Il 5 marzo 2019, ospite a Di Martedì su La7, Carlo Calenda ha detto (min: 14:50) che l’unico aumento delle retribuzioni di basso livello degli ultimi anni sarebbe da imputare agli 80 euro introdotti dal governo Renzi. Secondo l’ex ministro dello Sviluppo economico, la loro adozione avrebbe portato a una crescita dei salari più bassi del 10 per cento nel 2014-2015.
Ma gli 80 euro hanno davvero avuto questo effetto? Abbiamo verificato.
L’andamento dei salari di livello basso dal 2001
Per prima cosa guardiamo all’andamento dei salari di basso livello dopo il 2001, per vedere se davvero questi siano aumentati solo ne 2014 e 2015, come dice Calenda.
Secondo i dati forniti da Eurostat, lo stipendio annuale netto di un lavoratore italiano single e senza figli che riceve meno del 50% dello stipendio medio è stato in costante aumento. Se nel 2001 questa tipologia di lavoratori riceveva in media 8.710 euro all’anno, nel 2016 il suo stipendio netto ammontava a 12.888 euro. Un incremento di quasi 48 punti percentuali.
Se però valutiamo questo incremento tenendo conto dell’aumento dei prezzi avvenuto negli stessi anni, il risultato si dimezza. Scontando il tasso di inflazione, cresciuto di 24 punti dal 2001 al 2016, la variazione dello stipendio netto si attesta infatti a un +24 per cento.
In ogni caso, contrariamente a quanto detto da Calenda, gli stipendi medi più bassi* sono cresciuti anche prima del 2014. Dal 2001 al 2013, l’aumento totale è stato del 32,5 per cento. Nello stesso periodo, però, l’aumento di gran lunga più consistente anno su anno (dell’8 per cento) si è avuto proprio nel 2014 rispetto al 2013. Il 2014 è stato l’anno in cui – da maggio a dicembre, come vedremo – è stato introdotto il bonus di 80 euro. L’aumento nel 2015 rispetto al 2013 è dell’11,7 per cento: per avere un termine di paragone, confrontando il 2013 con il 2011 si registra un aumento del 3 per cento.
Il bonus di 80 euro del governo Renzi
Ma vediamo più da vicino in che cosa consiste il bonus degli 80 euro.
Il decreto legge 66/2014 ha introdotto per i lavoratori dipendenti la possibilità di ottenere, tra maggio e dicembre 2014, un credito Irpef pari a un massimo di 640 euro (ossia 80 euro al mese). Questa misura è stata poi confermata con la legge di Stabilità del 2015 (art. 1 commi 12-13 e 15) e negli anni successivi. È stato riconosciuto, da gennaio 2015 e agli aventi diritto, la possibilità di percepire un aumento in busta paga fino a un massimo di 960 euro annuali (ancora una volta, 80 euro mensili).
Questo aumento è stato pensato come un credito di imposta: in altre parole, il lavoratore dipendente riceve un aumento dal datore di lavoro perché quest’ultimo versa una quantità minore di tasse sul lavoro del suo dipendente (Irpef).
A oggi i beneficiari di questo credito sono i lavoratori dipendenti che percepiscono un reddito superiore o uguale a 8.000 euro e inferiore a 24.600 euro. Ricevono invece un aumento via via decrescente coloro che hanno un reddito tra i 24.600 e i 26.600 euro.
Tab. 1: Destinatari bonus 80 euro – Fonte: Inps
Il numero di lavoratori che ha beneficiato di questo contributo nel 2016 (ultimo anno di cui abbiamo i dati) è stato pari a circa 11,6 milioni di persone. Una parte dei beneficiari (circa 800 mila persone) al momento della dichiarazione dei redditi ha però dovuto restituire integralmente la cifra ricevuta, in quanto risultavano altri redditi oltre a quelli da lavoro dipendente e dunque i tetti di reddito previsti venivano sforati. Sono poi state circa 650 mila le persone che hanno invece dovuto restituire solo una parte del bonus.
Con l’introduzione degli 80 euro, ad aumentare è quindi il reddito disponibile, ossia quello che il lavoratore percepisce al netto delle imposte che deve versare per il lavoro offerto.
L’effetto degli 80 euro sul reddito disponibile
La maggior parte dell’analisi economica relativa agli 80 euro si è concentrata sugli effetti che questa misura ha avuto sui consumi.
Come sottolinea l’Istat in un report del 2017, il principale scopo della misura voluta da Renzi non era di natura redistributiva, ma appunto di stimolo per i consumi, in quanto «il bonus non è propriamente disegnato come misura anti-povertà».
Uno studio della Banca d’Italia del 2017 ha riscontrato un effetto positivo sulle scelte di spesa delle famiglie italiane, che hanno aumentato le loro spese mensili in cibo e trasporti rispettivamente di 20 e 30 euro.
L’unica ricerca che isola l’effetto del bonus sui redditi disponibili più bassi è stato pubblicata dall’Istat a giugno 2017 e fa riferimento al 2016. Secondo l’Istat, l’effetto degli 80 euro sul reddito disponibile del 20 per cento più povero (primo quintile) è stato quello di un aumento del 4,4 per cento nel 2016. Per il 20 per cento successivo (secondo quintile) è stato invece del 3,6 per cento.
Questo dato conferma il trend citato da Calenda (un aumento in positivo del reddito disponibile), anche se esattamente non nei termini da lui riportati.
Stimare gli effetti economici di un singolo intervento legislativo rimane comunque un compito difficile: bisognerebbe infatti valutare come sarebbero andate le cose tra il 2014 e il 2015 in assenza del bonus e degli altri interventi. Ma, ad oggi, non esistono studi conclusivi in questo ambito.
Il verdetto
Carlo Calenda ha dichiarato che i salari più bassi sarebbero aumentati del 10 per cento nel 2014 e 2015 grazie al bonus introdotto dal governo Renzi.
È vero che, stando al database Eurostat, la retribuzione più bassa registrata dall’ente statistico è cresciuta di oltre il 10 per cento nel 2015 in confronto a due anni prima, e l’aumento più rilevante dal 2001 in poi è stato proprio nel 2014, anno di introduzione della misura. Non è comunque vero che il 2014-2015 siano stati gli «unici due anni» di aumento, che invece è stato più ridotto ma costante dal 2001 in poi.
Al di là del salario più basso registrato da Eurostat, uno studio dell’Istat che esamina gli effetti degli 80 euro sul reddito disponibile dei lavoratori nel 2016 conferma parzialmente quanto detto da Calenda: gli 80 euro hanno effettivamente avuto un impatto positivo sui redditi disponibili dei lavoratori con reddito basso. L’ammontare di questo aumento si attestava nel 2016 al 4,4 per cento per il 20 per cento più povero (primo quintile) e al 3,6 per cento per il 20 per cento successivo nella distribuzione del reddito (secondo quintile).
In conclusione, Calenda merita un “C’eri quasi”.
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* Eurostat non fornisce dati per i lavoratori che percepiscono meno del 50% dello stipendio medio italiano.
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