Il 18 ottobre, ospite a Mezz’ora in più su Rai 3, la ministra delle Infrastrutture e dei Trasporti Paola De Micheli (Pd) ha difeso (min. -35:04) il governo per la criticata gestione del trasporto pubblico delle ultime settimane, che hanno visto un forte aumento dei contagi da nuovo coronavirus nel nostro Paese.
De Micheli ha smentito con forza l’ipotesi che i mezzi di trasporto abbiano avuto un ruolo rilevante in questa crescita. Secondo la ministra, infatti, lo studio «più autorevole» in materia dice che «tutti i mezzi di trasporto» – dai treni ai bus, passando per navi e aerei – «hanno dato ad oggi un contributo pari all’1,2 per cento del contagio».
Abbiamo verificato e non sembra esserci traccia di uno studio scientifico con un risultato di questo tipo. Molto probabilmente, con quell’«1,2 per cento», De Micheli fa riferimento ai dati relativi solo ai focolai di Covid-19 in Francia (e aggiornati a fine settembre scorso), scambiandoli per delle statistiche generalizzabili a livello internazionale.
Ma procediamo con ordine, analizzando prima la possibile origine dell’errore, e riassumendo poi alcune delle evidenze scientifiche sui rischi concreti di contagiarsi sui mezzi di trasporto.
– Leggi anche: Scuole aperte o chiuse: che cosa dice la scienza
Da dove viene il dato citato da De Micheli
Come abbiamo già anticipato, nella letteratura scientifica sul tema non sembrano esserci studi – neppure nelle fasi preliminari, ossia non ancora soggetti al controllo della comunità scientifica – in cui si dice che fino ad oggi tutti i mezzi di trasporto hanno contribuito “solo” all’1,2 per cento nella diffusione del contagio del nuovo coronavirus.
Gli articoli di Sky News Uk e Corriere della Sera
Questa percentuale, però, compare in un articolo pubblicato lo scorso 7 ottobre da Sky News Uk e intitolato: “Coronavirus: perché il trasporto pubblico potrebbe essere più sicuro di quanto pensassimo”.
Qui si legge che «gli ultimi dati provenienti dalla Francia mostrano che solo l’1,2 per cento dei 2.830 focolai di coronavirus nel Paese», registrati tra inizio maggio e il 28 settembre, «erano collegati a un mezzo di trasporto qualsiasi (aerei, navi e treni)».
Lo stesso dato è stato ripreso anche in un articolo del Corriere della Sera (edizione Milano), pubblicato il 15 ottobre: «In base ai dati registrati in Francia tra il primo maggio e il 28 settembre solo l’1,2 per cento dei 2.830 focolai si è verificato su un mezzo di trasporto», si legge nel pezzo.
Qui sono subito necessarie almeno due osservazioni: la prima è che questa percentuale dell’1,2 per cento fa riferimento a un Paese specifico, la Francia, e non a più stati; la seconda è che stiamo parlando di una statistica particolare e delimitata, ossia quella relativa ai focolai. Qui le cose si complicano.
Che cosa dice la Santé publique francese
Il rapporto epidemiologico più aggiornato della Santé publique francese – l’agenzia governativa che, tra le altre cose, si occupa del monitoraggio dell’epidemia di coronavirus in Francia – spiega (pag. 15) che il termine «focolaio» fa riferimento all’individuazione di almeno tre nuovi contagi, nell’arco di sette giorni, appartenenti alla stessa comunità o che hanno partecipato allo stesso evento. Queste statistiche partono dal 9 maggio e sono raccolte al di fuori degli ambienti familiari ristretti.
La stessa Santé publique sottolinea che, vista l’alta circolazione del virus in Francia, i numeri sui focolai individuati dal sistema di monitoraggio sono sicuramente una sottostima dei casi reali, e dunque hanno forti limiti per essere utilizzati a sostegno di conclusioni di carattere più generale.
Al 15 ottobre, secondo i dati della Santé publique, 55.500 casi di contagio – circa un decimo del totale dei casi diagnosticati nel Paese – erano riconducibili (pag. 15) a 4.365 focolai. Più nel dettaglio, 36 focolai accertati (lo 0,8 per cento sul totale) e 3.333 casi (il 6 per cento sul totale) erano riconducibili a tre mezzi di trasporto: aereo, nave e treno. Gli autobus, per esempio, non sembrano essere considerati nel calcolo.
