A seguito delle discussioni generatesi a cavallo delle vicende giudiziarie che affliggono il Cavaliere, il futuro di questo esecutivo sembra sempre più in difficoltà. Prima che sia troppo tardi, dunque, cerchiamo di verificare questa dichiarazione di Angelino Alfano, il quale rivendica l’unicità del presente esecutivo. Avrà ragione?



Per capirlo, ci siamo avventurati nell’apposita sezione storica del sito ufficiale del governo italiano, denominata “I governi dal 1943 ad oggi”. Innanzitutto partiamo con una forse scontata ma doverosa precisazione: il governo Letta, in carica dal 28 aprile 2013 (primo esecutivo della diciassettesima legislatura) nasce da un’intesa tra Pd, Pdl e Scelta Civica.



Un primo approccio all’analisi di questa dichiarazione è verificare se, effettivamente, il presente esecutivo è frutto di una coalizione tra due (o più) parti ideologicamente antitetiche tra loro. Premettendo che riassumere la storia repubblicana italiana risulta un’impresa particolarmente ardua, abbiamo sintetizzato i dati del sito del governo in questo foglio Excel (per la parte prettamente storica ci siamo serviti, invece, tra gli altri, dell’opera di Cammarano, Guazzaloca e Piretti, “Storia contemporanea dal XIX al XX secolo”). Dai venti mesi di guerra partigiana e dalla Seconda Guerra Mondiale, l’Italia era uscita fondamentalmente divisa; su queste basi, la dinamica politica del nuovo Stato non poteva che essere dominata da un impasto di compromesso e competizione. Effettivamente, come si evince dalla nostra tabella, De Gasperi aveva optato per un cosiddetto “governo di unità antifascista”, salvo poi, in considerazione del clima internazionale dominato dalla Guerra Fredda, espellere il Partito Comunista Italiano dal governo nel maggio del 1947, dando inizio al periodo noto come “centrismo puro”. La parentesi fu però breve e il partito di maggioranza cominciò a sviluppare correnti interne ideologicamente divergenti. A cavallo tra gli anni ’50 e gli anni ’60, si ripresenta, quindi, la necessità di un nuovo compromesso: in seguito alle elezioni dell’aprile del ’63, l’ala modernizzatrice della Dc promosse la realizzazione del primo governo di “centrosinistra organico”, con la presenza, cioè, di ministri socialisti all’interno del Gabinetto (governo Moro). Non dimentichiamo, poi, negli anni ’70, il periodo del “compromesso storico”, ossia la scelta del Partito Comunista,di ricercare l’accordo con le masse cattoliche e con il partito – riconosciuto come loro rappresentante – per garantire la più ampia base di consenso ad una politica riformatrice, impedendo, al tempo stesso, che la Dc fosse trascinata su posizioni di destra. Sebbene non si realizzò mai l’ingresso dei comunisti in un governo con democristiani, socialisti e laici, il Pci diede il suo appoggio indiretto astenendosi in tutte le votazioni parlamentari in cui fosse in questione la maggioranza. Addirittura, nel 1978, votò la fiducia ad un esecutivo monocolore democristiano, presieduto da Giulio Andreotti, pur senza parteciparvi. Insomma, la storia repubblicana ci mostra che sono stati diversi i casi in cui forze politiche diverse sono scesi a compromessi istituzionali, diretti o indiretti.



Non basta, tuttavia, questo ad esaurire l’analisi. L’attuale governo è principalmente il risultato dell’intesa tra due forze politiche che alle ultime elezioni hanno ottenuto un simile risultato elettorale. E’ opportuno, quindi, considerare anche il “peso” dei diversi schieramenti all’interno della compagine governativa. Alle elezioni per l’Assemblea Costituente del 1946, la Democrazia Cristiana emerse come la vera vincitrice, ottenendo la maggioranza relativa (35,2 percento dei voti, 207 seggi su 556). Tra le sinistre, il Partito Comunista raggiunse una forza quasi pari a quello socialista (18,9 percento contro 20,7 percento). Era la Dc, quindi, a detenere una posizione di forza e a rappresentare l’asse di qualsiasi futura coalizione governativa. Veniamo alle elezioni del 1963 che, dopo un governo di transizione, portarono alla costituzione del primo governo Moro. Anche in questo caso, la distanza tra le due parti risulta notevole: la Dc vince col 38,3 percento dei voti, mentre il Partito Socialista si attesta al 13,8 percento. Notiamo, però, che il Pci rimane una forza politica importante, guadagnando il 25,3 percento dei voti. Anche in virtù di questo “peso politico”, verrà raggiunto il “compromesso storico”; alle elezioni del 1976, infatti, il Pci aveva ridotto notevolmente il distacco dal primo partito (34,4 percento contro 38,8 percento).



Cercando di tirare le somme, abbiamo visto che se dal punto di vista istituzionale, gli esecutivi di larghe intese non sono certo mancati, è pur vero che gli equilibri politici delineatisi dalle recenti urne risultano eccezionali. Per questa ragione, la dichiarazione di Angelino Alfano risulta forse un po’ troppo perentoria e semplicistica: “Nì”