 1