Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte è intervenuto in Senato il 28 luglio per discutere la proroga dello stato di emergenza, deliberato dal Consiglio dei ministri il 31 gennaio e in scadenza il 31 luglio. Il Senato ha approvato la risoluzione della maggioranza – con 157 voti favorevoli, 125 contrari e tre astenuti – che chiede al governo di prorogare lo stato di emergenza al massimo fino al 15 ottobre.
Nel suo discorso Conte ha anche affrontato il tema dei Decreti del presidente del consiglio (Dpcm), che sono stati oggetto nel corso degli ultimi mesi di aspre critiche da parte delle opposizioni, e non solo, in quanto darebbero al governo la possibilità di approvare significative limitazioni delle libertà fondamentali senza necessità di passare dal Parlamento.
Secondo Conte, «la proroga dello stato di emergenza non incide sul potere del Governo e del Presidente del Consiglio dei ministri di emanare decreti» e dunque non avrebbe senso negare il rinnovo dello stato di emergenza con la motivazione di voler contrastare l’uso dei Dpcm, come sembrano sostenere alcuni parlamentari dell’opposizione, ad esempio Anna Maria Bernini, di Forza Italia.
Conte ha ragione: lo stato di emergenza non è un presupposto necessario dei Dpcm. Serve però qualche precisazione su quanto fatto in passato dal governo. Andiamo allora a vedere i dettagli.
Che cos’è e a cosa serve lo stato di emergenza
Come abbiamo spiegato in una nostra precedente analisi, lo stato di emergenza è una misura che non è prevista dalla Costituzione ma da una legge ordinaria, la n. 225 del 24 febbraio 1992 (art. 5), ed è ulteriormente dettagliata dal “Codice della Protezione civile” (d.lgs. 1/2018).
Da queste leggi risulta che lo stato di emergenza può essere proclamato dal Consiglio dei ministri, dopo una valutazione della Protezione civile in proposito, a fronte di eventi straordinari e potenzialmente pericolosi. Devono essere specificate durata (al massimo 12 mesi, prorogabile di altri 12 mesi) e ambito territoriale, e non serve l’approvazione da parte del Parlamento. Dunque la decisione di Conte di chiedere il 28 luglio il mandato del Senato – e, il 29 luglio, della Camera – per prorogare lo stato di emergenza non era obbligatoria in base alla legge. Il presidente del Consiglio ha agito in questo modo, secondo quanto da lui stesso riferito durante il suo intervento in Senato, per dimostrare la disponibilità al confronto del governo e per accogliere le indicazioni del Parlamento.
La dichiarazione dello stato di emergenza riguarda i poteri della Protezione civile, che viene autorizzata (art. 25 del d.lgs. 1/2018) a emanare ordinanze speciali «in deroga ad ogni disposizione vigente», ma nel rispetto dei «principi generali dell’ordinamento giuridico e delle norme dell’Unione europea». Non modifica invece le prerogative del governo e del Parlamento e i rapporti tra potere esecutivo e legislativo.
E allora i Dpcm?
Veniamo allora al rapporto tra la dichiarazione dello stato di emergenza e i Dpcm. Come ha correttamente affermato Conte, non è previsto dalla legge che per emanare i Dpcm sia necessaria la dichiarazione dello stato di emergenza.
I Dpcm, al pari degli altri decreti ministeriali, sono atti amministrativi che possono riguardare una molteplicità di materie. Devono essere previsti da una legge – ad esempio, la legge può stabilire che certi dettagli tecnici in una certa materia saranno definiti da un decreto di questo o quel Ministero – ma non hanno bisogno dell’approvazione delle Camere per entrare in vigore.
In concreto, i Dpcm emanati per affrontare la pandemia di Covid-19 sono stati previsti, e hanno quindi trovato il loro fondamento giuridico, in due atti aventi forza di legge: il decreto-legge n. 6 del 23 febbraio 2020 e soprattutto il d.l. n. 19 del 25 marzo 2020, che ha abrogato e sostituito il precedente.
Nel decreto di marzo, in particolare, è stato previsto un collegamento tra la possibilità di emanare Dpcm e la durata dello stato di emergenza. Si legge infatti (art. 1) che le misure necessarie a contrastare la diffusione dell’epidemia possono essere prese «fino al 31 luglio 2020, termine dello stato di emergenza dichiarato con delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020» e che (art. 2) queste misure possono essere adottate anche con i Dpcm.
Questo però non significa che prorogare lo stato di emergenza fino al 15 ottobre dia automaticamente al governo la facoltà di emanare Dpcm in materia sanitaria, e non solo, fino a quella data. L’atto che giustifica questa facoltà del governo infatti non è lo stato di emergenza ma il decreto-legge. Quindi anche dopo la proroga dello stato di emergenza, sarà necessario che il Parlamento approvi un altro decreto-legge (o un’altra legge) che dia al governo la facoltà di emanare Dpcm fino al 15 ottobre.
Non solo. Il prossimo decreto-legge che dovesse autorizzare il governo a emanare Dpcm in teoria potrebbe anche non contenere alcun riferimento allo stato di emergenza, senza per questo pregiudicare la possibilità del governo di ricorrere a simili strumenti.
In concreto però, come abbiamo sottolineato in una nostra precedente analisi, il riferimento allo stato di emergenza giustifica la possibilità di ricorrere ai Dpcm, ma si tratta di una questione di natura politica e non giuridica. Da un punto di vista strettamente giuridico, infatti, lo stato di emergenza è stato prorogato non per via dei Dpcm ma per non privare la Protezione civile del potere di emanare ordinanze emergenziali e per non togliere alle ordinanze emanate nei mesi scorsi il loro fondamento giuridico.
Il verdetto
Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte il 28 luglio ha sostenuto che la proroga dello stato di emergenza non incida sulla possibilità del governo e del presidente del Consiglio di emanare decreti.
È vero: la possibilità di emanare decreti nasce da atti aventi forza di legge, in particolare nell’ambito dell’emergenza Covid-19 nasce dal d.l. n. 19 del 25 marzo 2020. Qui si legge che questa possibilità scade con lo scadere dello stato di emergenza il 31 luglio. Ma prorogare lo stato di emergenza non comporta una proroga della possibilità di emanare decreti: per questa è necessario un nuovo decreto-legge o una nuova legge.
Il nuovo decreto-legge (o legge) potrebbe poi in teoria non contenere alcun riferimento allo stato di emergenza, non essendo un requisito necessario in base alla legge. In pratica, però, il riferimento allo stato di emergenza giustifica politicamente la decisione del governo di chiedere al Parlamento di approvare atti con forza di legge che lo autorizzino ad emanare i Dpcm.
Da un punto di vista giuridico, comunque, la decisione di prorogare lo stato di emergenza non ha a che vedere con i Dpcm ma piuttosto con le ordinanze della Protezione civile. Queste sì che trovano la loro base giuridica nella dichiarazione di stato di emergenza.
In conclusione per Conte un “Vero”.
«Finalmente un primato per Giorgia Meloni, se pur triste: in due anni la presidente del Consiglio ha chiesto ben 73 voti di fiducia, quasi 3 al mese, più di qualsiasi altro governo, più di ogni esecutivo tecnico»
7 dicembre 2024
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