Il 19 novembre l’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi ha scritto su Twitter che Italia Viva propone «di sbloccare i 120 miliardi di euro che sono fermi nei cassetti». Il riferimento di Renzi è al piano “Italia Shock!”, presentato il 15 novembre scorso a Torino e pensato per «rilanciare l’economia» italiana, facendo partire decine di cantieri in tutto il Paese.

In parole semplici, il messaggio che passa è che effettivamente ci siano nelle disponibilità dello Stato italiano 120 miliardi di euro da spendere in strade e ferrovie, scuole e ospedali, che sono stati “bloccati” negli ultimi anni. Insomma, le risorse non sarebbero un problema: basterebbe solo sbloccarle.

Ma davvero lo Stato italiano ha così tanti soldi non utilizzati messi da parte? No. Vediamo meglio perché.

I numeri di Italia Shock!

Non sono ancora noti i dettagli della proposta “Italia Shock!”, che come ha promesso lo stesso Renzi nell’evento di Torino saranno presentati il 15 gennaio 2020, dopo una «grande campagna di ascolto» che dovrebbe coinvolgere i ministeri, gli enti locali, le associazioni di categoria e gli investitori internazionali.

Ad oggi, abbiamo solo a disposizione una serie di slide e le dichiarazioni fatte in questi giorni sulla stampa o sui social da alcuni esponenti di Italia Viva.

La proposta “Italia Shock!” fa riferimento a un piano di investimenti triennale da 120 miliardi di euro, suddivisi in sette categorie di spesa.

Oltre 74 miliardi di euro riguarderebbero, secondo Italia Viva, «opere stradali e ferroviarie bloccate in Italia», mentre 7 miliardi di euro sono gli investimenti per porti (3 miliardi) e aeroporti (4 miliardi). Oltre 6 miliardi di euro fanno invece riferimento ai investimenti per le periferie e le città.

A questi si aggiungono «25,9 miliardi già oggi disponibili e non spesi sul dissesto idrogeologico», e 5 miliardi di euro – in tre anni – per ospedali (3 miliardi) e scuole (2 miliardi). La sesta categoria di spesa riguarda poi 2 miliardi di euro in investimenti non spesi in cultura e turismo.

Se si sommano queste voci, si ottengono i 120 miliardi di euro indicati da Renzi, a cui nei prossimi tre anni si aggiungerà anche, secondo Italia Viva, l’accelerazione di 15 miliardi di euro di investimenti messi in campo nel settore energetico da società come Eni, Snam, Terna ed Enel.

Nella presentazione di Torino, i riferimenti a tutti questi miliardi sono stati per lo più vaghi, con rimandi a quanto fatto dal governo Renzi tra il 2014 e il 2016.

A un esame più attento, alcuni numeri non sembrano però tornare. Vediamo il caso delle infrastrutture bloccate.

I 74 miliardi nelle infrastrutture

Secondo il partito di Renzi, gli investimenti in opere pubbliche ferme ammonterebbero a oltre 74 miliardi di euro, mentre secondo una stima presentata a ottobre 2019 dall’Associazione nazionale costruttori edili (Ance), la cifra corretta sarebbe di 62 miliardi di euro (numero a cui ha fatto riferimento anche il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, in un’intervista a La Repubblica del 25 novembre 2019).

Questa differenza nei dati è probabilmente dovuta al numero di opere prese in considerazione e agli investimenti collegati.

La cartina sulle opere bloccate in Italia, proiettata da Italia Viva nell’evento di Torino, indica per esempio la Tav Torino-Lione, la cui realizzazione non è però bloccata e che da parte dell’Italia non impiega investimenti per 8,6 miliardi di euro (come indicato dalla mappa), ma per oltre 3 miliardi di euro.

In realtà, il problema principale della dichiarazione di Renzi non sono i numeri in sé, ma la loro natura. Come vedremo, i miliardi in questione non sono «denari che ci sono già», come dice l’ex presidente del Consiglio, ma stanziamenti, un termine che fa riferimento a qualcosa di ben preciso, e non a soldi nei “cassetti”.

Non c’è nessun cassetto

«Di soldi stanziati per i prossimi anni ce ne sono anche più di 120 miliardi, però la prima cosa da chiarire è che sono su un orizzonte pluriennale, anche ventennale», ha spiegato a Pagella Politica Claudio Virno, esperto in valutazione degli investimenti pubblici e in passato consulente del governo italiano in materia di spending review.

«Fra le risorse stanziate nel bilancio dello Stato a livello pluriennale e le risorse presumibili che vengono come fondi strutturali europei, potrebbero esserci anche cifre più alte. Ma non è quello il problema, perché non si sta parlando di soldi messi da parte: dire che 120 miliardi sono già nei “cassetti” è del tutto irrealistico».

Il punto principale da capire è che Renzi sta parlando di stanziamenti, e non di risorse già a disposizione dello Stato.

«Omettere di specificare che “stanziare” è cosa diversa da “finanziare” significa fornire un racconto di una realtà che non c’è», ha scritto il 21 novembre 2019 su Il Foglio Veronica De Romanis, esperta in politiche economiche europee e in passato docente all’Università Luiss di Roma.

«Una cosa sono gli stanziamenti, un’altra cosa sono le somme di cassa messe davvero a disposizione per realizzare le opere, che sono in genere un quinto o anche meno degli stanziamenti annuali, visto l’andamento degli investimenti degli ultimi anni», ha sottolineato Virno.

