Il 24 settembre, Giorgia Meloni ha commentato su Twitter una vicenda diffusa da alcune testate nazionali e che riguardava l’espulsione di cittadini italiani che vivono in Germania.

Secondo la leader di Fratelli d’Italia, la Germania avrebbe minacciato, tramite una circolare, di rimpatriare tutti gli italiani residenti nel Paese che si trovano in povertà. Questa situazione non sarebbe condannata da istituzioni internazionali come Nazioni Unite o Unione Europea, che anzi «fanno la morale» all’Italia per altre vicende che riguardano i fenomeni migratori, sfruttandone «i porti e i soldi».

Anche il sottosegretario agli Affari esteri Ricardo Merlo ha espresso le proprie perplessità in una dichiarazione all’Ansa, criticando l’atteggiamento di Berlino.

Ma è vero quello che dice Meloni? La notizia – così come riportata dalla deputata – è falsa, perché non sembra esistere nessuna circolare. Abbiamo ricostruito la vicenda, analizzando nel dettaglio come funzionano i sussidi e le espulsioni di cittadini europei all’interno dell’Ue.

Come è nata la vicenda


Il 19 settembre, in una trasmissione dell’emittente radiofonica tedesca Radio Colonia, una cittadina italiana residente in Germania aveva denunciato una situazione personale di difficoltà. La notizia era stata ripresa anche da alcuni quotidiani italiani, come Il Giornale e il Fatto Quotidiano.

Secondo quanto raccontato, dopo essere stata lasciata dal compagno e in difficoltà economiche a causa della gravidanza, la donna aveva chiesto un sussidio al suo comune di residenza. Ma, dopo tre mesi, le era stato comunicato che nel giro di quindici giorni avrebbe dovuto trovare un lavoro: in caso contrario, sarebbe stata rimpatriata in Italia a spese dello Stato tedesco. Lo stesso – come riportato dalla radio tedesca – sarebbe successo anche ad altri italiani residenti in Germania.

Subito dopo la circolazione della notizia, la stessa emittente radiofonica aveva però provveduto a fare chiarezza su alcuni particolari cruciali della vicenda: lo ha spiegato per esempio La Repubblica, contattata direttamente dal caporedattore di Radio Colonia Tommaso Pedicini.


Per capire qual è stata l’incomprensione di fondo, bisogna guardare le norme sulla circolazione e sull’espulsione dei cittadini europei all’interno dell’Ue.


La libera circolazione di un cittadino Ue

La direttiva Ue nr. 38 del 2004 stabilisce le norme che regolano la libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea e il diritto di stabilirsi in un altro Stato membro.

Non si tratta di un diritto incondizionato. La direttiva sottolinea che «i cittadini dell’Unione dovrebbero aver il diritto di soggiornare nello Stato membro ospitante per un periodo non superiore a tre mesi senza altra formalità o condizione che il possesso di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità».

Quindi, in tutta l’Unione europea, i cittadini sono liberi di spostarsi da uno Stato all’altro e, per i primi tre mesi, non hanno bisogno di nessun tipo di documento specifico se non quello personale e identificativo.


Se poi, invece, decidono di fare richiesta di residenza e ricevere i possibili benefici legati al welfare di uno Stato, le regole cambiano. In questo caso, una volta superati i tre mesi, è necessario attestare con una documentazione ufficiale i motivi della propria permanenza e dimostrare di possedere le risorse necessarie per vivere.

Che cosa deve fare il cittadino Ue per rimanere in Germania o in Italia?


La legge tedesca prevede che un cittadino dell’Unione europea, una volta superati i tre mesi di libera circolazione stabiliti dalla direttiva Ue 38/2004, può soggiornare in Germania solo se rispetta almeno uno dei requisiti necessari.

Tra questi, per esempio, ci sono l’essere occupato o essere attivamente in cerca di un’occupazione (l’interessato ha, nel caso, da sei ai dodici mesi per trovare un effettivo lavoro). Bisogna attestare che si è in grado di mantenere se stessi e una possibile famiglia a carico, di avere un parente stretto già residente oppure di seguire un percorso universitario o un corso di formazione lavorativa nel Paese.

