La legge finanziaria 2007 all’articolo 1 comma 457 introduce formalmente il concetto di un sistema a “rete” per la gestione degli acquisti pubblici. Questa norma ha la duplice funzione di accorpare realtà centralizzate di acquisto già presenti sul territorio (che entreranno quindi a far parte della nuova fattispecie in via di creazione) e di individuare i soggetti incaricati dello sviluppo della rete di acquisto (le Regioni stesse, attraverso la Conferenza Stato/Regioni).


La suddetta finanziaria specifica che le Aziende Sanitarie Locali hanno l’obbligo di aderire alle convenzioni stipulate dalle centrali di committenza regionali. Vi è, inoltre, la possibilità di istituire centrali di committenza interregionali con il compito di stipulare convenzioni per l’acquisto di beni e servizi a favore di amministrazioni locali, di Asl (aventi già l’obbligo di aderire alle predette convenzioni), e di tutte le altre amministrazioni locali sul territorio. Detto questo è poi compito delle Regioni procedere lungo l’iter tracciato dalla normativa, secondo le proprie preferenze.


Per verificare l’affermazione di Giannino ci rifacciamo al Rapporto 2010 dell’Avcp (Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture) sul tema del procurement sanitario. Ecco una fotografia della situazione regionale al 2010, contenuta nel menzionato rapporto (a pag. 16), che individua non solo i diversi organismi creati per organizzare il procurement ma anche le differenze tra le diverse tipologie di centralizzazione del sistema di acquisto. Tali differenze dipendono esclusivamente dalla modalità in cui la Regione ha recepito le direttive. 


In generale, in Italia si rilevano tre tipologie di “aggregazione” degli acquisti sanitari:


– In alcune Regioni esiste un “Centro Acquisti Regionale” che si occupa del procurement non solo in ambito sanitario;


– in altre Regioni esiste un “Centro Acquisti Regionale” specializzato negli acquisti sanitari;


– infine, altre Regioni hanno preferito non modificare l’assetto istituzionale e non creare organi ad hoc per l’acquisto ma semplicemente aggregare più Asl nelle negoziazioni o individuare una Asl di riferimento.


Non possiamo scendere nel merito di ciascuna situazione regionale (le differenze sono davvero tante intermini di organizzazione, suddivisione delle competenze di acquisto, ecc.) ma non mancano gli esempi di come il sistema, sebbene eterogeneo, stia muovendosi verso una razionalizzazione e contenimento dei costi. I risultati sono in alcuni casi promettenti: per citare un esempio, secondo uno studio presentato nel gennaio 2012 dal Centro di Ricerche sulla Gestione dell’Assistenza Sanitaria e Sociale dell’Università Bocconi, il Sistema “ESTAV Centro” adottato nella Regione Toscana ha portato a risparmi per 238 milioni di euro dal 2005 al 2011 (slide 15). 


L’affermazione di Giannino non è quindi del tutto corretta. Anche se rimane la pratica di indire gare a livello aziendale, c’è uno sforzo ben chiaro di aggregazione degli acquisti che non può essere sottovalutato. L’affermazione di Giannino si merita quindi un “Nì”!


(Si ringrazia Pietro Mesturini per questa analisi)