Il 9 marzo, ospite a Otto e Mezzo (La7), Laura Boldrini ha fornito una spiegazione del basso tasso di natalità italiano.



L’ipotesi della deputata di Liberi e Uguali è che i problemi di natalità del nostro Paese dipendano in primo luogo dal basso tasso di occupazione tra le donne (49 per cento) al di sotto della media europea (62 per cento).



Ma questi numeri sono giusti? Che collegamento esiste tra natalità e occupazione? Abbiamo verificato.



La natalità in Italia



Nel 2017, secondo il Bilancio demografico nazionale dell’Istat del 13 giugno 2018, in Italia si è registrato un nuovo record in negativo per l’iscrizione di bambini all’anagrafe: solo 458.151, il minimo storico, che ha battuto il precedente record negativo del 2016.



Dal 2008 al 2017 (ultimo dato disponibile), le nascite registrate in Italia hanno visto una continua diminuzione. L’Istat ha sottolineato inoltre che «la diminuzione delle nascite […] si deve oggi principalmente a fattori strutturali. Infatti, si registra una progressiva riduzione delle potenziali madri dovuta, da un lato, all’uscita dall’età riproduttiva delle generazioni molto numerose nate all’epoca del baby-boom, dall’altro, all’ingresso di contingenti meno numerosi di donne in età feconda, a causa della prolungata diminuzione delle nascite, già a partire dalla metà degli anni Settanta».



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Grafico 1: Nati vivi in Italia dal 2008 al 2017 – Fonte: Istat



Il confronto con l’Europa



L’Ufficio statistico dell’Unione europea (Eurostat) fornisce annualmente statistiche sul tasso di natalità e di fertilità dei diversi Paesi europei.



Il tasso di natalità grezzo (crude birth rate)indica il rapporto tra il numero di nascite registrate in un dato anno e la popolazione. Il valore viene espresso per mille abitanti.



Nel 2017, sono nati nei 28 Stati Ue 5,07 milioni di bambini, che corrispondono a un tasso di natalità grezzo di 9,9 ogni mille abitanti. I dati Istat relativi al tasso di natalità italiano registrano per lo stesso anno un valore al di sotto della media europea, pari a 7,4 bambini nati ogni mille abitanti.



L’altro indice da tenere in considerazione è il tasso di fertilità (total fertility rate), che indica il numero di figli che in media una donna può avere nella vita. Secondo Eurostat, ne i Paesi sviluppati una donna dovrebbe avere un tasso di fertilità pari a 2,1 per mantenere costante la popolazione in assenza di immigrazione. Nel 2017, il tasso di fertilità medio dei 28 Paesi Eu era di 1,59 nati vivi per donna. Per l’Italia il valore era pari a 1,32.



Tanto per il tasso di natalità quanto per quello di fertilità, dunque, il nostro Paese si trova al di sotto della media europea. Per quanto riguarda l’andamento delle nascite, il calo che il nostro Paese vive dal 2008 è stato comune anche agli altri Stati.



L’occupazione femminile in Italia e in Europa



Secondo Eurostat, nel 2017 (ultimo anno disponibile) in Italia il 48,9 per cento delle donne di età compresa tra i 15 e i 64 anni aveva un lavoro: una distanza di 13,6 punti percentuali dalla media europea (62,5 per cento).



Nonostante l’Italia rimanga distante dalla media europea, dal 2008 al 2017 si è registrato un aumento dell’occupazione femminile sia nel nostro Paese e che nel continente. Undici anni fa, la media europea di donne occupate era infatti pari al 58,9 per cento (con il minimo del 58,2 per cento registrato nel 2010), mentre la percentuale di occupazione femminile in Italia era al 47,2 per cento (con il minimo del 46,1 per cento registrato nel 2010).



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Grafico 2: Occupazione femminile: media europea e Italia (2008-2017) – Fonte: Eurostat



Nel 2017 l’Islanda (83,5 per cento), la Svezia (75,4 per cento), la Norvegia (75,4 per cento) e la Svizzera (75,2 per cento) hanno registrato i tassi di occupazione femminile più elevati. In Germania le donne occupate erano il 71,5 per cento, in Francia il 61,7 per cento e in Spagna il 55,7 per cento.