Come funzionano le cose in Italia? Non molto diversamente.

Il d.l. 30/2007 regola la circolazione e la permanenza dei cittadini sul territorio nazionale. Il cittadino Ue che, superati i tre mesi di permanenza in Italia, desidera proseguire il proprio soggiorno, deve fornire una serie di documenti. Come specifica l’art. 9 comma 3, bisogna, per esempio, attestare lo svolgimento di una attività lavorativa, la disponibilità di risorse economiche sufficienti per mantenersi, l’iscrizione presso un istituto pubblico o privato necessario per l’assicurazione sanitaria.

Come è evidente dai due decreti riportati, entrambi i Paesi esigono una documentazione simile, che certifichi l’effettivo stato lavorativo del possibile nuovo residente.

Come funzionano i sussidi in Germania?


Torniamo alla vicenda in questione e apriamo una parentesi sulla questione del sussidio economico. Durante la trasmissione radiofonica, la cittadina italiana intervistata ha detto di aver chiesto al proprio comune di residenza un sussidio per difficoltà economiche. Come supporta la Germania i residenti che si trovano in condizioni simili?

 

La riforma Hartz IV è una norma che regola il mercato del lavoro ed è in vigore dall’1 gennaio 2005. Come riporta l’Ambasciata italiana a Berlino, la riforma riassume «in un unico testo normativo le norme e le leggi nell’ambito del diritto, dell’assistenza sociale e delle procedure assistenziali alle persone in cerca di un’occupazione».

In particolare, qui sono stabilite le norme che regolano la richiesta di un sussidio economico nei casi in cui si fosse privi di lavoro o non si fosse in grado di far fronte alle proprie necessità. Questo sussidio viene anche indicato con il termine Arbeitslosengeld II (o con la sigla ALG II). Al contrario, l’Arbeitslosengeld I (ALG II) è il sussidio di disoccupazione che è possibile ottenere in caso di licenziamento.

Per l’applicazione della riforma Hartz IV sono stati creati i Jobcenter, strutture che si occupano della gestione dei casi dei cittadini che fanno richiesta di ALG II. Come viene specificato dai diversi centri per l’impiego, il sussidio di disoccupazione è regolato dal “patto” cosiddetto Fördern und Fordern – traducibile con “sostenere e pretendere”. Questo sussidio, infatti, non viene elargito a priori ma l’interessato deve rispettare una serie di regole per ottenerlo.

Tra queste, c’è l’obbligo di partecipare attivamente a tutte le misure finalizzate all’integrazione nel mondo del lavoro, dimostrando, così, di essere realmente alla ricerca di un’occupazione. Al contrario, in caso di rifiuto di un’offerta lavorativa o del mancato adempimento degli obblighi concordati, l’interessato va incontro a sanzioni che comportano una progressiva riduzione del supporto fornito dallo Stato.

L’ALG II è accessibile anche ai cittadini italiani residenti in Germania. La stessa Radio Colonia, nel comunicato pubblicato per precisare la vicenda, riporta alcuni dati a riguardo. Su un totale di circa 700 mila italiani residenti in Germania, 70 mila percepirebbero in modo legittimo un sussidio.

Inoltre, l’emittente tedesca fa ulteriore chiarezza sull’ALG II e sulla possibilità di ricevere un sussidio da parte di un cittadino dell’Ue. Luciana Martena, responsabile del patronato 50&più Enasco – Germania, ha infatti dichiarato (min. 2’ 40’’) ai microfoni della trasmissione che «Prima bastavano tre mesi di residenza in Germania per poter accedere al sussidio sociale anche all’inizio, soprattutto quando, praticamente, si era in cerca di un lavoro, di una casa. Dopo da tre mesi sono diventati cinque anni di residenza».

Dunque, riassumendo, quando il cittadino dell’Unione europea fa richiesta di un sussidio ALG II e non riesce a dimostrare di essere alla ricerca di un’occupazione, di averne una – seppur temporanea o suggerita dai Jobcenter – e non risiede in Germania da almeno cinque anni, non ha diritto al sussidio. Se non trova altrimenti i mezzi per sostentarsi, può quindi andare incontro a un provvedimento di allontanamento.

