L’8 ottobre 2019 il ministro per le Politiche giovanili e lo sport Vincenzo Spadafora ha scritto, in un post sulla propria pagina Facebook, che negli ultimi 10 anni 250.000 giovani hanno lasciato l’Italia.

Ma è davvero così?

Da dove proviene il dato

Spadafora cita esplicitamente nel suo post Facebook il Rapporto 2019 sull’economia dell’immigrazione, elaborato dalla Fondazione Leone Moressa a partire da dati Istat ed Eurostat, e presentata l’8 ottobre 2019 a palazzo Chigi.

La Fondazione è un istituto di studi e ricerche nato nel 2002 da un’iniziativa della Cgia di Mestre, ente che si occupa dello «studio di fenomenologie e problematiche relative alla presenza straniera sul territorio».

Nel Rapporto 2019 si legge in effetti che, negli ultimi 10 anni, 250.000 italiani fra i 25 e i 34 anni hanno lasciato il Paese (non contando chi se ne è andato ma poi ha fatto ritorno).

La citazione di Spadafora è dunque corretta. Ma andiamo a verificare su altre fonti se questa stima sia affidabile o meno.

Gli italiani in fuga

Secondo l’Istat, dal 2008 al 2017 le cancellazioni annuali dall’anagrafe per l’estero – e, quindi, per spostare la propria cittadinanza all’estero – sono passate da 61.671 a 155.110. Sommando le cancellazioni dei vari anni, nel decennio si arriva a un totale di circa 1,1 milioni (1.103.963).

Questi dati, secondo l’Istat, sono però sottostimati – non sempre, infatti, chi si trasferisce all’estero procede alla cancellazione dall’anagrafe italiana – e riguardano sia i cittadini italiani che i cittadini stranieri residenti regolarmente in Italia.

Al di là di questo, il bilancio appena visto non specifica le varie fasce d’età degli individui. Per avere delle indicazioni in proposito consultiamo i rapporti “Italiani nel Mondo” curati dalla Fondazione Migrantes.

Questi rapporti prendono però in considerazione solo i cittadini italiani e non anche gli stranieri regolarmente residenti. Dunque i numeri sono diversi da quelli dell’Istat. Le percentuali, tuttavia, ci consentono di fare alcune considerazioni.

Nel rapporto relativo al 2018 si legge che fra gli italiani iscritti ai registri dell’Aire – Anagrafe Italiani Residenti all’Estero – per motivi di espatrio, quell’anno il 37,4 per cento (47.992 persone) rientrava nella fascia di età tra i 18 e i 34 anni.

Nel 2017 il numero riguardante la medesima fascia di età era di 48.607 persone, corrispondenti al 39,2 per cento del totale, nel 2016 era di 39.410 persone (36,7 per cento), nel 2015 di 36.264 (35,8 per cento), nel 2014 di 34.073 (36,2 per cento), e di 18.884 nel 2011 (25 per cento).

Non abbiamo dati comparabili per gli altri anni del decennio preso in considerazione, ma possiamo stimare con un certo margine di approssimazione che la percentuale media sia circa del 30-35 per cento.

Applicando questa percentuale al totale di 1,1 milioni sopra visto (che, come detto, comprende però sia italiani che stranieri residenti in Italia), si può stimare che i giovani di età compresa tra i 18 e i 34 anni espatriati nell’ultimo decennio siano 330-385 mila. Questo numero è più alto di quello stimato dalla Fondazione Moressa, che tuttavia prende in considerazione solo gli italiani e oltretutto compresi una fascia di età più ristretta, 25-34 anni.

Si può quindi ritenere che il numero di 250.000 giovani fornito dalla Leone Moressa sia credibile, considerato lo scarto di sette anni all’interno della fascia di età di riferimento e la nazionalità esclusivamente italiana dei giovani presi in considerazione.

Perché i giovani se ne vanno?

Secondo l’Istat, il principale motivo dell’alto tasso di emigrazione dei giovani italiani nell’ultimo decennio sarebbe la ricerca di un lavoro, o di migliori condizioni lavorative.

L’Istat sottolinea infatti come siano «l’andamento negativo del mercato del lavoro italiano» e la «nuova ottica di globalizzazione» le motivazioni principali che spingono «i giovani più qualificati a investire il proprio talento nei Paesi esteri in cui sono maggiori le opportunità di carriera e di retribuzione».

Si emigra, insomma, per il lavoro e per la carriera, e questo fenomeno sembra riguardare – al di là della fascia di età – i lavoratori più qualificati.

In base ai dati contenuti nel rapporto Istat su Mobilità interna e migrazioni internazionali della popolazione residente sull’anno 2017, l’ultimo disponibile, risulta che più del 24 per cento dei cittadini italiani che si sono trasferiti all’estero nell’anno in questione erano laureati.

I dati Istat degli anni precedenti ci dicono che la quota di laureati sul numero di espatriati di cittadinanza italiana è stata del 30,8 per cento nel 2016 e nel 2015, del 30 per cento nel 2014, 30,6 per cento nel 2013, 27,6 per cento nel 2012 e nel 2011, del 26,9 per cento nel 2010, del 23,8 nel 2009 e del 25,9 nel 2008.

Queste percentuali sono tanto più impressionanti se si considera che il numero di laureati in Italia è, nel 2018, di circa 6,6 milioni, cioè – rispetto alla popolazione (60,4 milioni) – l’11 per cento.

Insomma, tra chi se ne va dall’Italia la percentuale dei laureati è tra il doppio e il triplo rispetto al dato dei laureati presenti nel Paese.

Il verdetto

Secondo Spadafora negli ultimi 10 anni 250 mila giovani hanno lasciato l’Italia.

I dati dell’Istat e della Fondazione Migrantes da noi rielaborati cercando di scontare le differenze sulla nazionalità e sulla fascia d’età degli individui presi in considerazione, sembrano compatibili con quelli forniti dalla Fondazione Leone Moressa e citati con precisione dal ministro Spadafora.

Pertanto, il ministro Spadafora si merita un “Vero”.