In generale, nell’Ue – ma soprattutto in Italia – esiste uno squilibrio tra il tasso di occupazione maschile e il corrispettivo femminile, le cui cause sono molteplici.



Nel 2016 la Commissione europea ha stilato il rapporto Le donne sul mercato del lavoro che elenca alcuni fattori che incidono su questo fenomeno: la maggiore predisposizione delle donne a prendersi cura dei figli nei primi anni di vita; l’assistere (anche per un lungo periodo) familiari non autonomi; l’insufficiente flessibilità lavorativa; e una non equa accessibilità per i coniugi al diritto al congedo.



Che rapporto c’è tra la natalità e l’occupazione femminile?



Boldrini ha dichiarato che se in Italia «abbiamo un problema di natalità […] è perché non c’è accesso al mondo del lavoro». L’ex presidente della Camera ha ribadito il concetto anche il 17 marzo, ospite a Che tempo che fa su Rai 1.



Secondo l’ex presidente della Camera, il basso tasso di natalità italiano è direttamente collegato all’occupazione femminile: se una donna fatica a trovare un lavoro, è meno stimolata e predisposta, in assenza di una sicurezza economica, ad avere figli. In sostanza, per Boldrini, la disoccupazione femminile è una delle cause che porta le donne a non avere figli.



Questa tesi non per è nulla scontata, ma ha bisogno di evidenze empiriche per essere giustificata. Che cosa dicono dunque gli studi scientifici in merito?



Come spiegano i ricercatori Francesca Modena e Fabio Sabatini in uno studio del 2012, tradizionalmente gli economisti hanno associato un calo delle nascite nei Paesi sviluppati con l’aumento del numero delle donne occupate. Le maggiori possibilità di avere un lavoro, di potere ricoprire cariche più elevate e ricevere stipendi sempre più alti avrebbero spinto negli anni le donne ad avere meno bambini, per evitare ostacoli lungo la loro carriera lavorativa.



In realtà, questa tesi – a prima vista l’opposto di quello che dice Boldrini – è stata messa in dubbio da diversi studi. La ricerca appena citata, per esempio, ha scoperto che in Italia le coppie con una donna disoccupata – in linea teorica, quindi, con più tempo da dedicare a eventuali figli – sono quelle con tassi di fertilità più bassi, ossia fanno meno bambini. Il motivo è da ricercare proprio nell’instabilità economica generata dall’assenza di occupazione.



Questa tendenza si verifica anche all’estero, come mostra uno studio condotto negli Stati Uniti nel 2014. In caso di disoccupazione, nel breve periodo il tasso di fertilità tende a scendere. Non è però noto se questi effetti persistano sul lungo periodo, dal momento che le donne possono decidere di rimandare la gravidanza a «tempi economici migliori».



La tesi che vede “minore occupazione femminile, minore natalità” è confermata anche da alcuni demografi, come Alessandro Rosina, che intervistato a febbraio 2018 da Linkiesta ha evidenziato come il calo di “mamme italiane” sia legato a diversi aspetti tra cui la povertà e, in particolare, il fatto che i giovani riescano a raggiungere una propria autonomia tardi.



Come sottolinea Rosina, nella fascia più fertile della popolazione (25-34 anni) «si concentra il 30 per cento dei Neet, cioè gli inattivi, gli scoraggiati, che non cercano più neanche un lavoro perché non riescono a trovarlo. La domanda quindi è: come fai a chiedere a un Neet l’impegno di formare una famiglia e di diventare genitore se lui stesso fatica a emanciparsi dal ruolo di figlio?».



Il verdetto



Laura Boldrini cita dati corretti sul problema della natalità e sull’occupazione femminile. In Italia si fanno sempre meno bambini, e nonostante 49 donne su 100 lavorino nel nostro Paese, siamo ancora lontani dalla media europea (62 per cento).



Il punto centrale della tesi dell’ex presidente della Camera è però che questi due fenomeni siano collegati tra loro: meno donne lavorano, meno figli si fanno. Alcune ricerche in ambito economico e demografico confermare questa ipotesi: una bassa occupazione femminile genera instabilità economica all’interno dei nuclei familiari, che decidono così di non avere figli. Ma tra gli esperti non c’è unanimità e quindi sul collegamento rimangono margini di incertezza.



In conclusione, Boldrini merita un “C’eri quasi”.