Dopo aver espresso una valutazione negativa sull’operato del governo Monti, Angelino Alfano viene chiamato da un altro ospite di Ballarò – Mario Sechi, giornalista e candidato nella lista Monti – ad  argomentare il suo giudizio con dati scientifici (“Alfano dovrebbe fornire i numeri di quello che dice”). Il Segretario del Popolo della Libertà reagisce prontamente citando una statistica che, secondo le sue intenzioni, dovrebbe avvalorare la sua impietosa valutazione sull’azione governo: nel 2012 in Italia avrebbero chiuso 100.000 pmi. È altamente probabile che Alfano si riferisca alle statistiche contenute nello studio “Mettere al centro l’impresa per tornare a crescere” pubblicato il giorno stesso, 22 gennaio, da R.ETE. Imprese Italia (associazione che raggruppa Cna, Confcommercio, Confesercenti, Casartigiani e Confartigianato) nel corso della conferenza stampa di lancio della Giornata di Mobilitazione Nazionale (28 gennaio), documento peraltro ripreso da diverse agenzie. Questo studio non fa riferimento ad uno  specifico campione di PMI, ma è importante rilevare che, secondo un rapporto sulle PMI della Confcommercio effettuato nel 2009, le PMI componevano il 99% del panorama aziendale italiano. Sembra quindi giusto affermare che uno studio sulle imprese italiane equivale essenzialmente ad uno studio sulle PMI.


Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, Alfano avrebbe potuto calcare più pesantemente la mano nel citare i dati in questione: le stime offerte dal Segretario del Popolo della Libertà fanno registrare una notevole imprecisione al ribasso. 



 




Innanzitutto bisogna considerare che i dati suesposti rappresentano il risultato di un’indagine che copre il periodo da gennaio a settembre. In ogni caso, sommando le caselle sulle cessazioni (come specificato nella decima slide del rapporto, il criterio adottato per il computo è quello delle cancellazioni d’ufficio) delle imprese del settore dei servizi e dell’artigianato (la distinzione non va interpretata rigidamente in quanto afferisce alla modalità amministrativa di registrazione delle imprese) verificatesi tra gennaio e settembre 2012, si ottiene che questi nove mesi hanno visto la chiusura di ben 217.913 imprese (168.937+48.976): più del doppio del dato dichiarato dal Alfano. A questa cifra andrebbero poi sommate le cessazioni delle imprese non ricomprese in questa statistica, perché attive in altri settori economici (es. l’agricoltura).


Scopriamo inoltre che lo le cifre inerenti alle cessazioni, in realtà, era la versione preliminare della ricerca completa di Movimprese, uscita due giorni dopo, e che copriva l’intero anno. Il rapporto dà quindi un dato ancora più alto di quello citato da Alfano, ovvero 364.972 chiusure di imprese nel 2012.


Ammettendo invece che Alfano si riferisse al saldo naturale delle pmi – cioè alla differenza tra il numero di imprese “nate” e “morte” nel 2012 -aggregando i saldi dei settori considerati nel rapporto preliminare del 22 gennaio si ottiene la cifra di – 70.196 (53.234+16.912). A questo ammontare si potrebbero poi aggiungere i dati delle imprese passate a miglior vita tra ottobre e dicembre e i numeri relativi alle imprese non incluse nell’analisi, per arrivare a una cifra probabilmente non dissimile a quella citata dal Segretario del Popolo della Libertà. Ma, è bene ribadirlo, in questo caso ci staremmo riferendo al saldo tra le imprese create e le imprese chiuse nel 2012, non al numero totale delle attività cessate. Il rapporto completo Movimprese, inoltre, fornisce un dato estremamente differente per quanto riguarda il saldo, ovvero + 18.911 imprese nell’arco del 2012 (383.000 iscrizioni – 364.000 cessazioni).


Concludendo, considerato l’effluvio di parole che caratterizza i talk show politici, Alfano avrebbe potuto ritagliarsi senza sforzo quei pochi secondi necessari per specificare meglio che la cifra da lui citata si riferiva a una stima sul saldo tra imprese create e chiuse nel 2012; sempre che, per contro, non si riferisse proprio al numero totale delle imprese cessate – ma, come abbiamo visto, in questo caso il dato da lui citato sarebbe più che ottimista, considerata la cifra reale. In ogni caso, la valutazione della sua dichiarazione va effettuata in base allo studio incompleto emerso il 22 gennaio, dato che il rapporto completo non era ancora uscito.


L’essenza dell’esternazione del Segretario del Popolo della Libertà, afferente allo stato pietoso in cui versa l’imprenditoria italiana, è quindi sostanzialmente corretta; non possiamo però esimerci dal constatare un evidente livello di approssimazione e imprecisione. Concludendo, rimandiamo Alfano in matematica e in statistica (o, in alternativa, bocciamo i suoi collaboratori per avergli riportato in modo lacunoso i dati, magari attenendosi esclusivamente agli stringati titoli dei comunicati delle agenzie). Ipotizzando che si stesse riferendo al dato inerente le cessazioni, e quindi rilevando la sua sostanziale “buonafede” nel riportare una cifra migliore di quanto gli sarebbe convenuto, gli diamo quindi un “Nì”. Non di più, per l’imprecisione e la vaghezza.