Avete letto bene: Grillo parla di isole di plastica negli oceani grandi quanto uno Stato. E considerando che il Texas copre ben 691.094 kmq, ovvero più del doppio dell’intera superficie dell’Italia, il fenomeno avrebbe dimensioni davvero impressionanti. Purtroppo, pur con qualche imprecisione, la dichiarazione di Grillo è sostanzialmente vera.
La scoperta della “Grande Isola dei Rifiuti”
Nel 1997, in seguito ad una regata da Los Angeles ad Honolulu, l’oceanografo Charles Moore si imbatté in una vasta area di mare inquinata da tantissimi oggetti di plastica. Vista la distanza dalle coste, il fenomeno era particolarmente bizzarro. E fu così che venne scoperta la Great Pacific Garbage Patch, o “Grande Isola dei Rifiuti”.
Composizione e dimensioni
E’ in realtà impreciso chiamare “isola” quello che più propriamente è un vortice di microframmenti di plastica galleggiante. La plastica non è biodegradabile ma si frammenta in pezzi sempre più piccoli che, a causa delle correnti oceaniche si sono andati ad accumulare in alcune aree oceaniche. Non immaginatevi, quindi, un’isola in senso tradizionale. Una metafora efficace è quella usata da Carey Morishige, coordinatrice regionale delle isole del Pacifico nella National Oceanic and Atmospheric Administration (Nooa), l’agenzia del governo Usa che si occupa delle condizioni degli oceani. Secondo Morishige i microframmenti sono come granelli di pepe che fluttuano in una zuppa appena mischiata, non come il grasso che si accumula sulla superficie in grosse chiazze.
Ciò non toglie che si tratta di quantità stupefacenti. In appena un chilometro quadro della Great Pacific Garbage Patch, gli scienziati hanno trovato 750.000 microframmenti di plastica. L’80% dei microframmenti hanno origine terrestre: bottiglie di plastica e altri rifiuti che dopo 1-6 anni giungono dalle coste nordamericane e asiatiche. Il rimanente 20% cade volutamente o per errore dalle navi che attraversano il Pacifico e include rifiuti più consistenti che possono andare dai pezzi di Lego ai monitor dei PC ([i dati di questo paragrafo sono tratti da questo articolo del National Geographic). Secondo i calcoli fatti da Dianna Parker del programma sui rifiuti marini del già citato Nooa, ripulire meno dell’1% del Pacifico settentrionale richiederebbe 67 navi ed un anno di lavoro.
Geografia delle isole dei rifiuti
E’ vero quindi che vi è un enorme problema di inquinamento marino causato dalla plastica. Ed è inoltre vero che la “Great Pacific Garbage Patch” non è l’unica. Infatti nel solo Pacifico le “isole” sarebbero almeno due. Secondo un recente studio dell’ecologo marino Andrès Cozar (riassunto qui), ci sarebbero 5 agglomerazioni di rifiuti tra oceani Atlantico, Pacifico ed Indiano. La zona di accumulazione più densa sarebbe proprio quella del Pacifico nord orientale (si veda cartine a destra).
Gli esperti sottolineano che non esiste però – e mai potrebbe esistere – una stima precisa dell’estensione e dei confini di queste “isole”. I microframmenti continuano a muoversi a causa del vento e delle onde, ed è possibile attraversare alcune parti delle “isole” senza rendersene conto. Alla luce di questo, risulta decisamente approssimativa la dichiarazione di Grillo.
Effetti sulla natura
Sugli effetti che questi rifiuti hanno sulla fauna marina, Grillo ha sostanzialmente ragione. I frammenti non “vanno nel plancton” come dice il leader M5S ma bloccano la luce del sole di cui gli organismi acquatici che lo compongono hanno bisogno per produrre i propri nutrienti. Essendo i plancton alla base della catena alimentare, una riduzione nel numero di questi microorganismi può avere drammatiche conseguenze sul resto della catena. I pezzi di plastica più grandi, inoltre, possono essere ingeriti da pesci ed altri animali marini che non possono ovviamente digerirli ma ne assorbono sostanze chimiche dannose. Senza contare che suddetti pesci possono finire sulle nostre tavole con alte concentrazioni di tossine, secondo lo Yale Scientific Magazine. Tra questi, il tonno ed il pesce spada sarebbero particolarmente “a rischio”. Potete trovare approfondimenti in merito alle conseguenze dell’inquinamento per la fauna marina in questo valido articolo di Greenpeace.
Quindi?
Grillo è impreciso nel parlare di isole di rifiuti grandi come il Texas visto che gli ammassi di rifiuti cui si riferisce hanno dimensioni e consistenze molto diverse da quelle che nell’immaginario collettivo sono definite “isole”. E’ inoltre scorretto dire che la plastica “vada” nel plancton. Tuttavia queste due imprecisioni non rendono falso il messaggio di fondo di Grillo: nei nostri oceani c’è una mole enorme di rifiuti di plastica che danneggiano l’ecosistema e possono giungere fino a noi. “C’eri quasi”.