Il 14 novembre, ospite a Che tempo che fa su Rai 3, il ministro della Salute Roberto Speranza (Articolo 1) ha ribadito l’importanza della campagna vaccinale contro la Covid-19, ricordando che dal 1° dicembre chi ha tra i 40 e i 60 anni potrà ricevere la terza dose di vaccino, per il momento riservata agli over 60 e ai più fragili.
Per sostenere la necessità di un nuovo richiamo, Speranza ha sottolineato (min. -2:57:15) che l’efficacia dei vaccini cala «dopo sei mesi» dalla somministrazione, con un’intensità diversa a seconda delle fasce d’età.
È vero: in tv il ministro della Salute ha fatto un’affermazione corretta, evidenziata di recente anche da un nuovo rapporto dell’Istituto superiore di sanità (Iss).
Come cala l’efficacia dei vaccini nel tempo
Il 12 novembre l’Iss ha pubblicato il rapporto sull’epidemia di Covid-19 nel nostro Paese, aggiornato al 10 novembre. Il documento, tra tabelle e grafici, contiene anche le nuove stime dell’istituto sull’andamento nel tempo dell’efficacia dei vaccini nel prevenire il contagio e la malattia grave.
Ricordiamo che l’efficacia vaccinale – calcolata con un modello statistico – misura quanto si riduce per i vaccinati il rischio di ricevere una diagnosi di positività al coronavirus e quella di sviluppare forme gravi della malattia, che poi causano il ricovero o la morte. Le elaborazioni dell’Iss fanno riferimento al periodo di tempo tra il 5 luglio e il 7 novembre, con la maggioranza dei contagi in Italia dovuta alla diffusione della variante delta, molto più contagiosa di quelle in circolazione in precedenza.
Secondo le stime più aggiornate, dopo sei mesi l’efficacia vaccinale nei vaccinati con ciclo completo è del 50,2 per cento per le “diagnosi” di positività e dell’82,1 per cento per la “malattia severa” [1]. Entro i sei mesi, invece, queste percentuali sono rispettivamente del 75,7 per cento e del 91,8 per cento. Dunque nel tempo l’efficacia dei vaccini cala – ne avevamo già parlato a fine agosto – più per le diagnosi che per la malattia grave, ma non sparisce. Dopo sei mesi dalla chiusura del ciclo vaccinale, chi è vaccinato ha comunque oltre l’80 per cento di rischio in meno, rispetto a un non vaccinato, di sviluppare una forma grave della Covid-19 (Tabella 1).
Per sostenere la necessità di un nuovo richiamo, Speranza ha sottolineato (min. -2:57:15) che l’efficacia dei vaccini cala «dopo sei mesi» dalla somministrazione, con un’intensità diversa a seconda delle fasce d’età.
È vero: in tv il ministro della Salute ha fatto un’affermazione corretta, evidenziata di recente anche da un nuovo rapporto dell’Istituto superiore di sanità (Iss).
Come cala l’efficacia dei vaccini nel tempo
Il 12 novembre l’Iss ha pubblicato il rapporto sull’epidemia di Covid-19 nel nostro Paese, aggiornato al 10 novembre. Il documento, tra tabelle e grafici, contiene anche le nuove stime dell’istituto sull’andamento nel tempo dell’efficacia dei vaccini nel prevenire il contagio e la malattia grave.
Ricordiamo che l’efficacia vaccinale – calcolata con un modello statistico – misura quanto si riduce per i vaccinati il rischio di ricevere una diagnosi di positività al coronavirus e quella di sviluppare forme gravi della malattia, che poi causano il ricovero o la morte. Le elaborazioni dell’Iss fanno riferimento al periodo di tempo tra il 5 luglio e il 7 novembre, con la maggioranza dei contagi in Italia dovuta alla diffusione della variante delta, molto più contagiosa di quelle in circolazione in precedenza.
Secondo le stime più aggiornate, dopo sei mesi l’efficacia vaccinale nei vaccinati con ciclo completo è del 50,2 per cento per le “diagnosi” di positività e dell’82,1 per cento per la “malattia severa” [1]. Entro i sei mesi, invece, queste percentuali sono rispettivamente del 75,7 per cento e del 91,8 per cento. Dunque nel tempo l’efficacia dei vaccini cala – ne avevamo già parlato a fine agosto – più per le diagnosi che per la malattia grave, ma non sparisce. Dopo sei mesi dalla chiusura del ciclo vaccinale, chi è vaccinato ha comunque oltre l’80 per cento di rischio in meno, rispetto a un non vaccinato, di sviluppare una forma grave della Covid-19 (Tabella 1).