Per quanto riguarda i focolai, questi dati sono in crescita in valori assoluti, ma in calo in valori percentuali, rispetto a quelli contenuti (pag. 15) in un rapporto del 1° ottobre della Santé publique, aggiornato alla situazione del 28 settembre, ossia la data indicata da Sky News Uk e Corriere della Sera (Figura 1).
De Micheli ha smentito con forza l’ipotesi che i mezzi di trasporto abbiano avuto un ruolo rilevante in questa crescita. Secondo la ministra, infatti, lo studio «più autorevole» in materia dice che «tutti i mezzi di trasporto» – dai treni ai bus, passando per navi e aerei – «hanno dato ad oggi un contributo pari all’1,2 per cento del contagio».
Abbiamo verificato e non sembra esserci traccia di uno studio scientifico con un risultato di questo tipo. Molto probabilmente, con quell’«1,2 per cento», De Micheli fa riferimento ai dati relativi solo ai focolai di Covid-19 in Francia (e aggiornati a fine settembre scorso), scambiandoli per delle statistiche generalizzabili a livello internazionale.
Ma procediamo con ordine, analizzando prima la possibile origine dell’errore, e riassumendo poi alcune delle evidenze scientifiche sui rischi concreti di contagiarsi sui mezzi di trasporto.
– Leggi anche: Scuole aperte o chiuse: che cosa dice la scienza
Da dove viene il dato citato da De Micheli
Come abbiamo già anticipato, nella letteratura scientifica sul tema non sembrano esserci studi – neppure nelle fasi preliminari, ossia non ancora soggetti al controllo della comunità scientifica – in cui si dice che fino ad oggi tutti i mezzi di trasporto hanno contribuito “solo” all’1,2 per cento nella diffusione del contagio del nuovo coronavirus.
Gli articoli di Sky News Uk e Corriere della Sera
Questa percentuale, però, compare in un articolo pubblicato lo scorso 7 ottobre da Sky News Uk e intitolato: “Coronavirus: perché il trasporto pubblico potrebbe essere più sicuro di quanto pensassimo”.
Qui si legge che «gli ultimi dati provenienti dalla Francia mostrano che solo l’1,2 per cento dei 2.830 focolai di coronavirus nel Paese», registrati tra inizio maggio e il 28 settembre, «erano collegati a un mezzo di trasporto qualsiasi (aerei, navi e treni)».
Lo stesso dato è stato ripreso anche in un articolo del Corriere della Sera (edizione Milano), pubblicato il 15 ottobre: «In base ai dati registrati in Francia tra il primo maggio e il 28 settembre solo l’1,2 per cento dei 2.830 focolai si è verificato su un mezzo di trasporto», si legge nel pezzo.
Qui sono subito necessarie almeno due osservazioni: la prima è che questa percentuale dell’1,2 per cento fa riferimento a un Paese specifico, la Francia, e non a più stati; la seconda è che stiamo parlando di una statistica particolare e delimitata, ossia quella relativa ai focolai. Qui le cose si complicano.
Che cosa dice la Santé publique francese
Il rapporto epidemiologico più aggiornato della Santé publique francese – l’agenzia governativa che, tra le altre cose, si occupa del monitoraggio dell’epidemia di coronavirus in Francia – spiega (pag. 15) che il termine «focolaio» fa riferimento all’individuazione di almeno tre nuovi contagi, nell’arco di sette giorni, appartenenti alla stessa comunità o che hanno partecipato allo stesso evento. Queste statistiche partono dal 9 maggio e sono raccolte al di fuori degli ambienti familiari ristretti.
La stessa Santé publique sottolinea che, vista l’alta circolazione del virus in Francia, i numeri sui focolai individuati dal sistema di monitoraggio sono sicuramente una sottostima dei casi reali, e dunque hanno forti limiti per essere utilizzati a sostegno di conclusioni di carattere più generale.
Al 15 ottobre, secondo i dati della Santé publique, 55.500 casi di contagio – circa un decimo del totale dei casi diagnosticati nel Paese – erano riconducibili (pag. 15) a 4.365 focolai. Più nel dettaglio, 36 focolai accertati (lo 0,8 per cento sul totale) e 3.333 casi (il 6 per cento sul totale) erano riconducibili a tre mezzi di trasporto: aereo, nave e treno. Gli autobus, per esempio, non sembrano essere considerati nel calcolo.
Per quanto riguarda i focolai, questi dati sono in crescita in valori assoluti, ma in calo in valori percentuali, rispetto a quelli contenuti (pag. 15) in un rapporto del 1° ottobre della Santé publique, aggiornato alla situazione del 28 settembre, ossia la data indicata da Sky News Uk e Corriere della Sera (Figura 1).