Il 10 luglio, nel corso della presentazione della prima relazione dell’Agenzia Nazionale per i Giovani (un ente governativo, vigilato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dalla Commissione Europea, che si occupa di gestire vari programmi per i giovani tra cui anche l’Erasmus+), il presidente della Camera Roberto Fico ha dichiarato (min. 2.44) che quella dei giovani è stata una delle categorie più colpite dagli effetti negativi dell’epidemia da Covid-19 dal punto di vista occupazionale.

Il presidente della Camera ha quindi aggiunto che i giovani «già da prima scontavano retribuzioni inferiori alla media, elevati rischi di perdita di lavoro, basse retribuzioni, qualificazioni poco elevate».

Abbiamo verificato la sua dichiarazione e Fico ha ragione.

Cosa è successo durante il lockdown

Il Rapporto annuale 2020 dell’Istat riporta alcuni primi dati utili a comprendere le trasformazioni lavorative che si sono verificate nel corso del lockdown.

In particolare, secondo i dati, i giovani, insieme con le donne e i lavoratori del Mezzogiorno, sono stati una delle categorie più esposte a una bassa qualità del lavoro. Questo si concretizza in retribuzioni inferiori alla media, elevati rischi di perdita del lavoro, qualificazioni poco elevate e limitate prospettive di carriera.

Nel corso del lockdown, afferma l’Istat, i giovani sono stati anche fra i più in difficoltà nell’accesso agli ammortizzatori sociali e nel giustificare formalmente i propri spostamenti lavorativi, principalmente a causa dell’alto tasso di irregolarità occupazionale a cui sono soggetti.

Secondo la relazione 2020 dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) sul rapporto fra giovani e Covid poi, il coronavirus ha ridotto a livello globale anche le opportunità di accesso dei giovani al mondo dell’educazione e del lavoro rendendo più instabile la loro probabilità di trovare e mantenere nel tempo un impiego di qualità. Tra febbraio e marzo 2020, ad esempio, i giovani fra i 15 e i 24 anni costituivano il gruppo più colpito dalla crescita della disoccupazione che si è verificata e si prevede che saranno loro i più propensi a finire al di sotto della soglia di povertà entro un periodo di tre mesi, se si trovano già all’interno di famiglie vulnerabili.

Insomma i giovani sono tra quelli che hanno pagato più duramente i mesi di quarantena, in termini lavorativi, e che si prevede subiranno nel prossimo futuro le conseguenze più negative. I giovani però erano svantaggiati anche prima dell’arrivo della Covid-19: vediamo i principali indicatori.

I giovani e le disuguaglianze nel mercato del lavoro

Come riferisce il Rapporto Istat, in Italia i giovani costituiscono un segmento strutturalmente debole nel mercato del lavoro. I principali indicatori aggiornati al 2019 segnalano in particolare un «persistenze svantaggio» occupazionale nei loro confronti.

Dalla crisi economica del 2008, infatti, eccetto i laureati, i giovani sono fra le categorie che ancora non hanno recuperato i tassi e i livelli di occupazione precedenti e, in generale negli ultimi anni, si è assistito ad un incremento delle disuguaglianze territoriali, generazionali e per titolo di studio.

La situazione sociale prima della pandemia presentava quindi già alcune «forti disuguaglianze» che penalizzavano i giovani nel mercato del lavoro. Nello specifico, la classe sociale ereditata, la stagnazione del sistema economico e i modelli organizzativi della Pubblica Amministrazione hanno diminuito la probabilità di ascesa sociale della generazione più giovane.

L’Istat sottolinea anche che nell’ultima generazione i giovani maschi sperimentano maggiormente la mobilità sociale discendente in confronto a quella ascendente. Cioè è più comune che i giovani maschi dell’ultima generazione passino da una classe sociale (e da una condizione economica) più elevata a una meno elevata, che non il contrario. Le giovani donne dell’ultima generazione poi, vivono un peggioramento delle possibilità di ascesa sociale rispetto alle generazioni precedenti, anche se la mobilità ascendente rimane più comune di quella discendente.

Dal 2008 fino al 2019 la diffusione della povertà assoluta individuale e delle famiglie è progressivamente aumentata sfavorendo coloro che erano in cerca di occupazione, come i giovani e i residenti del Mezzogiorno. Le statistiche dell’Istat sulla povertà del 2019 rivelano, ad esempio, che la percentuale dei poveri assoluti fra i 18 e i 34 anni era di gran lunga superiore rispetto a quella della popolazione più anziana. Se inoltre nel 2008 l’incidenza della povertà assoluta era del 4,6 per cento per gli individui fino ai 34 anni di età e del 5,7 per cento dai 65 anni in su, nel 2019 invece l’incidenza per i giovani fino ai 34 anni era raddoppiata (9,1 per cento) mentre per gli over 65 era addirittura diminuita (4,8 per cento).

Per quanto riguarda le condizioni retributive orarie mediane dei lavoratori dipendenti, i giovani fra i 15 e i 29 anni guadagnano circa l’11 per cento in meno rispetto ai loro colleghi più grandi.

Infine, nonostante ilcalo del tasso complessivo di disoccupazione – passato dal 12,7 per cento al 10 per cento dal 2014 al 2019 – quella giovanile (fascia di età 25-34 anni) è rimasta vicina al 30 per cento (ma questo non significa, come abbiamo spiegato in passato, che un giovane su tre sia disoccupato).

Il verdetto

Il presidente della Camera Roberto Fico (M5s) ha sostenuto che i giovani hanno subito gravemente l’impatto del coronavirus a livello occupazionale, ma che già prima della pandemia vivevano condizioni retributive inferiori alla media, elevati rischi di perdita di lavoro e qualificazioni poco elevate.

Abbiamo controllato i dati dell’ultimo rapporto Istat, dove risulta che i giovani durante la pandemia siano stati fra le categorie più esposte a retribuzioni inferiori alla media, elevati rischi di perdita del lavoro e alto livello di segregazione lavorativa.

Inoltre, secondo lo stesso report fino al 2019 i giovani guadagnavano meno in proporzione alle retribuzioni orarie mediane dei loro colleghi più grandi, sperimentavano elevate condizioni di irregolarità lavorativa, declassamento e scarsa mobilità sociale ascendente.

In conclusione, un “Vero” per Fico.