«Lo stanziamento non è un impegno vincolante a pagare una determinata cifra, perché può sempre essere modificato negli anni successivi, cosa che avviene spesso: la storia ci dice che in genere i fondi stanziati, per esempio per infrastrutture, sono stati poi utilizzati per altre destinazioni. L’impegno vero e proprio a spendere da parte dello Stato arriva quando si iniziano le gare d’appalto e le procedure per la realizzazione dell’opera, con i vari decreti ministeriali che provvedono a impegnarsi a pagare determinate somme, che devono essere poi pagate nei tempi previsti. Ma anche questi impegni non vengono sempre rispettati».

Insomma, «sono tutte cose scritte un po’ nell’aria», ha aggiunto Virno.

Se si va indietro nel tempo, anche solo di pochi mesi, si scopre che Renzi non è il primo a citare centinaia di miliardi di euro di investimenti “bloccati” e non utilizzati dallo Stato.

A luglio 2018, in un intervento durante un convegno a Roma, l’allora ministro dell’Economia Giovanni Tria aveva dichiarato che «il livello totale delle risorse stanziate in un arco temporale che raggiunge i 15 anni per interventi ancora da avviare […] ammonta a circa 150 miliardi di euro. Di questi, circa 118 miliardi possono essere considerati immediatamente attivabili».

Virno ha commentato: «Negli ultimi 30-40 anni, abbiamo avuto una ventina di casi di piani straordinari con grandi dimensioni finanziarie: nessuno di questi piani ha mai portato a nulla. Sono stati tutti un fallimento».

La questione delle coperture

Come ha spiegato più nel dettaglio il deputato Luigi Marattin su Facebook il 17 novembre scorso, secondo Italia Viva l’ennesimo fallimento si eviterebbe anticipando nel prossimo triennio gli investimenti previsti in un arco temporale più lungo, e affidando la realizzazione delle opere a commissari straordinari, come fatto in passato per l’Expo di Milano.

Qui però sorge il problema delle coperture.

«Chiariamo questa cosa: “I fondi ci sono” vuol dire che ci sono stati stanziamenti in passato […], ma non è che si sono già presi a prestito dei soldi e i soldi sono lì in cassaforte e si spendono», ha spiegato (min. 9:50) l’economista Carlo Cottarelli il 13 novembre 2019, ospite a Circo Massimo su Radio Capital. «Così si pensa che si spendano soldi che già stanno nel debito pubblico. Sono d’accordissimo nel fare gli investimenti pubblici, però esiste un vincolo di bilancio che se fai tanti investimenti pubblici magari ti devi dare una regolata sulla spesa corrente».

Come ha spiegato un approfondimento di aprile 2019 dell’Osservatorio conti pubblici italiani dell’Università Cattolica, diretto dallo stesso Cottarelli, fintanto che non vengono utilizzati, gli stanziamenti non incidono su debito e deficit pubblici – quindi, di fatto, non esistono se non nell’ottica della programmazione. L’inclusione nei conti dello Stato, nel deficit e nel debito, avviene quando iniziano gli effettivi pagamenti dell’opera e il motivo è che lo Stato ha trovato le coperture – magari emettendo titoli pubblici – per far fronte effettivamente a quel pagamento.

«Facciamo un esempio concreto: per il 2032 ci sono delle risorse stanziate, ma le risorse del 2032 le puoi spendere, bene che vada, in quell’anno», ha spiegato Virno. «Se si fossero potute spendere oggi, si sarebbero messe nel bilancio di quest’anno. Non è stato fatto così, perché altrimenti si va a colpire il debito o il deficit». Ciò avrebbe conseguenze, ad esempio, nel rispetto dei vincoli europei di bilancio.

Che si anticipi o meno in un piano triennale il deficit che sarebbe stato fatto nei prossimi anni, come suggerisce Marattin nel suo post su Facebook, resta però un’altra criticità di fondo.

«Il problema principale non sono tanto le procedure burocratiche che bloccano la spesa in investimenti, ma la capacità stessa di spesa, che ha le sue origini nella capacità di programmazione: l’amministrazione funziona male per fare progetti di qualità, e quando ce la fa, ci impiega tempi lunghissimi», ha sottolineato Virno.

«Il governo italiano ha più volte chiesto la flessibilità di bilancio proprio esclusivamente sugli investimenti. Quando l’ha ottenuta, sono stati casi fallimentari, nel senso che non si è riusciti a spendere neanche metà della cifra che si era chiesta in flessibilità. Puoi anche chiedere più flessibilità e fare più deficit, ma se poi non sai spendere i soldi questo deficit non si realizza».

Il verdetto

Negli ultimi giorni, il leader di Italia Viva Matteo Renzi sta promuovendo “Italia Shock!”, un piano triennale di investimenti per un valore di 120 miliardi di euro, cifra che secondo l’ex presidente del Consiglio sarebbe ferma nei «cassetti» dello Stato. Il messaggio veicolato da Renzi è però fuorviante.

Al di là della cifra citata in sé, il problema è che questi miliardi di euro fanno riferimento a stanziamenti fatti negli anni, e non a risorse vere e proprie già a disposizione dello Stato.

In sostanza, non si sta parlando di soldi messi da parte, per esempio già presi a prestito: l’impegno vero e proprio da pagare avviene con l’inizio della realizzazione di un’opera, ed è in quel momento che lo Stato raccoglie le risorse per far fronte alla spesa prevista. Questo però comporta, oltre alla questione delle coperture, il problema di intaccare debito e deficit pubblici, assumendo che effettivamente si riescano poi a spendere i soldi impegnati.

Insomma, è vero che in Italia esiste un problema di trasformare in realtà gli investimenti previsti con i vari stanziamenti fatti negli anni, ma non è vero che ci sono decine di miliardi di euro già a disposizione dello Stato, pronti per essere spesi. In conclusione, Renzi si merita un “Pinocchio andante”.