Incredibile ma vero. Rizzate bene le orecchie, ma sembra proprio che l’Italia abbia migliorato, negli anni, la propria posizione all’interno di una qualche classifica internazionale.


A quale graduatoria si riferisce Monti? Al Global Competitiveness Index Report 2012-2013, l’ultimo degli studi internazionali redatti annualmente dal World Economic Forum (al cui seminario era ospite a Roma il primo ministro).


A pagina 4 del rapporto si può leggere cosa intendono gli autori dello studio per “competitività”; tradotto dall’inglese: “[…] il concorrere di istituzioni, politiche e fattori che determinano il livello di produttività di un Paese”, la quale produttività contribuisce successivamente a generare crescita e creare prosperità. In poche parole, lo studio traccia una relazione perfetta tra competitività, produttività e crescita economica nel lungo periodo.


Il livello di competitività dei 144 Paesi tenuti sotto osservazione è misurato da un indice che considera 12 fattori di tipo economico/istituzionale che coprono tutte le fasi di sviluppo di un Paese – dalle economie guidate dall’abbondanza di fattori di produzione (Bangladesh) a società che basano la propria crescita spingendo sull’innovazione (la Svizzera).


Ebbene, l’Italia si colloca al 42esimo posto, tra Polonia e Turchia, totalizzando un punteggio complessivo di 4,46 (su un massimo di 7 punti). Nello specifico, il rapporto menziona tra i nostri punti di forza il livello di sofisticatezza delle nostre imprese (estensione e profondità di interazione tra le imprese su tutti i livelli della catena produttiva, qualità e sofisticatezza delle strategie e delle operazioni messe in atto), facendo riferimento al celeberrimo modello dei distretti industriali.


Certo, lo studio non manca successivamente di far notare la lunga serie di difetti e di ostacoli che piagano la nostra economia e la vita quotidiana dei cittadini italiani, tra cui la rigidità del mercato del lavoro, ma dà comunque adito a speranze. Rispetto all’anno precedente, infatti, l’Italia è salita di una posizione in classifica, addirittura sei se si consultano studi ancora più vecchi, come il rapporto per l’anno 2009-2010. Aspetto ancora più confortante, il miglioramento è stato costante anno dopo anno.


Insomma, non sappiamo bene quali rapporti stesse confrontando il primo ministro, ma un miglioramento, almeno secondo il World Economic Forum, effettivamente c’è stato, ed è stato sicuramente di tipo strutturale e prolungato. Lo bacchettiamo solamente perché, per una volta che se lo merita, l’Italia è stata relegata uno scalino più in basso del dovuto. Ma tra il 43esimo ed il 42esimo posto, effettivamente, di differenza ce n’è poca, e di strada per migliorare ne rimane ancora tanta. Un “C’eri quasi” a Monti.