Il 13 gennaio 2020, in occasione della riunione degli eletti e degli amministratori del Partito democratico nell’abbazia di Contigliano (Rieti), il ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini ha detto (min. 40:00) che dal 2011 in poi quasi tutti i governi italiani non sono stati espressione di una coalizione che si sia presentata unita alle elezioni e che le abbia vinte, ma sono stati il frutto di accordi trovati in Parlamento tra forze politiche che si sono presentate divise e contrapposte al voto.
Non si sarebbe insomma rispettato uno schema di «linearità» del percorso politico, come tratteggiato da Franceschini (min. 39.30), secondo cui le alleanze e le coalizioni si formano prima delle elezioni e arrivano a governare con un livello di omogeneità costruito nelle relazioni nel corso del tempo.
L’affermazione di Franceschini, al netto di una piccola sbavatura, è corretta. Ma vediamo meglio qual è la situazione.
Una repubblica parlamentare
Per prima cosa chiariamo che l’Italia, in base alla Costituzione, è una repubblica parlamentare: il popolo è cioè chiamato a eleggere direttamente i propri rappresentanti (deputati e senatori) in Parlamento. Successivamente è il Parlamento, e non il popolo, a esprimere una maggioranza e a dare la fiducia al governo. La scelta del presidente del Consiglio spetta al presidente della Repubblica, che tiene conto dei risultati delle elezioni e delle indicazioni dei gruppi parlamentari.
Anni di bipolarismo tra centrodestra e centrosinistra, uniti dall’usanza di inserire il nome del candidato premier nel simbolo elettorale, hanno però creato nell’opinione pubblica l’impressione – come abbiamo verificato in passato, priva di fondamento costituzionale – che la scelta del presidente del Consiglio e del governo fosse nelle mani del popolo.
Non è così, soprattutto se lo scenario politico è di carattere tripolare – con tre poli che hanno consistenza simile, come emerso dalle elezioni del 2018 – e se la legge elettorale non prevede fortissimi correttivi in senso maggioritario (avevamo affrontato la questione anche di recente).
Chiarito questo, vediamo come sono nati gli ultimi sei governi italiani, dal 2011 in poi.
I governi dal 2011 a oggi
XVI legislatura
Nel 2011, dopo la crisi dello spread, il governo Berlusconi IV l’8 novembre non ottenne la maggioranza dei voti alla Camera dei deputati sul Rendiconto generale dello Stato. Il 12 novembre dunque Berlusconi rassegnò le dimissioni e il 16 novembre nacque il governo Monti.
Questo esecutivo tecnico ottenne la fiducia da tutti i partiti allora presenti in Parlamento (Popolo della Libertà, Partito democratico, Unione di Centro, Futuro e libertà, Italia dei valori, eccetera), sia di destra sia di sinistra, tranne che dalla Lega Nord.
XVII legislatura
A fine aprile 2013, dopo le elezioni del 24 febbraio che non diedero a nessuno schieramento (centrodestra, centrosinistra, centro e M5s) la maggioranza dei seggi in Senato (alla Camera la maggioranza era invece garantita dal cospicuo premio di maggioranza previsto dal Porcellum), nacque il governo Letta. Questo ottenne la fiducia del Pd, del PdL e di Scelta Civica. Dunque di forze politiche che, come nel caso del governo Monti, si erano presentate su fronti opposti alle elezioni.
Il governo Renzi, nato il 22 febbraio 2014, ottenne la fiducia grazie al sostegno, in particolare al Senato, di un gruppo di senatori fuoriusciti dal PdL per creare il Nuovo centro–destra (Ncd), partito guidato da Angelino Alfano, oltre che da Scelta civica.
La stessa maggioranza parlamentare, o quasi, ha poi dato la fiducia anche al governo Gentiloni, nato il 12 dicembre 2016 dopo le dimissioni di Renzi, seguite alla sconfitta nel referendum costituzionale del 4 dicembre dello stesso anno.
XVIII legislatura
Come già accaduto nel 2013, anche nel 2018 le elezioni politiche – tenutesi il 4 marzo – non hanno dato a nessuno schieramento (centrodestra, centrosinistra e M5s) la maggioranza in Parlamento. Con il cambio di legge elettorale da Porcellum a Rosatellum, e il venire meno del generoso premio di maggioranza alla Camera, nessuno dei tre poli aveva la maggioranza né alla Camera né al Senato.
Il primo governo Conte nacque allora il primo giugno 2018, sostenuto da un pezzo del centrodestra (la Lega) e dal M5s: due forze che, ancora una volta, si erano presentate alle elezioni l’una contro l’altra.
Anche il secondo governo Conte, nato il 5 settembre 2019 dopo il tentativo – fallito – in agosto di Matteo Salvini di portare il Paese alle urne, è sostenuto da partiti che si sono presentati alle ultime politiche in schieramenti opposti: il M5s, il Pd e Leu.
Il verdetto
Il ministro Dario Franceschini ha sostenuto che dal 2011 in poi quasi tutti i governi sono nati in modo non lineare rispetto alle coalizioni che si sono presentate, l’una all’altra contrapposte, alle elezioni.
L’affermazione è fin prudente e il «quasi» è di troppo: tutti i governi dal 2011 in poi non sono espressione di un’unica coalizione che si è presentata unita al voto. I governi Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte I e Conte II sono infatti stati sostenuti da forze politiche che si erano presentate in schieramenti opposti alle elezioni: centrodestra e centrosinistra per gli esecutivi Monti, Letta, Renzi e Gentiloni; M5s e centrodestra per il primo governo Conte e M5s e centrosinistra per il secondo governo Conte.
In conclusione, Franceschini si merita dunque un “C’eri quasi”.
«Finalmente un primato per Giorgia Meloni, se pur triste: in due anni la presidente del Consiglio ha chiesto ben 73 voti di fiducia, quasi 3 al mese, più di qualsiasi altro governo, più di ogni esecutivo tecnico»
7 dicembre 2024
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