Non abbiamo trovato, però, alcun documento ufficiale che parli di una «circolare» – termine che viene usato dalla leader di Fratelli d’Italia – che minaccia gli italiani di espulsione. Anna Mastrogiacomo, responsabile patronato EPAS del Baden-Württemberg, intervistata (min. 1′ 28″) da Radio Colonia, ha sottolineato come l’invito a trovare un’occupazione entro 15 giorni pena il rimpatrio, avvenga prima per via orale e poi, se necessario, può essere seguito da una «lettera».

 

In Italia la “minaccia di espulsione” funziona allo stesso modo


In Italia, l’art. 21 del dl 30/2007 si occupa dei provvedimenti di allontanamento dei cittadini dell’Unione europea. Un cittadino dell’Ue può essere allontanato quando vengono meno le condizioni che determinano il suo diritto di soggiorno (avere un lavoro, potersi mantenere e avere un’assicurazione sanitaria).

Come viene specificato, «il provvedimento è adottato tenendo conto della durata del soggiorno dell’interessato, della sua età, della sua salute, della sua integrazione sociale e culturale e dei suoi legami con il Paese di origine ed è tradotto in una lingua comprensibile al destinatario, ovvero in inglese, e riporta le modalità di impugnazione, nonché il termine per lasciare il territorio nazionale, che non può essere inferiore ad un mese».

Anche in Italia, dunque, è possibile che un cittadino proveniente da un altro Stato membro Ue venga spinto ad allontanarsi dal nostro Paese e, se accade, ha almeno 30 giorni di tempo per farlo da quando gli viene notificato. Come stabilisce poi l’art. 21 comma 3 del d.lgs. 32/2008, il provvedimento di allontanamento è accompagnato dalla consegna all’interessato di un documento che deve obbligatoriamente essere portato al consolato italiano dello Stato nel quale si emigra.

Infine, l’art. 21 comma 4 sottolinea che «qualora il cittadino dell’Unione o il suo familiare allontanato sia individuato sul territorio dello Stato oltre il termine fissato nel provvedimento di allontanamento, senza aver provveduto alla presentazione dell’attestazione di cui al comma 3, è punito con l’arresto da un mese a sei mesi e con l’ammenda da 200 a 2.000 euro».

Come è evidente, la legge italiana – in linea con le normative europee – non è molto diversa da quella tedesca. In entrambi i casi, nel momento in cui il cittadino non rispetta più le norme che determinano il diritto di soggiorno, deve espatriare. In particolare, avere un lavoro e dimostrare di poter provvedere al proprio sostentamento sono prerogative necessarie in Germania come in Italia.


Il verdetto


In conclusione, Giorgia Meloni ha condiviso una notizia che era già stata assai ridimensionata da un quotidiano nazionale e dall’emittente radiofonica da cui ha avuto inizio la vicenda.

Non esiste infatti alcuna circolare destinata all’espulsione dei soli cittadini italiani residenti in Germania e in condizioni di povertà. La testimonianza raccontata dall’ascoltatrice italiana era personale e particolarmente delicata, ma i cittadini italiani residenti in Germania sono oggi circa 643 mila e non si ha notizia di un particolare aumento di casi simili, in tempi recenti.

Come dimostrano sia la direttiva europea sia le norme tedesche e italiane, non si tratta di una “persecuzione” ai danni dei soli italiani: le regole sull’allontanamento di un cittadino dell’Unione Europea sono più o meno le stesse in Italia e in Germania.

Per la leader di Fratelli d’Italia, il verdetto è dunque “Pinocchio andante”.
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2018-09-28 15:37:10 UTC


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Pinocchio andante




«Nell’accogliente #Germania, una circolare minaccia di espulsione gli italiani sul suolo tedesco in stato di povertà. Però naturalmente l’Onu e l’Ue la morale vengono a farla a noi. In Europa sono tutti altruisti e ospitali: coi porti e i soldi dell’Italia».





Giorgia Meloni



Leader Fratelli d’Italia




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lunedì 24 settembre 2018


2018-09-24

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